Daniela, la donna che visse due volte

Nel caldo salone arredato con gusto, il fuoco di legna crepita. Al centro Daniela, seduta sulla sedia a rotelle, appare immobile e assente, gli occhi ancora belli fissi nel vuoto. Prima di entrare ci eravamo ripromessi di non fare gaffe e di rivolgerci direttamente a lei («capisce tutto», sosteneva infatti il marito, Luigi Ferraro), ma ora l’impressione è di parlare da soli... «Ciao, Daniela, sono venuta ad assistere all’esperimento».
Da lei nessuna reazione, si direbbe, a parte un rapidissimo sfarfallio di ciglia, ma Luigi traduce sicuro: «Benvenuta, Lucia». Illusione? Subito le mostriamo un biglietto che per lei ci ha consegnato Max Tresoldi, il ragazzo milanese tornato da dieci anni di "stato vegetativo", da un mondo lontano e profondo come profonda può essere solo la coscienza di un uomo. Lo vedrà davvero?
L’esperimento intanto comincia: dalla Germania è venuta apposta la neuroscienziata Andrea Kübler. Proverà ad aprire un canale di comunicazione tra la coscienza nascosta di Daniela e noi che viviamo all’esterno, intorno al suo corpo silenzioso. Utopia?
L’attesa è palpabile, Luigi dà una mano, Leonardo, 17 anni, e Camilla, 7, guardano la mamma. La scienziata le applica al polso un tubicino che emette infrarossi: «Quando il raggio viene interrotto, sul monitor il cursore si ferma sulla lettera scelta», spiega a noi e a Daniela. Poi le fa la prima domanda: «Sei stanca?». Lievemente il pollice sinistro si alza e sbarra il passaggio al raggio, sul monitor la prima lettera, una P. Coincidenza?
Ci vogliono minuti e tanti movimenti di pollice – l’unica parte del corpo che Daniela muove – ma la risposta prende forma: «Per ammazzare me ci vuole una mazzata in testa!». E stavolta anche a noi è evidente che Daniela – viso immobile e occhi nel vuoto – in realtà sta ridendo.
UN PASSO INDIETRO
Tutto ha avuto inizio il 27 agosto del 2005, lo stesso giorno in cui Daniela Gazzano, 39 anni, ha dato alla luce Camilla. Cinque ore dopo il parto, un’imprevedibile emorragia cerebrale al tronco encefalico l’ha sprofondata in pochi istanti dalla gioia più intensa a quello che i neurologi definirono stato vegetativo. Nessun contatto col mondo esterno, non comprende nulla e nulla sente, assicuravano all’ospedale di Cuneo, dove rimase 40 giorni. Poi, come sempre in questi casi, la dimissione di quella paziente "senza speranza" e la drammatica ricerca da parte della famiglia di una struttura ad hoc. «In quei mesi mia moglie, considerata priva di ogni percezione, veniva trattata come un oggetto inanimato e non riceveva dagli infermieri nessuna delle attenzioni naturalmente riservate a un essere vivente e consapevole», racconta Luigi, che contro ogni logica e nozione scientifica continuava a nutrire la speranza: «Le parlavo sempre, cercavo in ogni modo di stimolarla. Speravo che in qualche profondità la sua coscienza mi ascoltasse, anche se non poteva rispondermi».
REGALO DI COMPLEANNO
Finché il primo marzo del 2006, giorno in cui Daniela compie gli anni, Luigi ha un’illuminazione. Se mi senti – le chiede quasi senza crederci – chiudi le palpebre quando dico la lettera giusta. E inizia a recitare l’alfabeto. Ci vuole qualche minuto, ma alla fine quegli occhi compongono una domanda, la prima dal giorno del coma: «Perché ho sempre tanto sonno?». «Non capivo più niente dalla gioia, Daniela c’era sempre stata ma per mesi aveva subìto il dramma di non poterci avvertire. Aveva ascoltato le diagnosi infauste, le rinunce dei medici, le parole di chi mi diceva: non sente niente». Una scoperta così incredibile che i neurologi la negano: secondo la scienza il suo cervello è disconnesso per sempre. Ma è ora che inizia il peggio, quando la lotta contro la malattia diventa guerra. Guerra contro una burocrazia che ammazza più del coma.
IN FUGA VERSO LA VITA
Se i medici non credono all’evidenza, non resta che "evadere". Così Luigi si rivolge di nascosto alla Casa dei Risvegli Luca De Nigris di Bologna e, grazie al direttore Fulvio De Nigris, porta sua moglie da uno specialista, che immediatamente capisce: Daniela è un caso di Locked-in, la "sindrome del chiavistello", è "chiusa" in un corpo apparentemente inanimato ma in realtà è lucidissima. L’odissea prosegue con battaglie estenuanti prima per ottenere il permesso di portarsela a casa, poi per ricevere la giusta assistenza: secondo l’Asl un’ora a settimana di fisioterapia è sufficiente e, se non fosse per i trenta volontari che tutti i giorni lavorano con Daniela, («la più bella sorpresa di questa storia»), non avrebbe mai ottenuto gli epocali passi avanti. Come quel pollice che, dopo anni di esercizi, da qualche mese si muove e oggi le ha permesso di interrompere il magico raggio di luce rossa.
INCONTRI RAVVICINATI
Anche Max Tresoldi, l’uomo "risvegliato" dopo dieci anni, fa parte del 40% di diagnosi errate, di quei falsi "stati vegetativi irreversibili" che in realtà erano sempre rimasti tra noi. Max e Daniela sono vissuti a lungo ai margini di un mondo che non li ascoltava, entrambi sono tornati da una vita parallela in cui loro vedevano noi e noi non captavamo i loro segnali di vita. Ha qualcosa di struggente il momento in cui, oggi, Daniela riceve quel suo biglietto: "Un caro saluto da Max, Buon Natale". Muovendo lentamente il pollice, traccia sul monitor la cosa più vicina a un miracolo: "CIAO MAX". Incontri ravvicinati del terzo tipo. E noi, muti, assistiamo al prodigio che sconfessa la scienza.

Lucia Bellaspiga 
 
font:http://www.avvenire.it/Vita/Pagine/la-mia-storia-raccontata-con-26-mila-battiti-di-ciglia.aspx

Si può ricavare acqua dalla nebbia prendendo esempio da un coleottero

La ricerca è stata condotta da scienziati britannici. È stato riprodotto il tessuto con cui l'insetto è in grado di bere acqua che il proprio corpo produce raccogliendo l'umidità e la condensa. La bottiglia hi-tech, che imita la forma del dorso della Stenocara gracilipes, è in grado di produrre quasi tre litri d'acqua ogni ora.

