La storia:avevano deciso l'aborto poi la parrocchia «adotta» bambino

I genitori ripensano alla loro decisione, dopo che padre Nike si impegna a comprare per il bambino quanto serve

LIVORNO - Una famiglia già numerosa, un solo lavoro, una gravidanza inaspettata in un periodo di crisi. Ma l'aborto, già deciso con tanto di appuntamento fissato in clinica, è stato fermato dopo l'intervento di «padre Nike», al secolo don Maurizio De Sanctis, il sacerdote-ballerino al quale la coppia aveva deciso di comunicare la loro decisione.
È successo a Livorno, nel quartiere «rosso» della Rosa, dove sarà la parrocchia ad adottare il nascituro. «La mia comunità parrocchiale ha un mutuo di 200 mila euro, ma un cuore più grande: oggi abbiamo salvato la vita di un bambino» ha scritto padre Nike sulla sua bacheca di Facebook il 20 dicembre, raccontando poi la storia ai fedeli della chiesa di Santa Rosa durante la messa di Natale. La coppia abita proprio in zona, alla Rosa, storicamente tra le più a sinistra della città quando si aprono le urne, ma intorno alla cui chiesa gravitano almeno 5 mila persone. «Compreremo noi ciò che serve al bambino: la carrozzina, l'abbigliamento, il biberon. Tutto ciò che serve quotidianamente - assicura don Maurizio, laureato peraltro in psicologia, oltre che in filosofia e teologia - Solo così sono riuscito a convincere i genitori». Il dialogo tra il prete e la coppia è durato per ore, ma pur condividendo le idee del parroco sul valore della vita, i due erano rimasti scettici: lui lavora, lei no e le spese con tre figli sono già considerevoli. «Così mi sono giocato l'ultima carta e ho detto loro che li avremmo aiutati. Abbiamo fatto di questo Natale il nostro Natale - chiosa padre Nike - È stato come accogliere Gesù».
font:http://corrierefiorentino.corriere.it/firenze/notizie/cronaca/2011/27-dicembre-2011/avevano-deciso-aborto-poi-parrocchia-adotta-bambino-1902671597480.shtml

Ha preso il via all’Oratorio S.Anna il Memorial “Alberto Cappello”

Modica - La manifestazione organizzata dal Gruppo Pgs è tornata a disputarsi dopo 19 anni dalla sua prima edizione in memoria del giovane centauro modicano che perse la vita in un incidente stradale nella Via Boccone del Povero.Mercoledì sera la cerimonia inaugurale che ha visto la presenza dei genitori e familiari di Alberto Cappello, Padre Scarso, del sindaco di Modica, Antonello Buscema, dell’Assessore allo Sport, Giovanni Spadaro che è anche vicepresidente della PGS, dei responsabili della Pgs Don Bosco, Emanuele Giannì e Sergio Cappello, fratello del compianto Alberto. Ad inizio cerimonia Padre Scarso ha riunito tutti i presenti in un momento di preghiera nel ricordo di Alberto; il capitano della squadra di casa la Don Bosco, Carlo Avola, ha consegnato un omaggio floreale ai genitori di Alberto e si è proseguito con il saluto delle 17 squadre partecipanti al memorial per un totale di oltre 170 atleti che disputeranno le loro gare in notturna a partire dalle 20.00. L’incontro inaugurale ha visto in campo le formazioni della Don Bosco e della Sea Friends concluso con la vittoria della Don Bosco per 6 a 1.


Ginnastica: buoni risultati della Polisportiva Niche di Imperia a trofeo nazionale di San Maurizio Canavese

A 10 anni dalla scomparsa di Don Gino Borgogno, fondatore delle Polisportive Giovanili Salesiane, il Comitato Regionale Piemonte PGS, ha organizzato, presso il Centro Polisportivo di San Maurizio Canavese (TO), da venerdì a ieri, il primo Trofeo Nazionale di Ginnastica Artistica intitolato al lungimirante sacerdote, Don Gino, che dedicò tutta la sua vita alla crescita di questo Ente di Promozione Sportiva. 15 le società partecipanti, provenienti da Liguria, Piemonte e Veneto, che si sono sfidate in una competizione a squadre nelle diverse specialità della ginnastica artistica: volteggio, trampolino, trave, corpo libero e parallele.
Nel settore femminile le squadre dell'Associazione Sportiva Dilettantistica Niche di Imperia, accompagnate e dirette dagli allenatori, Cordeglio Elena, Ferrari Manuela, Franchini Roberta e Mela Elisa, si sono distinte posizionandosi nella classifica generale come segue: al primo posto con la squadra giovanile (Agnese Serena, Cecchini Katia, Giachino Alice, Musso Beatrice), ed al secondo e terzo posto con le due squadre senior (Bosia Cecilia, Corradi Annamaria, Giacchino Giulia e Loiacono Luana – Peirone Chiara, Piombo Ilaria, Pollero Elisabetta, Ravotto Silvia e Viani Alice). Nelle diverse classifiche per attrezzo, ancora ottimi risultati: 2 ori alla trave con Agnese Serena e Corradi Annamaria, 3 argenti: alla trave Giacchino Giulia e Giacchino Alice, al mini- trampolino elastico: Cecchini Katia, 2 bronzi: al corpo libero ancora Giacchino Alice ed al mini-trampolino elastico: Beatrice Musso. Il Presidente Luciano Franchini si dichiara molto soddisfatto della prestazione delle sue ginnaste:”Questa competizione, in un periodo in cui la preparazione tecnica è ancora incompleta, è stata un efficace momento di confronto ed un test molto importante per valutare il livello delle nostre ragazze, che come sempre hanno dimostrato che l'impegno ed il sacrificio ripagano le fatiche sostenute. Questa verifica ci permetterà, inoltre, di meglio comprendere le nostre lacune e mirare i futuri allenamenti al conseguimento di risultati migliori”. Prossimo appuntamento per tutte le ginnaste dell'ASD NICHE – settore agonistico, nell'anno nuovo con i Campionati Regionali, validi per la qualificazione alle finali nazionali in programma a maggio a Lignano Sabbiadoro.
Carlo Alessi

font:http://www.sanremonews.it/2011/12/12/leggi-notizia/argomenti/sport/articolo/ginnastica-buoni-risultati-della-polisportiva-niche-di-imperia-a-trofeo-nazionale-di-san-maurizio-c.html

Inizia bene la stagione per le atlete della Ginnastica PGS Intemelia

Inizia bene la stagione agonistica per le atlete dell'Associazione Sportiva Dilettantistica PGS Intemelia di Bordighera, tornate ieri con un “en-plein” dal Trofeo d'Autunno, gara a squadre di ginnastica artistica che si è tenuto sabato scorso a San Maurizio Canavese (Torino).Erano ammesse alla gara le atlete che in ogni programma e categoria delle fasi nazionali della Don Bosco Cup 2011 avevano riportato i migliori punteggi nella loro squadra.Le ragazze hanno sostenuto gare di specialità a corpo libero, trave, volteggio e trampolino.Hanno partecipato squadre provenienti da Piemonte, Liguria e Veneto.La PGS Intemelia era presente con una squadra della categoria giovanile del programma A (il più impegnativo) e due squadre, una giovanile e una senior del programma B.Tutte e tre le squadre si sono classificate al terzo posto nelle rispettive competizioni, con punteggi di tutto riguardo.In ogni settore, inoltre, non sono mancate le qualificazioni di specialità; nel programma A la squadra era composta da Serena Sasso, Chiara Artioli e Arianna Saponiero; Chiara Artioli si è piazzata al secondo posto nella specialità volteeggio.La squadra giovanile del programma B (Elena Croesi, Sofia Crespi, Virginia Duce, Valentina Blancardi e Tea Lazzaretti) ha centrato anche tutti i podi di specialità, con Tea Lazzaretti prima a corpo libero, Valentina Blancardi prima a trampolino e seconda a trave; nella squadra senior del programma B, formata da Alice Blancardi, Greta Marra, Federica Politi e Virginia Robbiati, Greta Marra si è aggiudicata il secondo gradino del podio nella specialità trampolino.Ora le ragazze, che si allenano a Bordighera nella palestra dell'Istituto Tecnico “Montale” sotto la guida di Lorenza e Luisa Lorenzi, si preparano, insieme alle compagne che non hanno partecipato a questa prima gara, ai campionati PGS, la cui prima gara regionale è fissata per i giorni 17 e 18 febbraio.

La Redazione13 dicembre 2011


“L’anoressia: adesso per me è una malattia stupida”

Mi chiamo Clara, ho 12 anni e ho iniziato a mangiare meno in terza elementare per piacere ad un ragazzo che mi prendeva in giro. Così è iniziata la mia storia di anoressia. La prima cosa che ho fatto è stata togliere i condimenti, ottenendo subito come risultato quello di dimagrire.
Pensavo che era meglio morire piuttosto che aumentare di peso. Non andavo più fuori a mangiare perché non potevo mangiare la quantità che volevo. Un giorno sono stata costretta da mia mamma ad entrare in un Ospedale per guarire da questa malattia. Io non volevo stare lì perché non mi trovavo bene né con la dottoressa né con le infermiere. Erano troppo duri nei miei confronti, mi dicevano che non miglioravo mai e quindi mi aumentavano la terapia, cioè mi riempivano il bicchiere fino all’orlo di integratore e se non bastava mi facevano le flebo. Se chiedevo se ero aumentata di peso non mi rispondevano; secondo me avevano il timore che noi ci spaventassimo e che quindi rifiutassimo di mangiare. Dovevo fare tutto quello che dicevano loro anche se non mi piaceva, non potevo più andare a scuola o uscire a divertirmi ed ero sempre giù di morale. Io non volevo essere chiamata anoressica perché per me di questa malattia soffrono le persone che vogliono assomigliare alle modelle e non pensano a vivere, ma solo ad essere magre. Ci sono stati momenti in cui rinfacciavo a mia madre che desideravo morire piuttosto che continuare la cura. Mia mamma era molto preoccupata per me, si sentiva in colpa perché pensava di avermi dato poche attenzioni.
Ed è così che mia madre ha scoperto il Centro Psiche e ho iniziato a frequentare il Day Hospital. Durante il primo colloquio, ho conosciuto la responsabile di questo Centro, che mi è stata immediatamente simpatica e da cui mi sono sentita subito capita. In questo Centro ho trovato un ambiente di cura accogliente, durante i colloqui con la dottoressa non mi sentivo giudicata se mangiavo o non mangiavo. Potevo raccontarle tutto quello che volevo, mi sentivo libera e tranquilla. Trascorrevo del tempo anche con un'altra psicologa, che mi faceva disegnare, giocare e divertire… Ogni volta che andavo inventavamo qualcosa di nuovo, una volta ho preparato i biscotti al cioccolato per la festa della mamma! Ero felice quando arrivavano i giorni della settimana in cui dovevo andare da loro. Ricordo che in uno degli ultimi incontri ho disegnato dei profitterols dicendo che ne avrei mangiati a dozzine. Solo alcuni mesi prima pensavo che sarebbero stati un incubo per la mia linea e una bomba di calorie infinite. Nel giro di pochi mesi ho quindi iniziato a pensare che non volevo essere anoressica, ma che volevo ricominciare a vivere. Adesso penso che l’anoressia sia una malattia stupida.


