Daniela, la donna che visse due volte

Nel caldo salone arredato con gusto, il fuoco di legna crepita. Al centro Daniela, seduta sulla sedia a rotelle, appare immobile e assente, gli occhi ancora belli fissi nel vuoto. Prima di entrare ci eravamo ripromessi di non fare gaffe e di rivolgerci direttamente a lei («capisce tutto», sosteneva infatti il marito, Luigi Ferraro), ma ora l’impressione è di parlare da soli... «Ciao, Daniela, sono venuta ad assistere all’esperimento».
Da lei nessuna reazione, si direbbe, a parte un rapidissimo sfarfallio di ciglia, ma Luigi traduce sicuro: «Benvenuta, Lucia». Illusione? Subito le mostriamo un biglietto che per lei ci ha consegnato Max Tresoldi, il ragazzo milanese tornato da dieci anni di "stato vegetativo", da un mondo lontano e profondo come profonda può essere solo la coscienza di un uomo. Lo vedrà davvero?
L’esperimento intanto comincia: dalla Germania è venuta apposta la neuroscienziata Andrea Kübler. Proverà ad aprire un canale di comunicazione tra la coscienza nascosta di Daniela e noi che viviamo all’esterno, intorno al suo corpo silenzioso. Utopia?
L’attesa è palpabile, Luigi dà una mano, Leonardo, 17 anni, e Camilla, 7, guardano la mamma. La scienziata le applica al polso un tubicino che emette infrarossi: «Quando il raggio viene interrotto, sul monitor il cursore si ferma sulla lettera scelta», spiega a noi e a Daniela. Poi le fa la prima domanda: «Sei stanca?». Lievemente il pollice sinistro si alza e sbarra il passaggio al raggio, sul monitor la prima lettera, una P. Coincidenza?
Ci vogliono minuti e tanti movimenti di pollice – l’unica parte del corpo che Daniela muove – ma la risposta prende forma: «Per ammazzare me ci vuole una mazzata in testa!». E stavolta anche a noi è evidente che Daniela – viso immobile e occhi nel vuoto – in realtà sta ridendo.
UN PASSO INDIETRO
Tutto ha avuto inizio il 27 agosto del 2005, lo stesso giorno in cui Daniela Gazzano, 39 anni, ha dato alla luce Camilla. Cinque ore dopo il parto, un’imprevedibile emorragia cerebrale al tronco encefalico l’ha sprofondata in pochi istanti dalla gioia più intensa a quello che i neurologi definirono stato vegetativo. Nessun contatto col mondo esterno, non comprende nulla e nulla sente, assicuravano all’ospedale di Cuneo, dove rimase 40 giorni. Poi, come sempre in questi casi, la dimissione di quella paziente "senza speranza" e la drammatica ricerca da parte della famiglia di una struttura ad hoc. «In quei mesi mia moglie, considerata priva di ogni percezione, veniva trattata come un oggetto inanimato e non riceveva dagli infermieri nessuna delle attenzioni naturalmente riservate a un essere vivente e consapevole», racconta Luigi, che contro ogni logica e nozione scientifica continuava a nutrire la speranza: «Le parlavo sempre, cercavo in ogni modo di stimolarla. Speravo che in qualche profondità la sua coscienza mi ascoltasse, anche se non poteva rispondermi».
REGALO DI COMPLEANNO
Finché il primo marzo del 2006, giorno in cui Daniela compie gli anni, Luigi ha un’illuminazione. Se mi senti – le chiede quasi senza crederci – chiudi le palpebre quando dico la lettera giusta. E inizia a recitare l’alfabeto. Ci vuole qualche minuto, ma alla fine quegli occhi compongono una domanda, la prima dal giorno del coma: «Perché ho sempre tanto sonno?». «Non capivo più niente dalla gioia, Daniela c’era sempre stata ma per mesi aveva subìto il dramma di non poterci avvertire. Aveva ascoltato le diagnosi infauste, le rinunce dei medici, le parole di chi mi diceva: non sente niente». Una scoperta così incredibile che i neurologi la negano: secondo la scienza il suo cervello è disconnesso per sempre. Ma è ora che inizia il peggio, quando la lotta contro la malattia diventa guerra. Guerra contro una burocrazia che ammazza più del coma.
IN FUGA VERSO LA VITA
Se i medici non credono all’evidenza, non resta che "evadere". Così Luigi si rivolge di nascosto alla Casa dei Risvegli Luca De Nigris di Bologna e, grazie al direttore Fulvio De Nigris, porta sua moglie da uno specialista, che immediatamente capisce: Daniela è un caso di Locked-in, la "sindrome del chiavistello", è "chiusa" in un corpo apparentemente inanimato ma in realtà è lucidissima. L’odissea prosegue con battaglie estenuanti prima per ottenere il permesso di portarsela a casa, poi per ricevere la giusta assistenza: secondo l’Asl un’ora a settimana di fisioterapia è sufficiente e, se non fosse per i trenta volontari che tutti i giorni lavorano con Daniela, («la più bella sorpresa di questa storia»), non avrebbe mai ottenuto gli epocali passi avanti. Come quel pollice che, dopo anni di esercizi, da qualche mese si muove e oggi le ha permesso di interrompere il magico raggio di luce rossa.
INCONTRI RAVVICINATI
Anche Max Tresoldi, l’uomo "risvegliato" dopo dieci anni, fa parte del 40% di diagnosi errate, di quei falsi "stati vegetativi irreversibili" che in realtà erano sempre rimasti tra noi. Max e Daniela sono vissuti a lungo ai margini di un mondo che non li ascoltava, entrambi sono tornati da una vita parallela in cui loro vedevano noi e noi non captavamo i loro segnali di vita. Ha qualcosa di struggente il momento in cui, oggi, Daniela riceve quel suo biglietto: "Un caro saluto da Max, Buon Natale". Muovendo lentamente il pollice, traccia sul monitor la cosa più vicina a un miracolo: "CIAO MAX". Incontri ravvicinati del terzo tipo. E noi, muti, assistiamo al prodigio che sconfessa la scienza.