 Ottenere dell'acqua potabile in climi estremi dove di acqua non ce n'è. Un desiderio apparentemente banale che renderebbe possibile, o comunque meno disagevole, la vita dell'essere umano nelle realtà desertiche del pianeta. Alcuni ricercatori hanno scoperto che in fondo ci aveva già pensato la natura a rispondere a questa esigenza. Imitando il meccanismo con il quale un insetto della Namibia riesce a bere e conservare l'acqua prodotta dall'evaporazione della condensa, alcuni scienziati hanno sintetizzato un tessuto artificiale che consente di raccogliere l'acqua prodotta dall'umidità e dalla nebbia.
La Stenocara gracilipes è un coleottero del Naib, dove l'aria fredda e umida dell'Oceano portata verso il continente incontra l'aria calda del deserto formando una coltre di nebbia. L'umidità che si genera quando il sole va a dissipare questa nebbia si condensa sull'estremità dell'addome della Stenocara formando delle piccole gocce, che scivolando sul suo dorso altamente idrorepellente giungono per gravità alla bocca del coleottero dissetandolo. Questo stratagemma consente all'animale di arrivare a vivere anche otto o nove anni in zone del deserto dove cadono meno di 40 millimetri di pioggia ogni anno. Ed è proprio il complicato tessuto del dorso della Stenocara, dove si alterna una striatura di microaree idrorepellenti e non idrorepellenti, che ha ispirato diversi studi e ricerche scentifiche per produrre tessuti artificiali che ottimizzino la rapidità di condensazione del vapore acqueo.
La ricerca. Ma come può questo tessuto essere insieme impermeabile e non impermeabile? Nel novembre 2001, due ricercatori - Chris Lawrence, scienziato della società QinetiQ, e Andrew Parker, zoologo dell'università di Oxford - hanno chiarito il mistero: con un microscopio elettronico hanno ottenuto un'immagine dettagliata del tessuto che è risultato rivestito da uno strato super-idrofobico, fatto da lamelle di cera appiattite disposti come tegole di un tetto. La QinetiQ, azienda privata che fa ricerca per conto della Difesa britannica, ha brevettato il tessuto artificiale di una "Stenocara hi-tech", così da ricreare con polimeri che imitano la superficie del coleottero, una varietà di dispositivi per raccogliere vapore, condensabile in acqua potabile o per l'irrigazione agricola in regioni inospitali.
Oggi, più di dieci anni dopo, questo meccanismo è stato sfruttato da un team della Nbd Nano, una società britannica che crea tessuti sperimentali, che ha creato il prototipo di una bottiglia che si auto-riempie d'acqua, riuscendo a immagazzinare fino a tre litri di acqua ogni ora. La speciale bottiglia è un prodotto della cosiddetta Bio-imitazione e si ispira nella forma al guscio della Stenocara gracilipes.La bottiglia è in grado di accumulare acqua senza sosta, utilizzando una superficie su nano-scala che aumenta lo sfruttamento della condensazione dell'acqua. La superficie della bottiglia è coperta da materiali idrofili che attraggono l'acqua e materiali idrofobi e idrorepellenti.

 font:http://www.repubblica.it/scienze/2012/12/11/news/un_tessuto_artificiale_imita_un_coleottero_si_pu_ricavare_acqua_dalla_nebbia-47490786/

«Papà, raccontami il gol»

Se tutti i violenti degli stadi si fermassero per un attimo a leggere questa storia, forse capirebbero quante domeniche hanno gettato via, senza alcun senso. È la storia di un padre, Claudio, che tutte le domeniche accompagna suo figlio, Matteo, allo stadio di San Siro: perché il suo ragazzo è un non vedente dalla nascita. «Ecco Matteo, ora capitan Zanetti avanza sulla fascia destra si accentra e serve Milito che carica il tiro, e gol… Noooo… Fuori di poco». È la “telecronaca” tenera e accalorata di Claudio Mussi, il papà di Matteo, 16 anni, capelli lunghi tenuti su da un cerchietto sopra gli occhialini dalle lenti spesse, a immaginare il mondo. Da sei stagioni papà e figlio, dall’anello blu di San Siro, non perdono una gara casalinga della loro «pazza e amata Inter». Arrivano in auto da Alessandria: duecento chilometri tra andata e ritorno. Claudio di mestiere fa l’operaio per Trenitalia e sua moglie Silvia dopo mesi di disoccupazione ha ripreso da poco a lavorare, subagente in un’assicurazione. «Un sacrificio anche economico certo, ma Matteo è il nostro sole...», dicono. Gianfelice Facchetti ha voluto Claudio e Matteo alla premiazione del “Premio Giacinto Facchetti”, consegnato a capitan Javier Zanetti. Un nome che ricorre nelle loro “telecronache”.
Matteo con la sua inesauribile fantasia se li immagina uno per uno i suoi beniamini in campo, ma se gli chiedono chi è l’idolo, ammette cauto: «Mi piacciono tutti alla stessa maniera, quello che conta alla fine è che facciano vincere la squadra». Una risposta alla Stramaccioni, che ha appena abbracciato alla Pinetina, dove quando può fa capolino con l’inseparabile papà. «Però le sensazioni che proviamo nei 90 minuti a San Siro io e “Matte”, come lo chiamiamo a casa, faccio fatica a spiegarle a parole. Mentre gli descrivo le azioni è una sensazione meravigliosa sentire la sua mano stringere la mia, per tutta la partita. Quella mano che trema a seconda del crescere e il calare dell’intensità del tifo sugli spalti... Queste emozioni condivise rappresentano la mia vera vittoria».
Claudio ha i lucciconi agli occhi, Matteo sorride. Ma in casa Mussi non si vive di solo calcio. Matteo a sei anni aveva già gli sci ai piedi e con le immersioni da sub è sceso fino a 10 metri di profondità. E poi dopo la mattina al Liceo, c’è la musica. «Frequento una scuola di canto e di batteria e con degli amici ho messo su una band rock. Come ci chiamiamo? I “Name Less”, i senza nome...», sorride divertito. E il primo fan della boy band non poteva essere che Claudio. «Un paio di anni fa gli ho creato una web-radio (www.radiosalaprove.it) e un piccolo studio di registrazione. Ha funzionato. Alla sera Matteo si diverte a fare il dj e trasmette le sue canzoni preferite. È una finestra in più aperta sul mondo, perché la difficoltà maggiore per ragazzi non vedenti è proprio la socializzazione. Viviamo in una società individualista e spesso falsamente attenta alle disabilità». Cattivi pensieri che purtroppo sfiorano anche Silvia: «Fa rabbia l’indifferenza, specie quella a scuola della maggior parte dei professori. Sono preoccupati solo del profitto dei ragazzi. E non capiscono che è lo stare insieme agli altri che li aiuterà a crescere e ad integrarsi».
Problemi che non si risolvono, come una partita dell’Inter, con un gol di Milito . Ma l’amore dei suoi genitori, la musica, gli amici della band e le domeniche a San Siro, riempiono gli spazi purtroppo sempre bui della vita di Matteo. E con la sua storia, il calcio torna ad essere poesia. Una poesia d’amore, come i versi che da piccolo gli ha dedicato sua madre: «Quando al mattino sorridi nel sonno, il mio pensiero vola lontano e penso che tu ci veda come tutti gli altri bambini... Le tue manine così avide di conoscenza diventano ogni giorno più abili. Le tue manine preziose, i tuoi occhi».
Massimiliano Castellani 
 
font:http://www.avvenire.it/Sport/Pagine/pap%C3%A0-raccontami-il-gol.aspx

Uomo in stato vegetativo da 12 anni Comunica con i medici: "Non soffro"