font:http://www.centropsiche.it/template.php?pag=29870

La sposa è in ritardo, il prete non l'aspetta

Fa discutere la scelta di «padre Nike», il don controcorrente amico di Fiorello e Jovanotti.Il sacerdote ha aspettato 20 minuti. Poi ha dato comunque il via alla messa. «Non era cerimonia privata»


LIVORNO – Il Paradiso si può perdere anche per venti minuti di ritardo. Se poi la ritardatrice è una sposa, poco importa, la messa deve iniziare. Così padre Maurizio De Sanctis, giovane parroco della chiesa di Santa Rosa da Viterbo, quartiere popolare della Rosa a Livorno, allo scoccare del ventesimo minuto di tempo supplementare, ha guardato i tanti fedeli che gremivano la chiesa, ha sorriso ai molti bambini un po’ stufi di stare lì ad aspettare, e ha iniziato la funzione davanti a uno sposo esterrefatto e con i pareti che guardavano nervosamente la porta di ingresso sperando di essere illuminati e rassicurati dalla visione di un velo nuziale e magari dalle note immancabili di Mendelssohn. La sposa invece è arrivata alle 11.22, con oltre venti minuti di ritardo. L’hanno vista salire radiosa i gradini dell’ingresso e poi rimanere a bocca aperta nel vedere il prete continuare a dire messa, il futuro marito impalato davanti all’altare, gli invitati guardare la scena allibiti. Poi la ragazza ha raggiunto rapidamente l’altare per fortuna al momento delle letture e così non si è persa lo scambio degli anelli, il giuramento solenne di fedeltà e il bacio finale con applauso. La storia, raccontata stamani sulla cronaca livornese del Tirreno, ha fatto il giro della città. Confermata dallo stesso parroco, padre Maurizio, ribattezzato da tempo padre Nike per il suo modo di vestire moderno (anche ai piedi), sacerdote giovane e di base, capace di sorprendere con le sue scelte contro correte, amico di Jovanotti e Fiorello. Padre Nike è amatissimo nel quartiere della Rosa. Da quando è arrivato, un annetto fa, la chiesa si è riempita di fedeli e anche atei e «mangiapreti» lo ammirano e lo invitato spesso a casa loro o a qualche dibattito. Il sacerdote ha anche spiegato il motivo perché non ha aspettato un minuto di più la sposa ritardataria. «Non era una cerimonia privata per uno sposalizio – ha detto – ma una messa parrocchiale all’interno della quale due persone si univano in matrimonio. I bambini, che erano in chiese dalle 10 per il catechismo, erano stanchi e nervosi, non potevo aspettare di più». Durante l’omelia padre Maurizio non ha dimenticato una tirata di orecchi alla coppia raccomandando sempre la puntualità. Il Paradiso non può attendere. La messa e il matrimonio, neppure. Andate in pace e rimettete l’orologio.




font:http://www.corriere.it/cronache/11_ottobre_11/sposa-in-ritardo-il-prete-non-aspetta_657ce13e-f3e6-11e0-8382-87e70525ad6b.shtml

FISICA"Neutrini più veloci della luce"

Messo in discussione Einstein.Clamorosi risultati di uno studio del Cern e dell'Infn guidato da un fisico italiano: particelle sparate da Ginevra al Gran Sasso hanno infranto il muro considerato invalicabile dalla fisica. Margherita Hack: "Sarebbe una rivoluzione"


ROMA - I risultati, se confermati, possono rimettere in discussione le regole della fisica cristallizzate dalle teorie di Albert Einstein, secondo le quali niente nell'universo può superare la velocità della luce. Un gruppo di ricercatori del Cern e dell'Infn guidato dall'italiano Antonio Ereditato ha registrato che i neutrini possono viaggiare oltre quel limite. Le particelle hanno coperto i 730 chilometri che separano i laboratori di Ginevra da quelli del Gran Sasso a una velocità più alta di quella della luce. Il muro è stato infranto di appena 60 nanosecondi. Eppure, il risultato è talmente destabilizzante che il team di ricerca ha atteso ben tre anni di misurazioni per sottoporlo all'attenzione della comunità scientifica. "Abbiamo passato sei mesi a rifare i calcoli", racconta Dario Autiero, responsabile dell'analisi delle misurazioni. Per giustificare la discrepanza sono stati presi in considerazione persino la deriva dei continenti e gli effetti del terremoto dell'Aquila del 2009. "Siamo abbastanza sicuri dei nostri risultati", spiega Ereditato, "ma vogliamo che altri colleghi possano verificarli e confermarli". E le prime reazioni non tardano ad arrivare: secondo il Centre national de la recherche scientifique francese, le fosse confermata la scoperta sarebbe "clamorosa" e "totalmente inattesa" e aprirebbe "prospettive teoriche completamente nuove". Anche per l'astrofisica Margherita Hack si tratterebbe di una vera e propria rivoluzione perché, osserva, "finora tutte le previsioni della teoria della relatività sono state confermate". Secondo la teoria della relatività ristretta, elaborata da Einstein nel 1905, la velocità è una costante, tanto da essere parte della celeberrima equazione E=mc², dove E è l'energia, m la massa e c, appunto, la velocità della luce. La relatività, spiega ancora la Hack, "prevede che se un corpo viaggiasse ad una velocità superiore a quella della luce dovrebbe avere una massa infinitamente grande. Per questo la velocità della luce è stata finora considerata un punto di riferimento insuperabile".Tra l'altro, la teoria della relatività implica l'impossibilità fisica delle traversate interstellari e dei viaggi nel tempo, finora inesorabilmente relegati alla fantascienza e ritenuti irrealizzabili dalla scienza. Ora tutto ciò potrebbe cadere. "Ma io non voglio pensare alle implicazioni", si affretta a precisare Ereditato. "Siamo scienziati e siamo abituati a lavorare con ciò che conosciamo". La velocità delle particelle è stata misurata dal rivelatore Opera, dell'esperimento Cngs (Cern NeutrinoS to Gran Sasso), nel quale un fascio di neutrini viene lanciato dal Cern di Ginevra e raggiunge i Laboratori Nazionali del Gran Sasso, dell'Istituto nazionale di Fisica Nucleare.



font:http://www.repubblica.it/scienze/2011/09/22/news/neutrini_pi_veloci_della_luce_studio_italiano_supera_einstein-22085384/

LA RICERCA Il racconto delle malattie un laboratorio in tempo reale

Nasce lo spazio aperto "Viverla Tutta": una iniziativa creata con la collaborazione degli esperti dell'Istituto Superiore di Sanità, Istituto Mario Negri, Asl 10 di Firenze, European Society for Health and Medical Sociology. Il primo studio di Medicina Narrativa sul web

"Viverla Tutta" è uno spazio aperto all'interno di Repubblica.it, nato per raccogliere le testimonianze di persone che pur trovandosi a vivere una condizione di malattia, propria o della persona che assistono, cercano di non arrendersi agli eventi, ma, anzi, lottano con coraggio ogni giorno, senza cedere alla paura o abbandonarsi alla commiserazione.