Lucia Bellaspiga 
 
font:http://www.avvenire.it/Vita/Pagine/la-mia-storia-raccontata-con-26-mila-battiti-di-ciglia.aspx

Si può ricavare acqua dalla nebbia prendendo esempio da un coleottero

La ricerca è stata condotta da scienziati britannici. È stato riprodotto il tessuto con cui l'insetto è in grado di bere acqua che il proprio corpo produce raccogliendo l'umidità e la condensa. La bottiglia hi-tech, che imita la forma del dorso della Stenocara gracilipes, è in grado di produrre quasi tre litri d'acqua ogni ora.

 Ottenere dell'acqua potabile in climi estremi dove di acqua non ce n'è. Un desiderio apparentemente banale che renderebbe possibile, o comunque meno disagevole, la vita dell'essere umano nelle realtà desertiche del pianeta. Alcuni ricercatori hanno scoperto che in fondo ci aveva già pensato la natura a rispondere a questa esigenza. Imitando il meccanismo con il quale un insetto della Namibia riesce a bere e conservare l'acqua prodotta dall'evaporazione della condensa, alcuni scienziati hanno sintetizzato un tessuto artificiale che consente di raccogliere l'acqua prodotta dall'umidità e dalla nebbia.
La Stenocara gracilipes è un coleottero del Naib, dove l'aria fredda e umida dell'Oceano portata verso il continente incontra l'aria calda del deserto formando una coltre di nebbia. L'umidità che si genera quando il sole va a dissipare questa nebbia si condensa sull'estremità dell'addome della Stenocara formando delle piccole gocce, che scivolando sul suo dorso altamente idrorepellente giungono per gravità alla bocca del coleottero dissetandolo. Questo stratagemma consente all'animale di arrivare a vivere anche otto o nove anni in zone del deserto dove cadono meno di 40 millimetri di pioggia ogni anno. Ed è proprio il complicato tessuto del dorso della Stenocara, dove si alterna una striatura di microaree idrorepellenti e non idrorepellenti, che ha ispirato diversi studi e ricerche scentifiche per produrre tessuti artificiali che ottimizzino la rapidità di condensazione del vapore acqueo.
La ricerca. Ma come può questo tessuto essere insieme impermeabile e non impermeabile? Nel novembre 2001, due ricercatori - Chris Lawrence, scienziato della società QinetiQ, e Andrew Parker, zoologo dell'università di Oxford - hanno chiarito il mistero: con un microscopio elettronico hanno ottenuto un'immagine dettagliata del tessuto che è risultato rivestito da uno strato super-idrofobico, fatto da lamelle di cera appiattite disposti come tegole di un tetto. La QinetiQ, azienda privata che fa ricerca per conto della Difesa britannica, ha brevettato il tessuto artificiale di una "Stenocara hi-tech", così da ricreare con polimeri che imitano la superficie del coleottero, una varietà di dispositivi per raccogliere vapore, condensabile in acqua potabile o per l'irrigazione agricola in regioni inospitali.
Oggi, più di dieci anni dopo, questo meccanismo è stato sfruttato da un team della Nbd Nano, una società britannica che crea tessuti sperimentali, che ha creato il prototipo di una bottiglia che si auto-riempie d'acqua, riuscendo a immagazzinare fino a tre litri di acqua ogni ora. La speciale bottiglia è un prodotto della cosiddetta Bio-imitazione e si ispira nella forma al guscio della Stenocara gracilipes.La bottiglia è in grado di accumulare acqua senza sosta, utilizzando una superficie su nano-scala che aumenta lo sfruttamento della condensazione dell'acqua. La superficie della bottiglia è coperta da materiali idrofili che attraggono l'acqua e materiali idrofobi e idrorepellenti.

 font:http://www.repubblica.it/scienze/2012/12/11/news/un_tessuto_artificiale_imita_un_coleottero_si_pu_ricavare_acqua_dalla_nebbia-47490786/