Un caso clinico eccezionale al Brain and Mind Institute dell'University of Western Ontario, in Canada. Il paziente ha 39 anni e ha subito diverse lesioni dopo un incidente automobilistico. E' la prima volta che una persona, che si ritiene priva di coscienza, trasmette informazioni rilevanti sul suo stato di salute di VALERIA PINI

Scott Routley (Foto Bbc) 

"E' la prima volta che un paziente incapace di parlare e gravemente cerebroleso è stato in grado di dare risposte clinicamente rilevanti ai sanitari", spiegano i medici del Brain and Mind Institute dell'University of Western Ontario, 1 in Canada, intervistati dalla Bbc.
In coma da 12 anni. L'uomo protagonista di questo caso clinico eccezionale si chiama Routley Scott, ha 39 anni e aveva subito una grave lesione cerebrale 12 anni fa, in un incidente stradale. E' riuscito a rispondere ai medici mentre la sua attività cerebrale era controllata grazie a una risonanza magnetica. Di solito i pazienti vegetativi emergono dal coma in una condizione in cui hanno periodi di veglia apparente. Hanno gli occhi aperti, ma non hanno la percezione di se stessi o del mondo esterno. Nessuna delle valutazioni fisiche condotte su Scott aveva mostrato in lui segni di consapevolezza, o la capacità di comunicare. Ma secondo il neuroscienziato Adrian Owen, che ha guidato il team del Brain and Mind Institute, University of Western Ontario, Rutley non era in stato vegetativo.

La 'lettura' del cervello. L'esperimento è stato possibile grazie alla tecnica messa a punto dallo stesso Owen che da tre anni la sperimenta per 'leggere' la mente di persone in stato vegetativo. Tramite un'avanzata scansione del cervello con la risonanza magnetica funzionale, gli scienziati dell'università di Cambridge hanno dimostrato che i pazienti stavano pensando e potevano interagire con loro.

Il dialogo con Routley. Dopo aver pubblicato i risultati di questo primo studio sul New England Journal of Medicine 2nel 2010, Owen è andato in Canada per continuare la sua ricerca presso il Brain and Mind Institute of Western Ontario, dove ha esaminato il caso di Routley. Anche se i suoi occhi erano aperti e seguiva il normale ciclo sonno-veglia, tutti i test convenzionali, con stimoli visivi, uditivi, tattili, non producevano alcuna risposta. Con la sua tecnica, Owen ha verificato che Routley aveva una qualche consapevolezza mentre gli si davano delle istruzioni e si monitorava la sua attività cerebrale. I medici gli facevano delle domande e gli chiedevano di immaginare due scenari diversi, cioè giocare a tennis e camminare verso casa, a seconda che la risposta fosse 'Sì' o 'No'. Hanno così innescato uno 'schema' di attività in diverse aree del cervello che sono state mappate dalla risonanza, permettendo agli scienziati di comunicare con il paziente.

"Una mente conscia e pensante". "Scott è stato in grado di dimostrare che ha una mente conscia e pensante. Lo abbiamo analizzato più volte e il suo modello di attività cerebrale mostra che sta chiaramente scegliendo di rispondere alle nostre domande. Crediamo che sappia chi è e dove si trova", spiega Owen, soprannominato anche il 'lettore della mente' per i suoi studi sui pazienti con lesioni cerebrali. "Da anni abbiamo lottato per capire cosa provassero i malati. In futuro potremmo porre loro domande per riuscire a migliorare la loro qualità di vita. Potrebbero essere cose semplici che riguardino, ad esempio, la frequenza in cui nutrirli o lavarli", ha aggiunto Owen.

"Sono rimasto molto colpito quando ho visto che Scott stava dando risposte precise", ha detto il professor  Bryan Young dell'University Hospital, di Londra, che da dieci anni segue Routley.

font:http://www.repubblica.it/scienze/2012/11/13/news/un_uomo_in_stato_vegetativo_da_12_anni_parla_con_i_medici_non_soffro-46540804/ 

Paralizzato da ictus, si riprende imitando figlioletta

Completamente paralizzato dopo un ictus, riprende a camminare a parlare imitando suoni e movimenti di sua figlia nata da poco: è la storia a lieto fine di Mark Ellis, 24enne inglese, colpito dalla malattia a due settimane dalla nascita della sua Lola-Rose, che l'ha salvato. Lo riporta il The Week Magazine online. Poco dopo la nascita della piccola, Mark iniziò a soffrire di emicranie finché non fu colpito da ictus. I dottori lo tennero in coma indotto per un po', senza dare alcuna speranza alla moglie Amy e quando si svegliò dissero che comunque sarebbe rimasto per sempre prigioniero della sindrome 'locked-in', ovvero sarebbe stato prigioniero del suo corpo. Mark era cosciente, ma riusciva a muovere solo gli occhi, con cui esprimeva i 'si'' e i 'no'. Ma il contatto con la sua bambina che nel frattempo aveva quasi un anno, lo ha 'miracolato', inducendolo ad una fisioterapia riabilitativa di estrema efficacia: non appena la piccola ha mosso i primi passi, anche il suo papà è riuscito, imitando i suoi movimenti, e lo stesso con le parole, venute dopo settimane passate ad imitare i suoni di Lola-Rose. "Ora usano giocattoli, libri, giochi e iPad insieme, per imparare come comunicare con il mondo", ha detto la moglie

font:http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/mondo/2012/07/22/Paralizzato-ictus-riprende-imitando-figlioletta-_7221946.html

Jason Becker, il genio della chitarra prigioniero della Sla

Quando nel 1988 i medici gli diagnosticarono la Sclerosi laterale amiotrofica, Jason Becker aveva solo 19 anni ma era già una stella fra gli “addetti ai lavoro”, considerato uno dei più talentuosi chitarristi rock sulla scena.
Nato a Richmond, in California, Jason era stato scoperto da un talent scout di giovani fenomeni della sei corde, Mike Varney. A 16 anni aveva formato un duo insieme a un  chitarrista di 7 anni più grande di lui e che avrebbe fatto strada, Marty Friedman. I due, sotto la sigla “Cacophony”, incisero nel 1987 e nel 1988 un paio di album strumentali che stupirono per la qualità e la giovanissima età degli autori. Nel 1988 Jason destò impressione anche con un album solista, “Perpetual Burn”, un piccolo capolavoro di virtuosismo e metal neo-classico che gli valse un ingaggio da parte David Lee Roth, ex cantante dei Van Halen, per il suo nuovo tour. Un impegno che Jason non riuscì a portare a termine a causa di uno strano indolenzimento delle mani. Dopo una serie di esami arrivò la diagnosi fatale: morbo di Lou Gehrig e un’aspettativa di vita, secondo i medici, di pochi anni.
Ritiratosi dalle scene e persa lentamente la mobilità, Jason Becker non è rimasto solo una leggenda per gli appassionati di chitarra elettrica, ma è rimasto strenuamente legato alla musica. Grazie alle apparecchiature acquistate con il contributo economico degli amici e dei fan, ha continuato a comporre attraverso il movimento degli occhi e delle palpebre. Le sue condizioni di salute si sono stabilizzate alla fine degli anni ’90 e 22 anni dopo la scoperta della malattia continua a vivere, accudito dai genitori e dalla sorella.
“Not dead yet”, non ancora morto, è il toccante film-documentario sulla sua vita uscito in America all’inizio dell’anno e che in Italia viene presentato in anteprima stasera (11 giugno), al Biografilm di Bologna (www.biografilm.it)
Andrea Galli 
 