COME PARTECIPARE ALLA INIZIATIVA

Lo scopo è cercare di raccontare cosa significa vivere la malattia oggi, in un'epoca in cui abbiamo a disposizione cure e trattamenti un tempo impensabili, ma in cui dobbiamo fare i conti con il fatto che molto spesso siamo noi, con la nostra volontà ed il nostro coraggio, i primi responsabili della lotta alla malattia. La società di oggi è, infatti, abituata a pensare la malattia soprattutto come insieme di sintomi, cause e rimedi: raramente è disposta ad ascoltare il racconto dell'esperienza della malattia da parte di chi ne è coinvolto direttamente. Un racconto, fatto di sensazioni, emozioni, dettagli, che, quando viene ascoltato, riserva grandi potenzialità e un incredibile guadagno: la possibilità di trasmettere qualcosa di utile e prezioso. Le storie di malattia contengono, infatti, una serie di elementi relativi alla percezione della malattia, alla sua interpretazione e al modo di affrontarla che, se correttamente raccolti, interpretati ed analizzati attraverso apposite tecniche e metodologie (quelle della Narrative Based Medicine, NBM, o Medicina Narrativa), possono contribuire a migliorare i percorsi di assistenza e cura, riconoscendo la centralità del paziente ed affermando l'importanza, per la medicina, di prendersi cura del malato e non solo della malattia.
LE STORIE
Giulia e Friedreich, come in un film
Scrivo il mio nome in quaranta secondi
Alzheimer, I miei piccoli consigli a familiari e assistenti
LE MALATTIE RARE
Oltre settemila patologie che aspettano una cura
Le corse interrotte già nell'infanzia
Quei bambini incapaci di sorridere
LA MEDICINA NARRATIVA
Quando la parola può essere la cura
CUORE
I centomila battiti del nostro cuore
La protagonista è quindi la personale esperienza della malattia, trasformata però da evento negativo, portatore unicamente di dolore e sofferenza, spesso anche di emarginazione e solitudine, in un vissuto costruttivo, fatto di saperi e di comportamenti fondati sull'esperienza diretta, utile per sé e comunicabile agli altri. "Viverla Tutta" ospita una griglia di domande online, costruita secondo la metodologia della Medicina Narrativa, che aiuta le persone a raccontare la propria storia. Le storie raccolte confluiranno in uno studio più ampio ed articolato, promosso dal Laboratorio Sperimentale di Medicina Narrativa, coordinato, per le malattie croniche, dalla Azienda Sanitaria Locale (ASL) 10 di Firenze e, per le malattie rare, dal Centro Nazionale Malattie Rare (CNMR) - Istituto Superiore di Sanità (ISS) (www.iss. it/cnmr), e dalla European Society for Health and Medical Sociology. Le storie raccolte tramite il web ed il Laboratorio Sperimentale, saranno successivamente analizzate da un comitato scientifico, composto da esperti italiani di Medicina Narrativa, con l'obiettivo finale di giungere all'individuazione ed elaborazione di raccomandazioni volte a promuovere l'integrazione tra la Narrative Based Medicine e l'Evidence Based Medicine, nell'ambito delle malattie rare e delle malattie croniche e diffondere l'impiego della narrazione e delle tecniche narrative in medicina ed in sanità nel nostro Paese. Raccontaci la tua storia di malattia, per aiutarci a costruire buone storie di assistenza e cura Lo studio fa riferimento al protocollo di ricerca "Laboratorio Sperimentale di Medicina Narrativa" messo a punto dal Comitato Tecnico Scientifico composto da:
- Domenica Taruscio, Direttore Centro Nazionale Malattie Rare - Istituto Superiore di Sanità, Roma
- Stefania Polvani, Direttore Educazione alla Salute, Azienda Sanitaria Locale 10, Firenze
- Alfredo Zuppiroli, Direttore Dipartimento Cardiologia, Azienda Sanitaria Locale 10, Firenze e Presidente Commissione di Bioetica, Regione Toscana
- Guido Giarelli, Past-President European Society for Health and Medical Sociology
- Gianni De Crescenzo, Medical Director Pfizer Italia, che partecipa all'iniziativa nell'ambito del Progetto "Viverla Tutta"
Alla discussione per la messa a punto del protocollo di ricerca del progetto ha contribuito il Laboratorio per il Coinvolgimento dei Cittadini in Sanità, Istituto Mario Negri, Milano. Questa iniziativa è resa possibile grazie alla collaborazione di Pfizer nell'ambito della campagna d'impegno sociale "Viverla Tutta".



font:http://www.repubblica.it/speciali/salute/viverla-tutta/edizione2011/2011/09/12/news/il_racconto_delle_malattie_un_laboratorio_in_tempo_reale-21550198/

LO STUDIO Confidarsi? Una perdita di tempo

Perché i maschi nascondono le emozioni Una ricerca dell'università del Missouri: la riluttanza degli uomini ad esprimere ansie e dispiaceri dipende unicamente da un fattore pratico: lo ritengono inutile. Mentre le donne si sentono meglio dopo uno sfogo. Ma c'è un modo per ridurre le distanze di IRMA D'ARIA
ROMA - "Confidarsi con qualcuno: questo sì che è da pazzi....", scriveva Luigi Pirandello. Il Nobel fotografava così un tipico pensiero degli uomini, valido allora come oggi, che spiega già da solo come mai le donne non sappiano tenere per sè problemi, ansie e dispiaceri, mentre gli uomini si tengono tutto dentro. Ad analizzare le differenze è stato uno studio condotto presso l'Università del Missouri su oltre 2mila bambini e adolescenti. Ne è emerso che la differenza nella capacità di confidarsi inizia sin da piccoli e non è legata affatto, come si potrebbe pensare, alla maggior riservatezza maschile nella condivisione dei propri sentimenti. La questione è molto più pratica: per gli uomini si tratta semplicemente di una perdita di tempo. "Lo studio" commenta Luigi Janiri, professore associato di psichiatria presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma "fotografa perfettamente la differenza di genere che esiste prima di tutto a livello genetico e biologico. Nella donna, infatti, prevale il cervello emotivo, ovvero l'emisfero destro e il lobo limbico e ciò determina una differenza precisa nell'elaborazione e anche nell'espressione delle emozioni". Perciò, mentre per le ragazze confidarsi con un'amica significa sfogarsi e sentirsi meglio, per i maschi non vi è alcuna ragione valida per dire a qualcun altro ciò che si prova. Ed ecco che crescendo si sviluppa la tipica riluttanza maschile ad esprimere i propri sentimenti persino alla partner. "Per anni la maggior parte degli psicologi ha insistito sulla necessità che i maschi imparassero ad esprimere sensazioni e stati d'animo, superando l'imbarazzo e il timore di apparire deboli", spiega la dottoressa Amanda Rose che ha svolto quattro studi sul tema. "Ma quando abbiamo chiesto ai ragazzi come si sentivano dopo aver parlato dei propri problemi, non hanno espresso più angoscia o disagio rispetto alle ragazze. Semplicemente i ragazzi hanno spiegato che non vedono alcuna utilità nel perdere del tempo a parlare dei propri sentimenti" conclude Rose. Conclusioni che sono state pubblicate su Child Development e che ci aiutano a spiegare meglio perché uomini e donne hanno un approccio diverso rispetto ai problemi di relazione. Quando c'è qualcosa che non va nella coppia, in genere è la donna a cercare il dialogo perché è convinta che così si riuscirà a comprendere la causa del problema e a risolverlo. Al contrario l'uomo sfugge perché secondo lui più si pensa e si parla del problema, più lo si ingigantisce. In un precedente studio della Rose, infatti, è emerso che il continuo rimuginare sui problemi aveva reso i ragazzi e non le ragazze più ansiosi e depressi. "La minor propensione dell'uomo a confidarsi e ad entrare in intimità - spiega Janiri - ha un impatto enorme sulla relazione di coppia specie al giorno d'oggi in cui la donna è più autonoma e ha fatto tante conquiste senza però perdere la sua capacità di introspezione". Dunque, si ribadisce il concetto del libro di Gray John secondo cui gli uomini vengono da Marte e le donne da Venere e che a riguardo non c'è nulla che si possa fare? Secondo gli psicologi, qualcosa si può fare per accorciare le distanze. Per esempio, i genitori dovrebbero esortare i figli a condividere i propri stati d'animo e le preoccupazioni in modo da poterli seguire meglio e rassicurarli nei momenti di crisi. Al contrario, le ragazze dovrebbero imparare che per far fronte ai problemi non basta solo parlarne, ma conta di più guardarsi dentro e sapersela cavare anche da sole. "Solo agendo precocemente si può tentare di correggere l'atavica suddivisione dei ruoli maschili e femminili. Per esempio, a partire dai giochi. Dovremmo lasciare i bambini liberi di fare le loro scelte ed esplorazioni. Se un maschietto vuole giocare con le bambole o una femminuccia con la pistola, i genitori non devono intervenire per inculcare loro l'idea che questo non è un gioco adatto. È proprio così che si creano i presupposti per le differenze di genere"

font:http://www.repubblica.it/salute/ricerca/2011/09/05/news/le_differenze_tra_uomini_e_donne_nel_confidare_i_problemi-21142786/

STUDI Aroma di cioccolato, mix di 600 odori inclusi cavolo, cetrioli e sudore umano



Una ricerca presentata al congresso dell'American Chemical Society ha mappato la composizione dell'essenza delle fave del cacao, scoprendo che è generata da una miscela sorprendente di effluvi fra cui quello di patate fritte, di pesche, miele e terra


ROMA - Verrebbe da pensare che è un aroma primario, invece l'aroma del cioccolato - e delle fave di cacao che ne sono l'ingrediente chiave - è il risultato di un mix abbastanza sorprendente di odori, fra i quali quello delle patate fritte, della pesca e dei cetrioli. La tesi è il punto di arrivo di una ricerca tedesca che è stata presentata oggi a Denver, durante le sessioni del 242° congresso nazionale dell'American Chemical Society. Secondo lo studio, l'aroma finale del cioccolato è il frutto di un bouquet di sostanze che, prese singolarmente, hanno l'odore di patatine fritte, carne cotta, pesche, miele, ma anche di grasso di manzo, cavolo cotto, terra, cetrioli e perfino sudore umano. Secondo Peter H. Schieberle, ricercatore della Technical University di Monaco di Baviera, dalla ricerca potrebbe nascere un nuovo genere di "cioccolatini di design", dal sapore e dall'aroma mai provati prima. "Per sviluppare un cioccolato migliore - afferma Schieberle -, è necessario conoscere la chimica celata dietro l'aroma e le sostanze che compongono il gusto del cacao. Si deve dunque partire "dalle sostanze che compongono il sapore del cacao grezzo, estendendosi poi a tutte le fasi di lavorazione, fino a quando il consumatore mangia il cioccolato". E anche in questo caso, è importante non saltare i passaggi e non avere troppa fretta. Anche quando il 'cibo degli dei' arriva in bocca, infatti, provoca una reazione chimica: "Alcune persone semplicemente danno un morso e ingoiano il pezzetto di cioccolato. Ma in questo modo - dice il ricercatore - la reazione non si può verificare e si perde molto del sapore". Il sapore caratteristico del cioccolato si evolve nel corso di tutta la sua produzione. "Per un aroma di cacao molto buono, però, occorrono solo 25 dei quasi 600 composti volatili presenti nelle fave di cacao", assicura Schieberle. "Noi chiamiamo sensonomico questo tipo di studio su larga scala", aggiunge l'esperto. Poiché nella fase iniziale non è stata identificata una sostanza singola responsabile del tipico aroma del cacao, i ricercatori hanno dovuto mappare i diversi aromi e metterli di nuovo insieme per testare l'effetto dei vari mix finali, scoprendo appunto alcuni elementi olfattivi insospettabili - dalla terra al sudore umano - capaci di generare nel cervello la percezione complessiva del cioccolato. Non solo. Il team ha scoperto anche un modo per migliorare il gusto del prodotto finale. Il gruppo ha visto, infatti, che aggiungendo un po' di zucchero al cacao prima del processo di lavorazione più utilizzato (quello detto 'olandese'), il cioccolato diventa ancora più vellutato. Secondo i ricercatori, aldilà del rilievo scientifico, il loro lavoro potrà avere conseguenze sul piano industriale e commerciale, contribuendo a mettere a punto nuove e più allettanti varianti di cioccolatini e prodotti a base di cacao.


font:http://www.repubblica.it/salute/alimentazione/2011/08/29/news/i_composti_dell_aroma_del_cioccolato-21004231/?ref=HRLV-1

Lo scatto fortunato del dilettante: il fulmine colpisce la Torre Eiffel

Questa spettacolare immagine, scattata tre anni fa, sta facendo ora il giro della rete perché inserita all'interno di una esposizione fotografica intitolata "Lumieres celestes, lumieres des hommes", in Francia. Uno scatto decisamente fortunato, di Bertrand Kulik, un fotoamatore dilettante, che catturato l'istante esatto in cui un fulmine colpisce la torre Eiffel, durante una temporale su Parigi (a cura di Matteo Marini)


font:http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2011/09/01/foto/lo_scatto_fortunato_del_dilettante_il_fulmine_colpisce_la_torre_eiffel-21126596/1/?ref=HRESS-4

Una tuta del sonno per dormire dovunque

La formula perfetta del sonno imporrebbe quattro riposini da 30 minuti nell'arco delle 24 ore e ad aiutare chi sogna di metterla in pratica senza dover rinunciare a una vita professionale e privata attiva ci pensa il designer americano Forrest Jessee. E' sua la Spleep Suit: la tuta del sonno consiste in un involucro da indossare, che grazie alla sua struttura morbida ma resistente permette di dormire comodi in qualsiasi luogo



font:http://www.repubblica.it/tecnologia/2011/08/21/foto/involucro-20694482/1/

L'ALLARME Il fumo fa male soprattutto alle donne

Ogni sigaretta accelera il processo di arteriosclerosi quanto cinque per gli uomini. Lo dimostra una ricerca finanziata dall'Unione europea su un campione di 3 mila persone. Ma le campagne informative sui danni del tabacco sono state un fallimento proprio nell'universo femminile

PARIGI - Il cuore delle donne è cinque volte più vulnerabile al fumo di quello degli uomini. Ogni sigaretta accelera il processo di arteriosclerosi, il principale fattore di rischio cardiovascolare, quanto cinque per gli uomini. E' quanto risulta da una ricerca finanziata dall'Unione Europea su oltre 3mila persone, metà uomini e metà donne, abitanti in Italia, Finlandia, Svezia, Olanda e Francia, in cui è stato misurato lo spessore della parete della carotide, una delle arterie che portano il sangue al cervello, parametro indicativo del livello di arteriosclerosi del sistema vascolare. La ricerca è stata coordinata da Elena Tremoli del dipartimento di Scienze Farmacologiche dell'Università di Milano che l'ha presentata al Congresso della Società Europea di Cardiologia in corso a Parigi fino a mercoledì 31 agosto. I risultati delle misurazioni delle carotidi mostrano che l'ispessimento della parete è proporzionale alla durata ed all'intensità dell'abitudine al fumo in ambedue i sessi. Ma l'effetto del numero di sigarette fumate al giorno sulla progressione dell'arteriosclerosi è cinque volte maggiore nelle donne. Indipendentemente dalla presenza di altri fattori di rischio per l'inspessimento delle arterie come età, livello della pressione e del colesterolo, obesità e classe socioeconomica (più è bassa e maggiore è il rischio di arteriosclerosi). "La maggiore nocività delle sigarette per il cuore delle donne - Spiega Elena Tremoli - è una scoperta particolarmente importante, in relazione all'ormai accertato fallimento sul sesso femminile delle campagne informative fatte negli ultimi anni per diminuire il numero dei fumatori". Per la prima volta in Italia, rivela il Rapporto annuale sul fumo dell'Osservatorio Fumo Alcol e Droghe dell'Istituto Superiore di Sanità, si è raggiunta quasi la parità tra uomini e donne con il vizio. E queste ultime sono anche più restìe a smettere.
Le fumatrici sono 5,2 milioni (19,7%), gli uomini 5,9 milioni, (23,9%). Le signore che hanno detto addio alle "bionde" sono 2,6 milioni (il 9,8% di ex fumatrici), gli uomini 3,9 milioni (il 15,7%). Fumo e alcol assieme poi, secondo un altro studio condotto in collaborazione con l'Istituto Superiore di Sanità presentato al congresso, stanno costando cari alle donne europee, che rispetto agli uomini vivono più a lungo, ma peggio. "E' noto che le donne, sino alla menopausa, sono protette dalle malattie cardiovascolari - conclude la Tremoli - E le donne stesse pensano di essere meno vulnerabili ai fattori più dannosi per le arterie come ipertensione, colesterolo alto, alimentazione grassa e fumo. Per quest'ultimo abbiamo scoperto essere il contrario". A Parigi, fra le altre ricerche ne sono state presentate alcune che confermano invece l'effetto protettivo del cacao. La revisione di 7 lavori, per un totale di oltre 100mila persone coinvolte, sia sane che cardiopatiche, ha portato a confermare i benefici del cacao sul cuore e a individuare la dose minima efficace. Bastano 7,5 grammi al giorno, il contenuto di un cioccolatino fondente, per registrare una riduzione del rischio di infarto del 37% e di ictus del 29%. A proposito di ictus, infine, ottimi risultati vengono da uno studio su oltre 18mila pazienti in cui un nuovo anticoagulante, l'apixaban, ha ridotto sensibilmente il numero di casi di ictus in soggetti con fibrillazione atriale, l'artimia cardiaca asintomatica frequente causa del danno vascolare al cervello.

font:http://www.repubblica.it/salute/prevenzione/2011/08/29/news/il_fumo_fa_peggio_alle_donne-21009755/

Quei giovani fuori dal bar


FATICO a capire i giovani, nonostante che io me ne occupi da quand'ero giovane. Cioè da molto, troppo tempo. Certo, ho la fortuna di frequentarli spesso e con regolarità, da genitore e professore. Tuttavia, mai come in questa fase stento a riconoscerli, perché mi è, comunque, difficile misurarmi con essi. Certo, i tempi sono cambiati da quand'ero giovane anch'io. Secoli, millenni. Non c'è bisogno di rammentare le distanze cosmiche dal punto di vista delle tecnologie e dei metodi di comunicazione a livello personale e sociale. Però alcuni riferimenti, alcuni luoghi del paesaggio che compone la nostra vita quotidiana sono rimasti gli stessi. Anche se nella pratica non sono più gli stessi. Sono divenuti "altro". I bar, ad esempio. Ci sono ancora, come quando io ero giovane. A volte sono negli stessi luoghi, con gli stessi nomi. Però è cambiato l'uso che se ne fa. Il posto che hanno nella giornata e nella vita dei giovani. Ai miei tempi (che impressione usare questa formula. Segno che sono davvero invecchiato) i bar erano luoghi e centri sociali. Ci passavi le sere. Le domeniche. Uscivi di casa e andavi là, dove incontravi gli amici. Il barista era una figura leader della formazione giovanile. Veniva dopo i genitori, gli insegnanti e gli amici stretti. Andavi al bar. Poi decidevi dove recarti. Al cinema, a una manifestazione, a una festa, a zonzo. E ci tornavi più tardi. Peró potevi anche scegliere di rimanere lì. Di passarci la sera a giocare a biliardo, a calcetto, a carte. A bere, chiaccherare, tirare tardi. E, comunque e soprattutto, la vita del bar si svolgeva inevitabilmente dentro. Dentro. Il bar, come ho detto, era un luogo e un centro sociale in sè. E, in particolare, "un" bar. Dove si trascorreva gran parte del tempo libero. Ora non è più così. Basta girare per le città per vedere che i giovani si ammassano "fuori". Davanti e intorno al bar. Occupano uno spazio ampio, variabile. Il marciapiede, l'intera strada. In piedi, appoggiati ai muri, seduti sull'asfalto... Sono tanti, tantissimi. Alle ore più diverse. Prima di cena, per lo spritz. O a cena, per il kebab, il piatto pronto. Dopo cena o comunque a tarda sera (e notte). A volte, anzi, spesso, sono avvolti da musica tecno a volume variabile. Dipende dall'ora, dalle ordinanze e dai regolamenti comunali, dal grado di sopportazione dei residenti. Ma si tratta sempre di un brulichio, una folla mobile. Gli addensamenti giovanili non sono stabili, ma in costante evoluzione. Perché loro, i giovani, si spostano di continuo. Individualmente o in gruppo. Arrivano, parlano, mangiano, bevono, fumano. E se ne vanno. Con alcuni amici, in gruppo oppure da soli. Vanno altrove. Incontrano altri amici, ascoltano altra musica, beccheggiano altri spuntini. Cambiano bar e dunque compagnia oppure attività. Poi magari ri-passano. Ma restano sempre "fuori". Raramente entrano. Ovviamente, di conseguenza, sono cambiati anche i bar, che si sono adattati a fare altre cose. E a volte hanno innovato, promuovendo nuove abitudini. Si pensi all'happy hour, che ha rimpiazzato, talora, la cena, tante sono le proposte alimentari che i diversi locali associano al drink (i noti spuntini ipercalorici). Ma i bar qui mi interessano soprattutto in relazione ai giovani e ai loro stili di vita. Le loro abitudini. I bar. Sono divenuti stazioni di passaggio di una vita itinerante. Di una generazione itinerante, sempre in movimento, sempre in viaggio. Perché costretta - o meglio, indotta - a vivere un eterno presente. Precario. Una generazione di passaggio. Alla ricerca di un luogo dove fermarsi, finalmente. Tra un bar e l'altro.