font:http://www.avvenire.it/video/Pagine/Becker-chitarrista-malato-di-sla.aspx

Così gli sceicchi cancellano i simboli cristiani

«Toglieteci tutto, ma non la croce cristiana». È questo l’appello accorato che da Madrid sta girando per l’Europa del pallone, da tempo divenuta la nuova terra di conquista degli sceicchi islamici. D’accordo che per il vil denaro il mercenariato del calcio è disposto a tutto, ma addirittura rinunciare alla storia e alla tradizione, in questo caso “sacra”, del proprio simbolo, questo è inaccettabile. Eppure il club più noto e amato del pianeta calcio, il Real Madrid, alla faccia dei suoi 150 milioni di tifosi sparsi per il mondo (dei quali in Spagna il 30% si dichiarano «cattolici praticanti») lo ha fatto.
Via quella croce dalla corona concessa dalla Chiesa in via del tutto straordinaria al re Alfonso XIII - nel 1920 - per non offendere la religione dei “fratelli musulmani”, entrati a suon di petrodollari nella stanza dei bottoni del club del patron Florentino Perez. Come non accontentare lo sceicco che ha già promesso alle “Merengues” aiuti sostanziosi da qui all’eternità e la possibilità immediata di far partire un progetto di una seconda “Casa Blanca” (modernissimo centro sportivo) nell’isola di Ras Al Khaimah, una delle “sette sorelle” che formano gli Emirati Arabi.
E gli acerrimi nemici del Real, il Barcellona, che per un secolo (112 anni per l’esattezza) hanno tenuto alto il vessillo dell’indipendenza catalana, persino dagli sponsor più opulenti, ma adesso nell’era del “calcioshowbiz” sventolano bandiera bianca. Nella finale del torneo di Abu Dhabi, Messi e compagni sono scesi in campo con una maglia alla quale era stata tassativamente vietata l’esposizione dello stemma classico del Barça, quello con la croce di Sant Jordi. Via anche qui il simbolo cattolico, divieto di farsi anche il segno della croce o di pregare in campo e massima fierezza invece nell’esporre la sponsorizzazione, “Qatar Foundation”, sulla gloriosa casacca blaugrana. Il presidente Laporta per fortuna non ha archiviato lo sponsor solidale, Unicef, al quale il Barcellona continua a dare il suo generoso contributo, ma come poteva rinunciare ai 166 milioni che nel prossimo quinquennio sborserà la holding a cui fa capo il munifico Tamin bin Hamad Al-Thani? Il principe ereditario e futuro Re del Qatar, classe 1980, è partito da un pezzo alla conquista del mondo del pallone.
L’obiettivo finale, peraltro già raggiunto: i Mondiali di calcio del Qatar, nel 2022. «Il Mondiale impossibile», secondo i benpensanti, smentiti e reso reale dagli appoggi del famelico e venalissimo presidente della Fifa, Joseph Blatter che si è inginocchiato dinanzi allo stemma dell’impero degli Al-Thani. Un tesoro da 40 miliardi di euro, dei quali una “piccola parte”, peraltro molto sostanziosa, finisce nella “Qatar Sport Investiments”.
Il giocattolino di Tamin, rampollo di una famiglia a capo di un Paese, indipendente dall’Inghilterra dal 1971, dove risiedono stabilmente appena 1,7 milioni di abitanti, ma che possiede un tasso di crescita che nel 2010 si attestava intorno a un magnifico più 16,3%. Numeri che fanno capire come sia facile per la famiglia Al-Thani scalare e convertire il Barcellona che dopo la Febbre a 90° contrae pericolosamente quella dell’oro.
Ancora più semplice per i discendenti dei mori regalarsi, sempre nella Liga spagnola, il Malaga, e poi puntare in Francia e mettere le mani sul Paris Saint Germain, con la benedizione dell’amico, l’ex Presidente Sarkozy e un assegnuccio da 70 milioni di euro, giusto per controllare almeno il 70% del club. Il direttore generale del PSG, il cattolicissimo brasiliano Leonardo, con un contratto da 5 milioni a stagione per i prossimi quattro anni, non ha esitato a mettersi a completa disposizione del principe del Qatar che per allenatore ha ingaggiato anche il nostro Carlo Ancelotti, rendendolo, tra i malumori dell’opinione pubblica transalpina, l’uomo dallo stipendio più alto di Francia: 6 milioni di euro. Ma lo sponsor sulla maglia del PSG, “Fly Emirates”, lo forniscono gentilmente i fratelli musulmani di Dubai che fino al 2015 sono legati anche al Milan con un contratto da 60 milioni di euro. Finora il “diavolo” simbolo della società del presidente Silvio Berlusconi, a quelli di Dubai pare non dia fastidio, ma non è escluso che prima o poi possano emettere una “fatwa”, come quella che due anni fa colpì i rossoneri in Malesia. Due imam, feroci quanto le tigri di Mompracen bandirono dai campetti malesi la maglia del Milan: «Perchè un musulmano - disse il leader religioso Nooh Gadot - non deve venerare simboli di altre religioni o il diavolo». I signori di Dubai sponsorizzano anche l’Amburgo nella Bundesliga e per 90 milioni di euro hanno acquistato il club spagnolo del Getafe.
Ma il capolavoro del gruppo è stato la conquista del title-sponsor dello stadio dell’Arsenal che per i prossimi 15 anni (per un totale 100 milioni di euro) recherà l’intitolazione “Emirates Airlaines”. Volano le azioni e gli investimenti in nome di Allah anche da Abu Dhabi. Dalla sua regale dimora, lo sceicco Mansour ha deciso di spendere e spandere per rendere il Manchester City una potenza mondiale del football. E finalmente i 250milioni di sterline (23 dei quali serviti per acquistare Mario Balotelli), dopo 44 anni di attesa, hanno fruttato la tanta agognata conquista della Premier da parte del City allenato da Roberto Mancini. Dal Bahrain sono partiti con una cifra e un profilo più basso, accontendadosi di rilevare in Spagna il piccolo “Real”, quello del Racing Santander. Per ora i magnati della Western Gulf preferiscono i motori (Dal 2004 organizzano il GP di Formula 1 del Bahrain) come dimostra il 30% delle loro azioni nella McLaren. Ma dove c’è sport, ormai, lì c’è la casa del “sultano”. Maragià che arrivano con le loro truppe cammellate per stipulare contratti faraonici, ma imponendo sempre il proprio credo che non tiene mai conto della storia e tanto meno della tradizione religiosa del Vecchio Continente, così in crisi da accettare di tutto. Tanto è lo sceicco che paga.
Massimiliano Castellani 
font: http://www.avvenire.it/Sport/Pagine/Cosi-gli-sceicchi-cancellano-i-simboli-cristiani.aspx

I fantastici 400 metri di Matt: la lezione di un piccolo disabile

Il suo cognome non è noto, ma la sua impresa, immortalata in un filmato, sta facendo il giro del mondo. Affetto da paralisi spastica cerebrale, il bambino ha gravissime difficoltà motorie. ma partecipa alla gara di corsa. Arriva ultimo, ma è un trionfo di umanità

di PAOLO GALLORI
IO ESISTO. E sono come voi. Forse non vi batterò mai. Ma, in fondo, esiste un essere umano sicuro di poter affermare che su questa terra non esista nessuno in grado di superarlo in qualsiasi prova d'abilità, intelligenza o coraggio? Forse era questo il mantra che il piccolo Matt si ripeteva mentre arrancava e osservava i suoi compagni di scuola corrergli davanti e sparire già dopo la prima curva. Ma lui non se curava. Lui era in gara con la vita. E grazie a lui, la vita ha vinto.

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Matt, cognome sconosciuto, frequenta le scuole elementari "Colonial Hills" di Worthington (Ohio). Ha un bellissimo viso, tratti sottili e gentili. E' completamente calvo, ma non ci fa caso nessuno. Perché Matt è affetto da una grave forma di paralisi spastica cerebrale. In pratica, Matt ha enormi difficoltà motorie, perché non riesce a controllare e comandare gli arti. Per questo, chi lo osserva per la prima volta non fissa i suoi occhi, non nota quella bella testolina lucida. L'attenzione è tutta per gli sforzi che fa nel semplice camminare, caracollando passo dopo passo come un soldatino di latta.

Matt è abituato a quegli sguardi, la curiosità e la pietà degli altri non gli interessano. Perché lui crede in se stesso e nelle sue gambe. Ci crede al punto da iscriversi alla gara dei quattrocento metri piani ai giochi della gioventù del suo istituto. Eccolo,
sulla linea di partenza, assieme a un pugno di avversari. Davanti a sé, Matt ha una pista nell'erba lunga 200 metri, da correre a perdifiato per due volte. Un insegnante nel ruolo di starter avverte i concorrenti: "Vi dirò semplicemente GO!".
"Go, vai! In fondo è facile, devo semplicemente scattare e lasciar andare le gambe". L'insegnante dà il via alla competizione, pochi metri e Matt già mangia la polvere sollevata dalle scarpette dei coetanei. Da quel momento, in pista restano solo lui e la sua sfida. Le ginocchia di cemento, cosce e polpacci, sottilissimi, piegati rigidamente a elle, è come se Matt stia correndo su piccoli trampoli, occhi sempre puntati a terra, un metro davanti ai piedi.
Gli altri sono già arrivati al traguardo quando Matt non ha ancora completato il primo giro. Dopo il primo scatto entusiasta, ha rallentato, sbuffa e barcolla, quasi si ferma mentre intorno è silenzio. Un silenzio che non dura molto. Dapprima è il signor Blayne, l'insegnante di ginnastica, ad avvicinarsi a Matt. Forse vuole solo sincerarsi delle sue condizioni, forse vuole incoraggiarlo. O forse gli dice che "va bene così, sei stato bravo". Matt fa un cenno col capo e riprende la sua corsa, taglia il traguardo e prosegue per il secondo giro.
Ed è a questo punto che la scena cambia radicalmente. Un bambino dopo l'altro, i ragazzini della Colonial Hills si avvicinano a Matt, sono sempre di più, dieci, venti, cinquanta. Scandiscono in coro il suo nome, battono ritmicamente le mani, quasi a dettare l'andatura al loro compagno. Ma nessuno, nessuno, si permette di precederlo. Sono tutti lì, dietro Matt, a spingere, osservando il numero di gara sulla schiena del loro piccolo Dorando Pietri o Forrest Gump, un cartoncino attaccato con una spilla.
Finché Matt taglia il traguardo e viene travolto dall'abbraccio di bambini bianchi, neri, maschietti, femminucce. Diversi e uguali, come in fondo tutti siamo su questa scheggia di pietra lanciata nello spazio. L'impresa di Matt e il clima di serenità in cui si svolge, rappresentano un messaggio potente. E una vittoria di tutti. Ma in fondo, visto che siamo negli Usa, ha ragione lo slogan di molti tifosi del footbal americano che allo stadio masticano arachidi e bevono birra: "Vincere, perdere...Ma a chi interessa?". (02 giugno 2012)


font:http://www.repubblica.it/esteri/2012/06/02/news/usa_i_400_metri_di_matt-36386626/

Educazione: Ragazze, c'è papà di guardia

Lei ha 16 anni, la sera esce con gli amici. Ma se all’una e un quarto di notte – 15 minuti dopo il tempo stabilito – non è ancora tornata, un padre «come si deve» non aspetta inerte in salotto, ma sale in macchina e la va a cercare. E quando lei uscirà con un ragazzo – perché capiterà, prima o poi: le figlie non vanno alle elementari in eterno –, lo stesso padre non permetterà che lui l’attenda in strada: pretenderà invece che entri in casa, che si presenti e, guardandolo negli occhi, gli farà capire che lo ritiene responsabile di quello che succederà alla sua bambina. Bambina, sì, perché a 16 anni (ma anche a 18 o a 20) le ragazze hanno bisogno ancora e sempre di una guida. Quindi, padre (spesso confuso) di un’adolescente, occorre restare sul campo di battaglia. Proteggerla. Difenderla. Intervenire. Alzare barriere intorno a lei. Non lasciarla sola, alla mercé di sé stessa e di una società che la vuole far crescere prima del tempo. Una prospettiva rivoluzionaria, in tempi di disimpegno educativo come quelli che viviamo. In tempi in cui padri (e madri) si dedicano a spa e massaggi, running, free climbing e bungee-jumping, convinti (o, meglio, speranzosi…) che il loro compito termini quando i figli sono alle superiori. Che, dopo essere diventati degli assi a cambiare pannolini e a preparare pappe – i giovani papà questo l’hanno imparato, ed è già stata una conquista – beh, adesso tocca a loro giocarsi la partita. Soprattutto se femmine, perché quando crescono la delega alla madre diventa in bianco: i padri, semmai, si limitano a un ruolo «di spalla», perché donna con donna ci si capisce di più. Sbagliato, sbagliatissimo. È vero esattamente il contrario: il bello, per padri di figlie femmine, viene proprio con l’adolescenza. Sono loro a costruire il modello di uomo a cui in futuro le figlie si avvicineranno. È sotto lo sguardo del padre che una bambina diventa donna. Dunque, come non si può disertare al ruolo di padre accanto ai figli bambini, questo vale ancora di più con i teenager. La chiamata dei padri alle armi arriva da una pediatra americana di lunga esperienza, Meg Meeker, madre di quattro figli. Nell’ultimo decennio ha visto il suo studio riempirsi di quattordicenni depresse, anoressiche, bulimiche, con il cuore a pezzi. Colpa della libertà in cui vivono e anche del fatto che nessuno dice loro con fermezza e autorevolezza quali sono le regole della casa e, soprattutto, che le facciano rispettare. Cari padri, chiede la Meeker in Papà sei tu il mio eroe (Ares, pp. 256, euro 16), volete questo destino di infelicità per le vostre figlie? Volete chiudere un occhio quando passerà le notti in bianco in discoteca? Volete che all’università passi il tempo a imbastire "storie" perdendo di vista l’obiettivo? Volete vederle uscire di casa a 12 anni in minigonna e top? I padri possono impedire tutto questo, sostiene con piglio tutto americano la Meeker. Lo possono fare perché proprio da loro – gli uomini di casa – le figlie cercano l’autorità, la fermezza. Non l’amicizia, non la complicità: proprio le regole. Li odieranno, ma li rispetteranno. E sapranno che c’è qualcuno che le ama.