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Ridere 15 minuti al giorno fa bene al cuore

Al Congresso della Società Europea di Cardiologia, in corso a Parigi, presentati i risultati di una ricerca condotta dall'Università del Maryland sui benefici effetti del buonumore. Stime preoccupanti per le conseguenze dello stress dovuto alla situazione economica

PARIGI - Dopo anni di ricerche che hanno dimostrato quanto stress e malumore siano tossici per il cuore e, al contrario, sia benefico il buonumore, si è giunti finalmente a quantificare la dose minima efficace, la "pillola" che protegge dall'infarto: almeno 15 minuti al giorno di risate. Ma devono essere intense, piene, coinvolgenti, come quelle che si scatenano vedendo film capolavori della comicità. Solo così equivalgono ai famosi 30 minuti al giorno di camminata veloce, stabiliti da qualche anno come la "dose minima quotidiana" di attività fisica che protegge dall'infarto. Le ricerche sull'influenza dello stato d'animo su cuore e arterie sono state presentate oggi al congresso della Società Europea di Cardiologia dove anche il malumore è tornato protagonista. Sulla base di ricerche dello scorso anno si prevede che l'attuale situazione di stress per crisi economica indurrà un aumento del 15% dei ricoveri nelle unità coronariche del Vecchio Continente. La ricerca che arriva a definire la dose minima di risate è stata condotta dall'Università del Maryland che ha sottoposto i volontari alla visione di film divertenti come Tutti pazzi per Mary oppure mentalmente stressanti come Salvate il sodato Ryan: sono state eseguite oltre 300 misurazioni e nella quasi totalità i partecipanti dimostravano un aumento del flusso di sangue fino al 50% in più dopo la visione della pellicola mentre succedeva l'opposto dopo aver assistito a sequenze violente o drammatiche. Un consistente e prolungato abbassamento della pressione si è mantenuto per 24 ore manifestato dopo almeno 15 minuti di ilarità suscitata dal film. Ma si registra già una dilatazione delle arterie e un calo significativo della pressione dopo appena dieci secondi di risata intensa. "La risata abbassa la frequenza cardiaca con effetti benefici sull'endotelio e riduce il rilascio di sostanze euroendocrine vasocostrittrici - spiega Roberto Ferrari, ordinario di Cardiologia all'università di Ferrara e past president dei cardiologi europei - Inoltre, stimola la produzione di endorfine, sostanze chimiche che presentano un effetto protettivo sul sistema cardiovascolare, in quantità simili a quelle indotte dall'attività fisica. Ma è più in generale il buonumore che fa bene. Per questo raccomandiamo sempre ai nostri pazienti di non imporsi rinunce troppo gravose, né di cambiare radicalmente il proprio stile di vita. La dieta, ad esempio, si può modificare rendendola più sana con alcuni semplici accorgimenti, senza misure drastiche e senza dire addio ai piaceri della tavola. Ad esempio, da questo congresso emerge (se ne parlerà domani, ndr) come il cioccolato abbia proprietà antinfiammatorie e antiossidanti che riducono la pressione arteriosa e il diabete. Non bisogna aspettare di ammalarsi, ma giocare d'anticipo". Per quanto riguarda invece la cardio-tossicità dello stress indotto dalla crisi economica dal congresso, 30 mila i medici convenuti da tutto il mondo, arrivano stime preoccupanti. Sulla base dei risultati di uno studio irlandese dello scorso anno che aveva registrato un aumento dei ricoveri nelle unità coronariche del 12%, si prevede che nel 2011 l'attuale crisi ormai estesa a vari Paesi europei porterà a un aumento almeno del 15% dei pazienti ricoverati nelle unità coronariche nel Vecchio continente. I soggetti più a rischio sono le persone fra i 40 i 60 anni, sia perché hanno un sistema cardiovascolare che potrebbe essere già minato da qualche deposito arteriosclerotico e sia perché più esposti alle conseguenze della crisi economica sotto forma di stress lavorativo, incertezza occupazionale e riduzione del livello economico. Lo stress causato dalla preoccupazione scatena una costante alterazione dell'equilibrio all'interno del sistema cardiovascolare: l'adrenalina prodotta su stimolo del cervello funziona come un vasocostrittore che alla lunga danneggia le arterie, soprattutto quelle che nutrono il cuore e il cervello.


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Axel, cane fedele fino alla fine.La padrona muore, lui non regge

Una donna di 74 anni trovata senza vita nel suo appartamento a Calderara, nel Bolognese. II suo bulldog richiama l'attenzione dei vicini abbaiando a oltranza, ma dopo poco l'arrivo dei soccorsi crolla esanime.

Non aveva altro modo per chiedere aiuto che abbaiare, attirando l'attenzione dei vicini. Abbaiare per comunicare che la sua padrona, una donna di 74 anni, era a terra, senza vita. I soccorsi sono arrivati, ma per la donna non c'era più nulla da fare. E a quel punto anche il suo bulldog si è arreso: si è accasciato a terra ed è morto sullo stesso pavimento, sotto quel tetto che aveva condiviso con l'anziana, a Calderara, alle porte di Bologna. Un legame, quello fra Axel - così si chiamava il cagnolino, di sette anni - e la sua padrona che in un certo senso non si è mai spezzato. Axel ha visto la donna cadere a terra: ha capito che non era affatto un gioco, e si è messo ad abbaiare nel cuore della notte. Latrati strazianti. I minuti passavano e il cane non smetteva: i vicini hanno allora deciso di chiamare i carabinieri. I militari hanno contattato un parente dell'anziana, che aveva le chiavi, e sono riusciti a entrare.
Nell'appartamento, a terra, c'era il corpo della donna. I soccorsi sono stati inutili: era già spirata. Accanto a lei Axel, che non l'ha lasciata un minuto. Le è stato accanto mentre il personale medico confermava la morte e ne cercava la causa, un arresto cardiocircolatorio: voleva forse proteggerla da quell'invasione di sconosciuti. E' stato solo quando quel turbinio di persone nel suo appartamento stava per cessare che anche il cuore dell'affezionato bulldog ha ceduto, proprio accanto al corpo della sua padrona.

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Il broncio del bambino allo stadio: web e tv ridono

Il piccolo tifoso dei Giants è imbufalito: la pallina di baseball finisce sugli spalti ma non è lui a prenderla, bensì una ragazza davanti. E allora mette in scena un repertorio di smorfie che non passano inosservate neanche ai commentatori in tv. I quali non possono fare a meno di riderci sopra. Ma c'è il lietofine: siccome la sequenza era andata in replay sul maxischermo dello stadio, uno stewart poco dopo ha consegnato un'altra pallina al ragazzino. Finalmente felice



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LA RICERCA Nel lettone con mamma e papà "Nessuna conseguenza per i bebè"

Secondo uno studio dell'università di New York, se il bambino passa la notte 'in mezzo' ai genitori non c'è alcun effetto psicologico. Per riabilitare il "co-sleeping" i ricercatori hanno seguito 944 coppie senza rilevare alcuna differenza comportamentale tra chi dormiva da solo e chi no di SARA FICOCELLI

ROMA - Nei primi mesi di vita del bambino i genitori farebbero qualsiasi cosa pur di farlo smettere di piangere. Spesso, a meno di non avere a che fare con un piccolo Attila, la soluzione per calmarlo è portarlo a dormire nel lettone. Per anni pediatri e psicologi hanno sconsigliato ai genitori il "co-sleeping", convinti che questa abitudine danneggiasse l'intesa sessuale della coppia e l'educazione dei figli. Eppure molti bambini, fino alla metà del secolo scorso, hanno dormito con mamma e papà, spesso per motivi economici. L'usanza, secondo due studi del 2006, appartie al 93% dei bambini fra i tre e i 10 anni, per ragioni unicamente affettive. Oggi una ricerca della Stony Brook University di New York, pubblicato su Pediatrics, riabilita quest'usanza così dura a morire, sostenendo che abituare i bambini a dormire tra le lenzuola che odorano di mamma e papà non comporti per loro alcun effetto collaterale. "Madri dello stesso livello sociale educano i bambini esattamente nello stesso modo - spiega la coordinatrice della ricerca Lauren Hale - indipendentemente dal fatto di farli dormire con sé o no". Lo studio ha preso in esame 944 coppie non abbienti con un figlio di un anno, monitorandone nel lungo periodo la situazione psicologica e le abitudini legate al sonno. Dai dati è emerso che i bambini che avevano dormito nel lettone avevano raggiunto lo stesso livello di sviluppo comportamentale e cognitivo di quelli che avevano sempre dormito da soli. L'Associazione americana di pediatria si è sempre schierata contro il co-sleeping nei primi mesi di vita spiegando che quest'abitudine aumenta il rischio di sindrome della morte improvvisa del lattante, che colpisce nel primo anno di vita ed è tutt'ora la prima causa di morte tra i piccoli nati sani, ma la Hale precisa che "la scoperta non è in contrasto con queste raccomandazioni, perché lo studio si è concentrato su bambini che avevano già compiuto un anno". Ci sono tuttavia pro e contro legati al bed-sharing. Secondo alcuni pediatri favorisce l'allattamento al seno e migliora il rapporti tra madre e figlio, secondo altri stressa i genitori e stravolge le abitudini del bambino, facendolo sentire a disagio quando è costretto a dormire da solo. "Attraverso il lettone - spiega lo psicologo Maurizio Brasini - scorrono i momenti cruciali del ciclo vitale di una famiglia. Prima sarà il talamo di due amanti, poi un pancione occuperà una parte dello spazio comune, e poi ancora si trasformerà in nido. Il letto è uno spazio importantissimo ma è sempre e comunque solo un letto. L'importante, come al solito, è l'equilibrio che si instaura all'interno della famiglia".
Già qualche anno fa Margot Sunderland, direttrice del Center for Child Mental Health di Londra, consigliò ai genitori di respingere l'opinione dominante e permettere ai bambini di dormire nel lettone sino ai cinque anni, affermando come questa abitudine renda più probabile che diventino degli adulti calmi, sani ed emotivamente equilibrati. Autrice di una ventina di libri sulla psicologia dell'infanzia, la Sunderland presentò la sua teoria nel saggio "The Science of Parenting" ("La scienza di fare i genitori"), basato sulle conclusioni di 800 studi scientifici. Secondo la psicologa, abituare i bambini a dormire da soli già a poche settimane di vita (uso comune ad esempio negli Stati Uniti, dove solo il 15% dei bambini può addormentarsi con mamma e papà, la percentuale più bassa del mondo) è anzi dannoso, perché la separazione dai genitori aumenta il flusso di ormoni dello stress, come l'idrocortisone.