Però occorre rimboccarsi le maniche e capire, come scrive nella prefazione Mariolina Ceriotti Migliarese, «qual è la parte che compete loro nei confronti delle meravigliose piccole donne di oggi, così sfrontate, così vulnerabili, così esigenti, così belle...».  L’adolescente, spiega la Ceriotti Migliarese, «ha bisogno che iI padre, primo rappresentante per lei del mondo maschile, ottenga la sua stima e le insegni cosa può e deve aspettarsi da un uomo; che le insegni il rispetto di sé stessa attraverso il rispetto che lui le dimostra». Una donna che è stata amata e rispettata dal proprio padre «non ha bisogno di lottare contro il maschile perché può riconoscerlo complementare a sé». Sembra facile, ma per stare accanto in modo consapevole a una teenager bisogna attrezzarsi. Nella pratica, occorre dimostrare affetto e accoglienza ma nella fermezza. Niente pigiama party a 13 anni, niente discoteche fino a 16, niente vacanze «solo ragazzi», orari ferrei per il rientro alla base. Se da un’amica, durante un ritrovo, la piccola ha bevuto troppe birre, be’, in quella casa non ci entrerà più. Se c’è bisogno di una punizione, nessuna paura a darla. Nessun imbarazzo a dirle che il suo corpo esige rispetto, che deve aspettare e non cedere alle pressioni dei ragazzi. Sono le regole di casa, dovrà rispettarle. Ma perché deve essere proprio il padre a sobbarcarsi il «lavoro sporco»? Perché la sua presenza attiva in famiglia è una buona assicurazione contro la devianza, l’abbandono scolastico e, per entrare in ambito di comportamenti sessuali, la promiscuità, i rapporti e le gravidanze precoci. E poi perché quella del padre è l’immagine di uomo con la quale la figlia crescerà. Se sarà autorevole e determinato, cercherà un compagno di vita autorevole e determinato. Se sarà distratto e superficiale, menefreghista e poco affettuoso, è probabile che anche lei si accontenterà di un marito così, andando incontro a disastri sentimentali. Potrebbero sembrare semplificazioni all’americana, ma queste considerazioni sono supportate da una gran mole di ricerche. Regole, controllo, severità. Ma il padre di una teenager sa come può essere duro tutto questo, quali scenate e pianti e urli e ricatti emotivi si scatenano in casa. L’importante è non arrendersi e accompagnare le regole con il dialogo e con le giuste motivazioni. Ne vale la pena. I padri che sogna la Meeker sono gli stessi che immaginava Barack Obama quando in un discorso in campagna elettorale (era il 2008) disse: «Padri, siate migliori».

Un richiamo giusto, soprattutto se cade in una società come quella americana, in cui il 70% dei giovani non vive con il proprio padre naturale. A maggior ragione, essere un padre efficace vuol dire togliersi del tempo per stare con le figlie, concentrarsi su di loro, mettere a punto un piano educativo fin da quando sono piccole, non mettere al primo posto né carriera né sport né vita sociale ma proprio loro.  Dell’importanza della figura del padre si parla ormai da anni, anche in Italia non mancano studi (anche se, per la verità, concentrati sui figli piccoli), ma quel che conta, alla resa dei conti, è la pratica: e questo libro insegna come un padre può tornare a essere, come è sempre stato, quello che detta le regole in casa. Con una nuova amorevolezza, certo, con un nuovo coinvolgimento affettivo, ma pur sempre con autorità e fermezza.

Antonella Mariani 

font: http://www.avvenire.it/Cultura/Pagine/ragazze-papa-di-guardia.aspx
font foto:http://cresimadimatilde2010.blogspot.it/2010_05_01_archive.html

Salviamo la 'banda' Zeman

La domenica calcistica ha regalato  la promozione in serie A del Pescara di Zeman. Una storia bellissima perché è la vittoria di una squadra ma soprattutto di personaggio scomodo, almeno per quello che possiamo vedere dall'aspetto pubblico e da ciò che appare (io non ho la fortuna di conoscerlo personalmente). E' un risultato straordinario per il calcio che a me piace, quello fatto di proposta offensiva, di difesa diversa della palla e della porta. È il calcio che dovrebbe sempre vincere, proprio perché invece è molto più facile impedire di essere dribblati che dribblare. E Zeman in questo è stato un precursore, un allenatore che ha sempre preteso dai proprio uomini un gioco d'attacco fatto di gol. Per la verità nelle grandi squadre che ha guidato non è riuscito a coniugare l'equilibrio tra la fase offensiva e quella difensiva, ma il campionato vinto a Pescara è quello che serve al nostro pallone, ancora di più a un campionato come la serie B, che dovrebbe dimenticare tatticismi e l'ansia di fare risultato a tutti i costi: tutte le squadre dovrebbero imparare e vincere con il bel gioco. Perché la serie B dovrebbe diventare, mi auguro, il bacino dei talenti futuri del calcio italiano.
La quasi totalità della rosa del Pescara è composta di giocatori italiani (solo tre gli stranieri), uomini che in quasi tutti i campionati europei il prossimo anno giocherebbero titolari. Invece è sotto gli occhi di tutti che i campioncini della squadra di Zeman nella prossima stagione, se cambieranno maglia, in Italia faranno panchina. Vedi Verratti, 'bloccato' da Pirlo se andrà alla Juve, o Insigne e Immobile con Cavani e Hamsik al Napoli. Sono tutti invece calciatori che, per la loro crescita e per la Nazionale, sarebbe bello che giocassero titolari. Il mio sogno è che possano continuare a farlo nel Pescara di Zeman in serie A. Sarebbe bellissimo vedere questi ragazzi giocare alla stessa maniera anche massimo campionato, affrontare le grandi squadre e i grandi appuntamenti, con risultati soddisfacenti per i tifosi, l'allenatore e per loro stessi. E poi mi piacerebbe che la squadra non venisse smembrata e magari riempita di giocatori che vengono presi all'estero, dal Sudamerica o in altri mercati meno importanti, dove attingono la maggior parte delle società medio-piccole per motivi che sono chiari a tutti. 