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scienza_via_libera_al_co-sleeping-19597348/

La bomba

hippo dancing la bomba by azul azul



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Diario di un cane

Settimana 1:Oggi, è una settimana che sono nato; che gioia essere arrivatoin questo mondo!

Mese 01:Mia mamma mi accudisce molto bene. E' una mamma esemplare.

Mese 02:Oggi, sono stato separato dalla mamma. Era molto inquieta e mi ha detto addio con lo sguardo. Speriamo che la mia nuova "famiglia umana" si occupi così bene di me, come l'ha fatto lei.

Mese 04:Sono cresciuto in fretta, tutto mi attrae e m'interessa. Ci sono parecchi bambini in casa; sono per me, dei "fratellini". Siamo dei monelli, mi tirano la coda e li mordo per giocare.

Mese 05: Oggi, mi hanno sgridato. La mia padrona mi ha ripreso perchè ho fatto "pipi" dentro in casa, ma non mi avevano mai detto dove dovevo farla. Inoltre, dormo nella "riserva" ........e non protestavo.!

Mese 12: Oggi ho compiuto un anno. Sono un cane quasi adulto. I miei padroni dicono che sono cresciuto più di quello che immaginavano. Ah, come devono essere orgogliosi di me!

Mese 13: Oggi mi sono sentito molto male. Il mio "fratellino" mi ha preso la mia palla. Io non prendo mai i suoi giocattoli. Allora, me la volevo riprendere. Ma le mie mascelle sono diventate troppo forti e l'ho ferito senza volerlo. Dopo la paura, mi hanno incatenato; non posso quasi più vedere il sole. Dicono che mi tengono d'occhio, che sono un ingrato. Non capisco niente di quello che sta succedendo.

Mese 15: Tutto è diverso........vivo sul balcone. Mi sento molto solo, la mia famiglia non mi ama più. A volte dimenticano che ho fame e sete. Quando piove, non ho un tetto dove ripararmi.

Mese 16: Oggi mi hanno fatto scendere dal balcone. Ero certo che la mia famiglia mi avesse perdonato; ero così contento che saltavo dalla gioia. La mia coda si muoveva in tutti i sensi. Oltretutto mi hanno portato con loro per una passeggiata. Abbiamo preso la direzione dell'autostrada e di colpo, si sono fermati. Hanno aperto la portiera dell'auto e sono sceso tutto contento, credendo che stavamo per trascorrere la giornata in campagna. Non ho capito perchè hanno richiuso la portiera e sono partiti. " Ehi, aspettate! mi state dimenticando!.........mi sono messo a correre dietro l'auto con tutte le mie forze. La mia angoscia aumentava quando mi accorgevo che stavo per svenire e.....non si fermavano: mi avevano dimenticato.

Mese 17: Ho tentato invano di ritrovare la strada per casa "mia". Mi sento e mi sono perso. Sul mio cammino, trovo persone di buon cuore che mi guardanocon tristezza e mi danno un pò da mangiare. Li ringrazio con lo sguardo e dal profondo del mio cuore. Mi piacerebbe che mi adottassero; sarei leale e fedele come nessuno al mondo. Ma dicono solo "povero, piccolo cagnolino", si sarà perso!!!!!!!!!

Mese 18: Qualche giorno fà, sono passato davanti a una scuola e ho visto tanti bambini e giovani come i miei "fratellini". Mi sono avvicinato e un gruppetto, ridendo, mi ha lanciato una pioggia di sassi per "vedere chi aveva la mira migliore". Una della pietre mi ha rovinato un occhio e da quel giorno non ci vedo più, da quella parte.

Mese 19: non ci crederete, ma la gente aveva maggiore pietà per me quando ero più bello. Adesso sono molto magro, il mio aspetto è cambiato. Ho perso un occhio e la gente mi fa scappare a colpi di scopa quando provo a trovare un piccolo riparo all'ombra.

Mese 20: Non mi muovo quasi più. Oggi, tentando di attraversare la strada dove circolano le auto, mi hanno preso sotto. Pensavo di essere al sicuro in quel luogo chiamato fosso, ma non dimenticherò mai lo sguardo soddisfatto dell'autista che si è addirittura buttato di lato per schiacciarmi. Almeno mi avesse ucciso. Ma mi ha solamente rotto l'anca. Il dolore è terribile, le mie zampe dietro non reagiscono più e mi sono issato con molta difficoltà, verso un pò d'erba ai lati della strada.

Mese 21:Sono 10 giorni che sto sotto il sole, la pioggia, senza mangiare. Non mi posso muovere. Il dolore è insopportabile. Mi sento molto male; è un luogo umido e direi che il mio pelo sta cadendo. La gente passa, nemmeno mi vedono, altri dicono "non ti avvicinare". Sono quasi incosciente, ma una forza strana mi fa aprire gli occhi......la dolcezza della sua voce mi ha fatto reagire. Lei diceva" povero piccolo cane, in che stato ti hanno ridotto"......con lei c'era un signore con una veste bianca,
mi ha toccato e ha detto "mi dispiace, cara signora, ma questo cane è incurabile, è meglio mettere fine alle sue sofferenze". La signora gentile si è messa a piangere ma ha approvato. Non so come, ma ho mosso la coda e l'ho guardato, ringraziandolo per aiutarmi a trovare finalmente riposo. Ho sentito solo la puntura della siringa e mi sono addormentato per sempre chiedendomi perchè fossi nato se nessuno mi voleva.

La soluzione non è di buttare un cane sulla strada ma di educarlo. Non trasformare in un problema una compagnia fedele. Aiuta a fare prendere coscienza e a mettere fine al problema dei cani abbandonati

Austria, Niko Alm e lo scolapasta in testa sulla foto della patente: è pastafariano

Saranno contente le minoranze religiose: l'Austria si dimostra uno stato rispettoso dell'altrui credo religioso. Anche quando si adora il Mostro di Spaghetti Volante. Il governo austriaco ha concesso Niko Alm la validità della sua patente e della sua foto, dove il giovane appare con uno scolapasta in testa. Alm si professa seguace del Pastafarianesimo, religione parodistica fondata dal professor Bobby Henderson che si prende ironicamente gioco del Creazionismo.

font:http://esteri.liquida.it/focus/2011/07/13/austria-niko-alm-e-lo-scolapasta-in-testa-sulla-foto-della-patente-e-pastafariano/

Vicini protestano, stop dei vigili al Grest

Il parroco di Santa Maria di Caravaggio: «Le chiamate dei residenti hanno rovinato la festa d’estate dei bambini»

Pavia . La squadra di Santa Maria di Caravaggio aveva appena vinto il torneo degli oratori, il Grest della parrocchia era finito e i bambini, quasi 200 dai 6 ai 13 anni, stavano festeggiando. Almeno fino a quando una pattuglia dei vigili non ha interrotto la festa perché i residenti di viale Golgi avevano chiamato al comando lamentandosi per il rumore.Non era un rave party scatenato e non era nemmeno notte fonda: erano appena le 10 di venerdì scorso, calda serata di luglio. Serata prefestiva, per giunta.«Siamo rimasti di sasso – racconta il parroco, don Carluccio Rossetti –. I vigili hanno fatto il loro dovere, evidentemente non potevano fare altro. Ma quello che ci stupisce e ci addolora è che a Pavia, attorno al nostro oratorio, ci sono persone, famiglie, alle quali danno fastidio dei bambini che giocano, festeggiano e si divertono all’oratorio. Quella di venerdì sera è stata l’unica festa organizzata in tutto l’anno: una serata particolare organizzata con l’impegno di educatori giovanissimi, dai 14 ai 18 anni, e di volontari. Erano solo le dieci di sera e la festa stava quasi per finire: davvero era necessario chiamare i vigili? Stavamo facendo qualcosa di male o stavamo aiutando i bambini e i ragazzi del quartiere a passare la serata in un ambiente educativo?». Nella città che l’assessore alla cultuta Gian Marco Centinaio presenta come «Pavia che vive» non è la prima volta che qualcuno telefona ai vigili chiedendo di interrompere una festa di ragazzini all’oratorio. Era successo appena due settimane fa, parecchio prima di mezzanotte, alla parrocchia del Carmine in piazza Petrarca, nel centro delle strade del divertimento serale e notturno del fine settimana. «Anche per noi era la prima ed unica festa serale dell’anno – allarga le braccia il parroco don Daniele Baldi –. Organizziamo una cena etnica il cui ricavato destiniamo in beneficenza: avevamo i permessi anche per fare musica fino a mezzanotte, ma hanno chiamato i vigili e alle 11 e mezza siamo abbiamo preferito spegnere tutto. Noi abbiamo la fortuna di avere l’oratorio in pieno centro, un punto di aggregazione facile da raggiungere e perfetto per i giovani: posso capire chi abita nelle case accanto, ma devo capire anche i ragazzi. Sono in tanti e si divertono: ma non a notte fonda. Qui stanno insieme, non bevono alcol, non si impasticcano: cerchiamo di essere tolleranti con i più giovani e di aiutarli a scegliere forme di aggregazione costruttive». Riccardo Bertoloni, animatore della parrocchia di Santa Maria di Caravaggio, va al cuore della questione in una lettera aperta su «Pavia città che vive» in cui chiede alla città di riflettere sul ruolo degli oratori e dei luoghi di aggregazione più in generale: «Se vogliamo che gli oratori vivano bisogna avere delle regole, delle garanzie. Una festa di bambini alle 10 di sera davvero può dare così fastidio? Se la risposta è sì, allora chiudiamo gli oratori, priviamo i bambini di un luogo sicuro dove trascorrere le giornate divertendosi, giocando, pregando. Non c’è altra soluzione: se in futuro dovesse ancora verificarsi un fatto analogo alla festa interrotta per le proteste dei residenti la mia proposta è quella di chiudere l’oratorio. Poi però non piangiamoci addosso, fatti come quelli accaduti venerdì scorso alla parrocchia di Santa Maria di Caravaggio sarebbero evitabili se tutti usassimo un po’ più di buon senso».

font: http://laprovinciapavese.gelocal.it/cronaca/2011/07/12/news/vicini-protestano-stop-dei-vigili-al-grest-1.725567

Highlights "Südtirol Sellaronda HERO 2011" - official video

Video ufficiale e spettacolare con gli highlights del "Südtirol Sellaronda HERO 2011".



font:http://www.vimeo.com/26259535

Il nonno si scatena nel ballo....