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PGS Liguria:In marcia nel Parco delle Cinque Terre

Il gruppo Pgs Marce La Spezia, con il patrocinio del Comune di Riomaggiore e del Parco Nazionale delle Cinque Terre, organizza domenica 25 marzo la marcia non competitiva a passo libero (km. 5 – 8 – 18 – 25). I percorsi si snoderanno attraverso i sentieri del Parco tra vigneti, uliveti, castagneti e macchia mediterranea. I partecipanti avranno la possibilità di passeggiare lungo viottoli e scale centenarie che fino a qualche anno fa erano le uniche vie di collegamento tra i borghi di questo tratto dell’estremo levante ligure; di immergersi nei borghi marinari di Riomaggiore e Manarola, collegati fra loro dalla famosa “Via dell’ Amore”; di visitare le frazioni collinari di Groppo e Volastra, di Porciana e Pianca immerse nel verde dei vigneti a terrazza, con panorami unici sulla Costa Ligure, sull’ Arcipelago Toscano, sulle isole Palmaria e Tino, sulla Corsica e sugli altri paesi delle Cinque Terre. La marcia, valida per i concorsi ”Palio del Marciatore” – Internazionali IVV - Nazionali FIASP - Piede Alato - Brevetto Stramarciatore di Viareggio, avrà luogo con qualsiasi condizione metereologica.

PGS Piemonte - Pattinaggio: Asti, i "verdetti" dei campionati provinciali



Il Palameridiana di Settime ha visto impegnati una settantina di giovani pattinatori. Assenti giustificati, per impegni in Nazionale, Noemi Mattina, Federico Trento e Andrea Nicastro.Tutti i vincitori delle singole categorie


Si sono svolti nella cornice dell’impianto sportivo “Palameridiana” di Settime d’Asti i Campionati Provinciali di pattinaggio artistico 2012: la due giorni di gare, organizzata congiuntamente da Blue Roller, New Asti Skating e PGS Nicese, ha visto misurarsi circa 70 giovani atleti di cui molti alla loro prima esperienza in una gara ufficiale. Nella giornata di sabato hanno gareggiato i più giovani atleti, delle categorie dei Giovanissimi ed i Esordienti. Nella categoria Giovanissimi A femminile ha vinto il titolo provinciale Piatto Marta (New Asti Skating) che, prima negli esercizi obbligatori e seconda negli esercizi liberi, si è imposta sulle compagne di squadra Damasio Antonella, Zichitella Martina (rispettivamente seconda e terza), Provenzano Eleonora e Sanfilippo Desiree’.
La Categoria Giovanissimi B Femminile ha visto affermarsi Staccione Sara (Blue Roller) prima sia negli esercizi liberi che negli obbligatori, sulle compagne di squadra Sgrinzi Sara e Cavalli Giorgia (seconda e terza) a seguire Mondo Valentina, Cavallo Giulia Rita (Blue Roller) e Stradella Alice (New Asti Skating), vincitore della categoria Maschile è risultato Grimaldi Alberto (PGS Nicese).
Nella categoria Esordienti A Femminile El Fouton Gaia Nesrin (Blue Roller) con due vittorie in libero e obbligatori si è affermata su Ruscalla Veronica e Russo Federica (New Asti Skating) a seguire Bincoletto Irene, Pisana Alessia, Bernardini Alessia e Bernardini Gaia (New Asti Skating).
Nella Categoria Esordienti B Femminile Cavagnero Chiara (Blue Roller), vincitrice della gara di libero, si è affermata di misura nella classifica di combinata su Bologna Giada (New Asti Skating) vincitrice della gara di esercizi obbligatori.
Nella categoria Esordienti B maschile Matteo Penasso (Blue Roller) si è aggiudicato il titolo provinciale con una gara lineare e senza sbavature, eseguendo un esercizio libero di ottimo livello. Nella divisione Nazionale A Coppia Danza ha vinto la coppia composta da Brovero Matilde e Gasparin Marco (Blue Roller).
Nella giornata di domenica hanno gareggiato le Categorie Esordienti regionali, Allievi A, Allievi B, Allievi Regionali, ed i più esperti atleti che militano nelle Divisioni Nazionali e nelle Categorie Effettive.
Esordienti Regionali, nella vivacissima gara di esercizi obbligatori che con ben 16 atleti iscritti è stata la più partecipata si è affermata Forno Beatrice (New Asti Skating) seconda e terza rispettivamente Bravo Clelia (Blue Roller) e Conta Camilla (PGS Nicese) a seguire Todeschini Asia (Blue Roller), Valente Rachele Sigliano Federica (Blue Roller), De Rensis Martina, Bortolomai Gaia (New Asti Skating), Piccarollo Sofia Giulia (PGS Nicese), Albano Francesca (Blue Roller), Bortolomai Ilaria Massa Federica, Ambrosone Giorgia, Bruni Stefania (New Asti Skating), Biscione Eleonora (PGS Nicese) e Montanella Giulia (New Asti Skating).
Nella stessa categoria la gara di Libero è stata vinta da Todeschini Asia (Blue Roller) seconda Conta Camilla (PGS Nicese) e terza Bravo Clelia (Blue Roller) davanti alle compagne di squadra Sigliano Federica e Albano Francesca.
La gara Allievi A femminile ha visto affermarsi Berta Alessandra (PGS Nicese), mentre la combattutissima gara delle Allieve B ha visto prevalere nella combinata aggiudicandosi il titolo provinciale Celeste Melissa (PGS Nicese) davanti a Romito Aurora (New Asti Skating) e Marchelli Chiara (PGS Nicese).
Tra Allieve Regionali ha vinto la gara di Obbligatori Franco Francesca (Blue Roller) a seguire Brovero Matilde (Blue Roller), Limasco Melissa (PGS Nicese), Alloisio Ilaria, El Fouton sabrina (Blue Roller), Salatin Valentina e Bisacco Sara (PGS Nicese). Nella stessa categoria la gara di libero è stata vinta da Alloisio Ilaria al secondo e terzo posto Brovero Matilde ed El Fouton sabrina (Blue Roller) a seguire Limasco Melissa, Salatin Valentina, Bisacco Sara e Grimaldi Veronica (PGS Nicese).
Nella Divisione Nazionale A femminile ha vinto la gara di obbligatori e la combinata Greta Salimbene (New Asti Skating) seguita dalla compagna di squadra Bologna Giada, vincitrice del gara di libero Carlotta Mazzon (PGS Nicese).
Nella Divisione Nazionale B m. ha vinto il titolo di libero Boido Giacomo (PGS Nicese). Divisione Nazionale B femminile in una gara molto combattuta il titolo di combinata è andato a Gavelli Giulia (PGS Nicese) mentre obbligatori è andato a Romito Barbara (New Asti Skating), nella gara di libero vinta da Marta Mingolla (New Asti Skating) ha ben figurato anche la compagna di squadra Pippia Sara.
Nella divisione Nazionale C femminile si è affermata in Obbligatori, Libero a e Combinata Erika Cerutti (PGS Nicese), seguita da Pippia Jessica (New Asti Skating). Divisione Nazionale D femminile titolo di Obbligatori a Nicolò Sara (Blue Roller). Nella Categoria Cadetti femminile, ha vinto obbligatori, libero e combinata Borsello Celeste (New Asti Skating)
Nella Categoria Jeunesse femminile. ha vinto la gara di obbligatori Mingolla Marta (New Asti Skating) seguita dalla compagna di squadra Pippia Sara. Nella Categoria Juniores femminile si è affermata nella gara di obbligatori Pippia Jessica (New Asti Skating).
"Si è trattato se di un campionato Provinciale ricco di luci e con alcune ombre - spiega Giancarlo Trento, delegato provinciale FIHP - per un verso emergono segnali confortanti per il pattinaggio astigiano per il numero dei giovani atleti che si sono affrontati nelle gare e per gli ottimi livelli di pattinaggio che tutti, aldilà delle classifiche, hanno saputo dimostrare per altro verso manifestano le già note difficoltà di utilizzo della pista di allenamento della PGS Nicese che oltre che creare difficoltà ad una atleta di livello internazionale come Noemi Mattina, pesano sulla possibilità di svolgere attività per i più giovani".
Certamente positivo in questi campionati è stato registrare una crescita del livello tecnico degli atleti di tutte le società, che fa ben sperare per il futuro; una punta di rammarico per non aver potuto vedere in pista tre degli atleti di punta del pattinaggio Astigiano Noemi Mattina (PGS Nicese), Andrea Nicastro e Federico Trento (Blue Roller) impegnati a Calenzano (FI) con il raduno della Nazionale.


Apple, la Cina e i costi umani per iPad e iPhone

Incidenti mortali, suicidi e turni di 24 ore sette giorni su sette nella fabbriche dove vengono prodotti tablet e telefono


PECHINO - Semplici eppure geniali. Oggetti di cui non si può più fare a meno: iPad, iPod, iPhone, per citare soltanto i più noti, i più apprezzati, i più rincorsi. Oggetti dalle linee pulite entrati nell’immaginario collettivo. Tecnologia cult che contribuisce a modificare il nostro stile di vita. Ma anche, come un moderno, perverso contrappasso, lo stile di vita chi li produce in conto terzi, ovvero milioni di lavoratori cinesi costretti a rispettare turni estenuanti in condizioni che nessuno, in Occidente, potrebbe nemmeno figurarsi, tanto meno accettare. È il New York Times a far cadere un velo che, per la verità, appare davvero sottile, su una realtà al limite dell’incredibile con una lunga e dettagliata inchiesta cui, finora, la Apple, principale committente di prodotti che ne hanno decretato l’inarrivabile successo degli ultimi dieci anni (utili a 13 miliardi di dollari), non ha voluto replicare ufficialmente.
L'INCHIESTA- Questa realtà parla di incidenti, spesso mortali, nelle differenti aziende che lavorano per il gigante americano dell’elettronica stilosa. Con un’attenzione particolare alla Foxconn, se non altro perché è la più grande fabbrica della Repubblica Popolare (un milione e 200 mila tra operai e addetti) che, oltre a quelli della Apple, assembla i prodotti di industrie come Amazon, Dell, Hewlett-Packard, Nintendo, Nokia e Samsung. La Foxconn, entrata nelle cronache per una «epidemia» di suicidi tra i suoi dipendenti, ha il suo centro nevralgico a Chengdu, metropoli di 12 milioni di abitanti nella provincia del Sichuan, ma ha fabbriche ovunque in Cina e, scrive il New York Times, dai suoi capannoni esce il 40% di tutti i prodotti di elettronica venduti nel mondo con svariati marchi.
TURNI MASSACRANTI- Ma i «gioielli» restano ovviamente i colorati oggetti partoriti dal genio del compianto Steve Jobs. Che probabilmente ignorava le condizioni in cui venivano realizzati se è vero che, in passato, aveva lodato la struttura produttiva cinese: «Le loro fabbriche hanno mense, cinema, piscine», aveva detto durante un convegno. Vero, verissimo. Soltanto che il prezzo pagato dai lavoratori è al di là di ogni immaginazione (occidentale). Basta leggere il cartello che mette in guardia gli operai, come una riedizione del dantesco «Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate». Dice: «Lavorate duramente oggi o duramente trovatevi un altro lavoro domani». Poi il New York Times elenca con precisione come lavorano i dipendenti: turni sulle 24 ore, sei giorni su sette, 12 ore per turno, senza potersi mai sedere, punizioni per i ritardatari, costretti a scrivere umilianti lettere di scuse, dormitori affollati all’inverosimile.
LA DIFESA- La Foxconn si difende negando di «maltrattare gli operai» e anzi affermando di «rispettare le leggi della Repubblica Popolare». D’altro canto, la Apple ha varato un codice di condotta aziendale che vieta di servirsi di fornitori che impongano condizioni disumane ai dipendenti. Evidentemente, fa capire il New York Times, non sempre queste condizioni vengono verificate puntualmente. Altrimenti la Foxconn non sarebbe tra i fornitori della Casa di Cupertino. Quando il britannico Mail on Sunday ha pubblicato un'inchiesta sui metodi impiegati in un impianto della Foxconn a Shenzhen (turni infiniti e persino punizioni fisiche, come l’obbligo di fare flessioni in stile caserma), alcuni dirigenti della Apple si sono detti «scioccati: non sapevamo che cosa succedesse davvero in Cina, tutto questo deve essere cambiato».
«APPLE NON SI PREOCCUPA» - Nella realtà, poco può essere modificato seguendo la logica del profitto imposta dall’industria fondata da Jobs. Perché i margini per il fornitore sono esigui e possono aumentare soltanto riducendo i costi di produzione. In Cina questo viene fatto a spese dei lavoratori, costretti a turni inaccettabili, a utilizzare prodotti chimici pericolosi, a subire soprusi per lavorare di più e meglio. «Una volta che la Apple ha scelto un fornitore - spiega al New York Times un anonimo (ex) manager - difficilmente si preoccupa se il codice di condotta è rispettato come garantito prima di firmare il contratto». Essenziale, prima di tutto, è che iPod e iPad siano a regola d’arte. O che gli iPhone piacciano al pubblico. Che nulla sa del sudore e della sofferenza nascosti nei circuiti interni.
Paolo Salom26 gennaio 2012

Sei chili di ghiaccio secco in una vasca di acqua bollente.

E' nella top ten dei video più visti su YouTube, e rimbalza da ore su tutti i social network. Protagonisti del video sono alcuni ragazzi italiani che decidono di fare un esperimento: versare sei chilogrammi di ghiaccio secco in una vasca da bagno piena di acqua bollente. Il risultato? E' visibile... e dal bagno, rapidamente, abbraccia tutta la casa...




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Video shock: ecco i danni provocati da una sola sigaretta - video

I danni causati dal fumo sono stati ormai ampiamente evidenziati, trattasi di un vizio che vanta un tasso di mortalità elevatissimo in tutto il mondo. Ciò che colpisce in questo video amatoriale, fra i più visti quest'oggi su youtube, sono le immediate conseguenze che una singola sigaretta è in grado di provocare ai polmoni umani, sostituiti in questo caso con dei recipienti di plastica. Un video che sicuramente merita una riflessione


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