.....e i nipotini lo snobbano



font:http://www.youtube.com/watch?v=quqiZvf1CDE&NR=1

Nasce in Texas il super bambino, pesa 7 chili e mezzo

Ha il peso di un bambino di tre mesi ma è nato solo da poche ore. Dopo un iniziale problema di glicemia alta ora tutto è rientrato nella norma per JaMichael Brown il super neonato venuto alla luce in un ospedale del Texas, con il peso record di sette chili e mezzo. Trasportato in un centro specializzato a Longview il bambino ha avuto problemi a entrare nei normali lettini della nursery

















font:http://www.repubblica.it/persone/2011/07/12/foto/nasce_in_texas_il_super_bambino_pesa_7_chili_e_mezzo-19020801/1/?ref=HRESS-9

IL CASO I medici Usa contro Photoshop "Crea aspettative non realistiche"

L'American Medical Association ha lanciato l'allarme contro i ritocchi fotografici che sono ormai diventati un'abitudine per tante star. "Alterazioni" che hanno effetti negativi "soprattutto tra bambini e adolescenti" dal nostro inviato ANGELO AQUARO

NEW YORK - Più sani, più belli: e possibilmente più veri. Basta con le falsificazioni. Parte dall'America la crociata dei medici contro Photoshop. E soprattutto contro le false promesse. Così belli e belle come assicura quella pubblicità e quella modella non potrete diventarlo mai: perché quella modella sarà anche bella ma è prima di tutto impossibile. Ritoccata, magari non solo dai semplici ferri ma anche da quel particolarissimo trucco fotografico che si chiama Photoshop. Il nome per la verità indica un famoso programma di computer che permette il ritocco delle fotografie: una pratica fino a poco tempo fa destinata ai soli professionisti che però è in breve divenuta molto popolare e grazie al boom delle applicazioni adesso è addirittura a tiro di telefonino. Ma "photoshopping" è diventato un termine che sta a indicare tutto quanto riguarda il ritocco fotografico: con qualsiasi mezzo. Gli esempi sono sotto gli occhi di tutti. Negli Usa la star del reality Kim Kardashian è la bellezza più ritoccata del momento. E perfino la supercafona Snooki è apparsa sulla copertina di Rolling Stone molto più attraente di come si presenti in Jersey Shore. Non c'è modella o attrice che non venga ritoccata prima di finire sui giornali o negli spot. Perfino Kate Winslet si è assottigliata col trucco. E così l'American Medical Association, la più grande associazione di medici del mondo, ha deciso di lanciare l'allarme. Queste "alterazioni contribuiscono a non realistiche aspettative sull'appropriatezza dell'immagine del nostro corpo: specialmente tra i bambini e gli adolescenti più impressionabili". E quindi? L'associazione si propone adesso di sensibilizzare le agenzie di pubblicità e i professionisti del settore. Non siamo ancora al divieto ma poco ci manca. Il ritocco viene considerato deleterio come lo spot di un'insana merendina. Ma non basta. Dalla Francia alla Gran Bretagna anche in Europa si è già discusso sulla necessità di regolamentare il "photoshopping" a tutela dei minori: magari con un'avvertenza che indichi esplicitamente che si tratta di ritocco. Sarà. E i professoroni americani avranno, per carità, tutto il diritto e soprattutto il dovere di questo mondo per protestare. Ma è da Platone in giù che abbiamo imparato a diffidare delle immagini: e insomma su questo siamo già abbastanza attrezzati. Ma avete mai visto i medici avvertirci dei pericoli dei costosissimi ritocchi estetici, che loro stessi promuovono a colpi di bisturi?

font: http://www.repubblica.it/salute/medicina/2011/06/29/news/medici_usa_fotoritocchi-18401765/

IL LIBRO L'importanza del "Buongiorno" salutare ci fa sentire meno soli

Le nostre città sono sempre più anonime e "liquide", popolate da persone che si ignorano l'una con l'altra. Così anche solo un cenno può essere sufficiente a stabilire un legame, una reciprocità. Un brano estratto dall'edizione ampliata e aggiornata del "Sillabario dei tempi tristi" di Ilvo Diamanti, nelle librerie da domani di ILVO DIAMANTI

DA SEMPRE HO l'abitudine di salutare, sempre, quando incontro qualcuno. L'ho appresa da bambino. Frutto di un'educazione tradizionale, si direbbe oggi. L'ho mantenuta fino a oggi. Così, nei miei percorsi quotidiani saluto tutte le persone che incrocio. Soprattutto, intorno a casa, a Caldogno, quando mi faccio guidare dal cane. (Lui - meglio: lei, la mia piccola Cavalier - sceglie l'itinerario mentre io leggo.) Oppure a Vicenza, in centro. O ancora a Urbino o a Urbania. A volte anche altrove. Quando incontro qualcuno, da solo, mi è difficile fingere di non vederlo. Distogliere lo sguardo. Ma poi perché? Allora saluto con un cenno, con un buongiorno.Un "ciao", quando si tratta di persona conosciuta. Serve a stabilire una relazione. Un legame. Nulla di vincolante. Ma la persona con cui hai "scambiato" il saluto - dopo - non è più un "altro". Diventa un "prossimo". Magari non troppo "prossimo". Perché il "prossimo" è qualcuno che ti sta vicino dal punto di vista della distanza non tanto (solo) fisica, ma emotiva e cognitiva. La persona che saluti diventa qualcuno che "ri-conosci" anche se non lo conosci. Qualcuno che, a sua volta, ti ri-conosce, per reciprocità. Un "quasi" prossimo. Un "non estraneo". Un cenno di saluto serve, dunque, a tracciare un perimetro dentro il quale ti senti maggiormente a tuo agio. Meno estraneo. Come avviene dovunque tu conosca o almeno riconosca qualcuno. Altrimenti, per quel che mi riguarda, mi sento spaesato. Fuori con-testo. Non dispongo, cioè, di un testo condiviso, di un linguaggio comune ad altri, anche se espresso senza parlare. Perché non c'è bisogno di parole per comunicare con gli altri. Se non amici: non conoscenti. O, almeno, ri-conoscenti. Non è sempre facile, lo ammetto. Anzi, lo è sempre meno. Soprattutto da quando l'urbanizzazione ha stravolto i luoghi in cui vivo. Dove abito. Da quando lo spazio intorno a casa si è condensato e al tempo stesso liquefatto. Sovraffollato. Si è trasformato in una plaga immobiliare, una non-città, dove sono affluite centinaia e centinaia di persone. Sconosciute. A me, ma anche tra loro. Non è facile salutare le persone (?) che incontro. D'altronde, è divenuto sempre più difficile trovare un po' di verde. Guidato dal mio cane, allungo il percorso e mi sposto sempre più in là, sempre più lontano. Anche se ormai gli spazi verdi sono quasi scomparsi. E i pochi rimasti sono destinati a scomparire presto. Inseguiti ed erosi da nuovi insediamenti residenziali, da nuove strade e da nuove rotonde. Così, mentre costeggio cantieri e prati residuali, case abitate e altre che verranno, incontro perlopiù altre persone che accompagnano i loro cani. O viceversa (come me). Ma è difficile rivolgere loro un saluto. Perché non mi vedono. Occupate, al cellulare, a parlare con altre persone lontane. Oppure isolate da tutti, soli con il loro iPod. Ed è difficile, altrettanto difficile, salutare gli altri ("altri"), quelli che escono di casa mentre passo. Non importa se a 100 metri o a un chilometro da casa mia. Tanto non conosco quasi nessuno, di questi nuovi arrivati (o magari è da parecchio tempo che abitano nel quartiere, ma è lo stesso, perché sono anonimi. Non hanno un nome. Non li conosco e non si conoscono, neppure tra "vicini"). Quando li incontro e li saluto, con un buongiorno e (o) un cenno del capo, alcuni rispondono. Ri-cambiano. (Le donne, soprattutto.)
Altri si limitano a un gesto imbarazzato. Un po' sorpresi. Altri ancora non rispondono. Non dicono e non fanno nulla. Tirano dritto. Come non mi avessero visto. E forse è vero, è proprio così. Abituati a stare e a essere soli. Non si accorgono della mia presenza. O, comunque, preferiscono ignorarmi. Alcuni, infine, non rispondono ma mi guardano storto. Irritati più che stupiti. Percepiscono il mio saluto come un'intrusione. E si chiedono, mi chiedono, con lo sguardo, cosa io voglia da loro. E perché non me ne stia al mio posto. Cioè, lontano. Fuori dalla loro vista e dalla loro vita. Abitanti di questo mondo senza relazioni e senza società, guardano ma non vedono. E non ascoltano. Temono chi si avvicina troppo. (E non è un caso che gli "stranieri" suscitino imbarazzo e fastidio. Al di là di ogni altro problema: ci "avvicinano" e ci danno del tu). Il prossimo, ha scritto Luigi Zoia, è morto da tempo. Sostituito da surrogati elettronici, che offrono mediazioni mediatiche infinite. Promuovono rapporti indiretti e im-personali. Apatici invece che empatici. Ma io non mi rassegno e continuo, continuerò a cercarlo. Il prossimo. A costruirlo, raffigurarlo. Intorno a me, almeno. Il prossimo. Anche se ridotto a un saluto, un cenno del capo. Non rinuncerò a guardare gli "altri" in faccia. Per egoismo. Per non sentirmi circondato "solo" da "altri". Cioè, per sentirmi meno "solo".


font: http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2011/07/05/news/sillabario_tempi_tristi-18672783/
© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano

Phoenix: la città è sepolta dalla sabbia

Sembrano effetti speciali di un film, ma sono immagini assolutamente reali: è l'incredibile tempesta di sabbia che si è abbattuta sulla città americana. I forti venti hanno poi dissipato l'enorme nube in poche ore



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Muore 80enne, nel manifesto funebre: ''Dispiace solo andarmene prima del Berlusca''

"Il nonno riusciva a farci ridere sempre: "L'unico dispiacere è essere andato prima del Berlusca"". Il singolare necrologio, con citazione del defunto sul premier e scritto in dialetto, è apparso sui muri di un paesino nel Pavese e sta 'girando' su Facebook. Il manifesto è firmato da moglie, figli, nipoti e altri familiari dell'ottantenne, il cui funerale si è svolto due giorni fa nella chiesa parrocchiale della Certosa di Pavia.




font: http://notizieincredibili.scuolazoo.com/incredibile/muore-80enne-nel-manifesto-funebre-dispiace-solo-andarmene

Coldplay - Every Teardrop Is A Waterfall



font:http://www.youtube.com/watch?v=fyMhvkC3A84&feature=topvideos_music

Svezia, l'asilo dei bambini senza sesso

Si chiama Egalia e i piccoli vengono apostrofati tutti con il pronome neutro «hen» usato nei circoli femministi

MILANO - Accanto alla cucinetta e alle verdure finte, ci sono i mattoncini Lego e gli aeroplani, e tra le bambole – rigorosamente nere - spuntano robot e il modellino di un treno giapponese. Niente adesivi colorati azzurri e rosa e fiocchetti sui grembiulini, e il divieto assoluto per maestre e inservienti di appellarsi ai bimbi usando il pronome «lei» o «lui». Ecco le regole dell'asilo Egalia, dove tutti i piccoli sono uguali e dove si impara a non discriminare interessi e diritti partendo dal sesso del singolo individuo.
UNA SCUOLA PER POCHI – Aperto dallo scorso anno, vanta una lista d'attesa lunghissima: ha solo 33 posti, troppo pochi rispetto alle richieste della zona, il distretto di Sodermalm, isoletta densamente popolata poco a sud del centro di Stoccolma, Svezia. E vanta anche – raccontano orgogliose le maestre - un numero molto basso di defezioni: nonostante il programma pedagogico sia rigido, solo un bimbo si è ritirato nel corso del primo anno di attività.
IL PROGETTO PEDAGOGICO – Alla base del progetto di Egalia sta la lotta alla discriminazione sessuale. I bimbi, tutti da 1 a 6 anni, non vengono chiamati a seconda del loro sesso ma sono appellati indistintamente con il nome «friend», amico/a, e per dire «lui» o «lei» viene usato il pronome neutro svedese «hen», inesistente nel vocabolario svedese ma usato nei circuiti femministi ed omosessuali. I giochi e i libri sono mischiati, nella tipologia e nei colori, senza creare aree spiccatamente femminili separate da zone maschili. Un esperto di differenze di genere segue gli iscritti ed istruisce le maestre, tutto all'insegna della totale parità. «La società si aspetta che le bambine siano femminili, dolci e carine e che i bambini siano rudi, forti e impavidi. Egalia dà invece a tutti la meravigliosa opportunità di essere quel che vogliono», dichiara una delle insegnanti. Oltre a insegnare a non discriminare i generi, nell'asilo Egalia si gioca con bambole di colore e si leggono libri che raccontano anche storie diverse, come l'amore tra due giraffe maschi. E in libreria non compaiono i classici come Cenerentola e Biancaneve, così ricchi di stereotipi sulla figura femminile.
LE CRITICHE – Ma non tutti apprezzano il progetto pedagogico, e molti si chiedono se davvero tali accorgimenti servano a sradicare le credenze sessiste nei più piccoli, o se non finiscano semmai per confondere ulteriormente la socialità dei bimbi tutta in divenire. La lotta alla discriminazione e alla parità tra i sessi, cavallo di battaglia della Svezia, ha portato a un'esagerazione e a una sorta di «follia di genere», sostengono alcuni opinionisti. Mentre altri mettono in guardia: impedire ai maschi di trasformare un bastoncino in una spada e di urlare facendo la lotta potrebbe sortire l'effetto contrario. Eva Perasso

font:http://www.corriere.it/esteri/11_giugno_29/svezia-asilo-genere-neutro-eva-perasso_99c37d42-a23b-11e0-b1df-fb414f9ca784.shtml

Spot ufficiale "Sicilia 365 giorni all'anno" (musica: Ruggiero Mascellino)

Bel link suggeritoci da Turri Du', dove si evidenziano le bellezze della nostra terra



http://www.youtube.com/watch?v=WP5_23ru16M&feature=related

A.S.D P.G.S "Stelle Azzurre" dal 1983: Il calcio come scienza del movimento


A.S.D P.G.S "Stelle Azzurre" dal 1983: Il calcio come scienza del movimento: "Salvatore Bianchetti è nato a Catania nel 1950. Diplomato ISEF nel 1973, si è laureato nel 2001 in Scienze Motorie presso la Facoltà di Med..."

Il nostro passato comune di Antonio Thellung

Ricordo, da bambino, di essere stato alla festa per le nozze d'oro di nostri lontani parenti: mi sembravano d'una vecchiezza impressionate, come personaggi al di fuori del mondo reale. Ora, fra pochi mesi, insieme a Giulia (mia moglie) compiremo anche noi cinquant'anni di matrimonio, eppure non ci sentiamo così decrepiti. Intendiamoci, i segni del tempo si vedono tutti, ma il nostro amore continua a rifiorire, come il vino buono che invecchiando migliora. Il fatto è che da qualche tempo abbiamo superato ogni desiderio di possesso reciproco, e i frutti si vedono e si sentono. Credo che in qualche modo ogni itinerario coniugale debba fare i conti con tendenze possessive, che diventano senz'altro distruttive, se non si giunge a lavorare insieme per coltivare invece la disponibilità. Non c'è solo la gelosia, soprattutto quando assume aspetti patologici, a derivare da simili intenzioni, perché sovente gli atteggiamenti possessivi assumono altre forme, più subdole e meno facilmente identificabili. A parte le esplicite volontà di possesso, che alcuni considerano positive (ovviamente per se stessi), la naturale insicurezza umana, insieme all'istintiva ricerca di affermare una propria identità, sono elementi che sovente spingono, più o meno consciamente, a volersi impossessare degli altri, e tanto più quanto più i rapporti sono stretti e intimi. In particolare si alimentano e crescono, oppure maturano e si trasformano, nell'ambito del rapporto coniugale, dove l'impatto con atteggiamenti speculari costringe prima o poi a fare i conti anche con se stessi. Si potrebbe dire che l'andamento standard di un rapporto di coppia è fatto di momenti piacevoli e di scontri quotidiani, anche se sovente piccolissimi. Di solito, la reazione più comune alle divergenze è la pretesa che sia l'altro a cambiare: se tu fossi o facessi così e così, allora io.... È sempre l'altro a doversi muovere per primo. Nel corso degli anni, con Giulia abbiamo avuto abbondanti momenti piacevoli, ma ci siamo anche tanto contrastati! Dobbiamo ammettere che talvolta anche il nostro matrimonio ha corso il rischio d'imboccare strade sconnesse e divergenti. Poi finalmente la Grazia ci ha sfiorato e ci siamo incontrati: abbiamo smesso di pretendere che sia il coniuge a dover cambiare, per deciderci a cambiare insieme. O per dir meglio, siamo passati dalla voglia di convertire l'altro alla semplice e banale idea di cominciare dalla propria conversione. La nostra fortuna, o se si preferisce il grande dono ricevuto dallo Spirito santo, è di aver intuito contemporaneamente i benefici che ne potevamo trarre. Come risultato, eccoci ancora innamorati, ma in modo assai più divertente d'un tempo. Ora ci sembra incredibile che sia così difficile capire quel che, una volta capito, appare addirittura ovvio. E cioè che l'autentico interesse di un coniuge non può mai essere in contrasto con quello dell'altro. Chi aspira a un rapporto sereno, ricco di armonia e di affetto condiviso, non dovrebbe faticare a capire che tale realizzazione è possibile solo se il coniuge ha un desiderio analogo. Ma se è così, come ignorare che l'interesse primario sarà la preoccupazione di facilitarsi l'un l'altro il compito, di spianarsi reciprocamente la strada in modo da incontrarsi su un cammino comune? Più ancora che altruismo, occuparsi dell'altro, riscoprire quotidianamente la persona amata, è conveniente per sé. Bisogna farsi parte attiva, aprire la strada alla comunicazione, preoccuparsi di conoscere bene gli stati d'animo del coniuge, non attendere quegli accumuli che fanno esplodere rivalse, innestano comunicazioni aggressive, finiscono per fare ingigantire conflitti iniziati da piccoli e secondari problemi. Bisogna smetterla di fuggire le difficoltà nell'illusione di un pro bono pacis che maschera il problema creando altri accumuli. Comunicare è tutt'altro che facile, per riuscirci efficacemente bisogna imparare a "farsi dire", un'arte difficilissima, che si basa sull'offerta della propria disponibilità prima di pretendere qualcosa dall'altro. Con Giulia, il nostro rapporto ha fatto il decisivo salto di qualità quando abbiamo imparato a chiederci frequentemente: hai qualche cosa da dirmi? Oppure: posso fare qualcosa per te? E ci siamo rapidamente accorti che l'offerta di coinvolgersi dove ci sono differenze e contrasti è già l'inizio d'una qualche soluzione. A quel punto diventa chiaro che non si può vincere uno contro l'altro, ma si può soltanto vincere insieme. La parola convincere, che talvolta viene intesa come forzatura (mi vuoi convincere per forza?), ha invece un significato altamente costruttivo. Con–vincersi, vincere insieme, trovare insieme qualche soluzione, è l'unica possibilità di risolvere i problemi una volta per tutte. E dopo aver trovato questa complicità, questo coinvolgimento, questo fronte comune contro le pretese di chiunque dei due, sconfiggerle diventa facilissimo, perché si sente aumentare la gratitudine reciproca per lo straordinario dono di facilitarsi l'amore. Quando si sente sgorgare dal cuore la voglia di dire al proprio innamorato, non ti ringrazio perché mi ami, ma ti ringrazio di amarti, allora il gioco è fatto e rien ne va plus! Non resta che godersi la (con)vincita. ...

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