La canzone della beatificazione di Wojtyla

Il cantante Matteo Setti interpreta ''Non abbiate paura'', il brano incentrato sulla figura di Papa Giovanni Paolo II, che verrà presentato in concomitanza con le celebrazioni per la sua beatificazione. La canzone ha ottenuto il nulla osta della libreria Editrice Vaticana, Radio Vaticana e utilizzo per il video delle immagini del Centro Televisivo Vaticano



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IL RACCONTO "Io, condannato a vincere da un padre mostro"

Esce in Italia "Open", la sorprendente biografia dell'ex tennista che racconta come è diventato un campione, e come è arrivato a odiare il suo sport per colpa di un genitore violento, brutale, ossessivo. Eccone un passaggio di ANDRE AGASSI


Il mio odio per il tennis si concentra sul drago, una macchina lanciapalle modificata dal mio vulcanico papà. Nero come la pece, montato su grosse ruote di gomma e con la parola prince dipinta in bianche lettere maiuscole lungo la base, il drago assomiglia a una qualunque macchina lanciapalle di un qualsivoglia circolo sportivo americano. In realtà, però, è una creatura vivente uscita da uno dei miei fumetti. Il drago respira, ha un cervello, una volontà, un cuore nero - e una voce terrificante. Risucchiando un'altra palla nel proprio ventre, il drago emette una serie di rumori disgustosi. (...) Quando il drago punta dritto su di me e spara una palla a 180 chilometri all'ora, emette un ruggito da belva assetata di sangue che mi fa sobbalzare ogni volta. Mio padre lo ha reso spaventoso di proposito. (...) Papà dice che se colpisco 2500 palle al giorno, ne colpirò 17.500 alla settimana e quasi un milione in un anno. Crede nella matematica. I numeri, dice, non mentono. Un bambino che colpisce un milione di palle all'anno sarà imbattibile. Colpisci prima, grida mio padre. Accidenti, Andre, colpisci prima. Stai addosso alla palla, stai addosso alla palla. Adesso è lui che mi sta addosso. Mi grida direttamente nelle orecchie. Non basta colpire quello che il drago mi spara contro; mio padre vuole che colpisca più forte e più in fretta del drago. Vuole che batta il drago. Il pensiero mi sgomenta. Mi dico: non puoi battere il drago. Come si fa a battere qualcuno che non si ferma mai? A ben pensare, il drago assomiglia un sacco a mio padre. Solo che papà è peggio. Per lo meno il drago ce l'ho davanti, dove posso vederlo. Mio padre invece mi sta alle spalle. Non lo vedo mai, lo sento soltanto, giorno e notte, che mi urla nelle orecchie. Più topspin! Colpisci più forte. Colpisci più forte. Non in rete! Maledizione, Andre! Mai in rete! (...)
A mio padre piace sparare ai falchi. La nostra casa è ammantata delle sue vittime, uccelli morti che coprono il tetto come le palle da tennis coprono il campo. Mio padre dice che i falchi non gli piacciono perché scendono in picchiata sui topi e su altre indifese creature del deserto. Non sopporta l'idea di un animale più forte che ne cattura uno più debole. (Questo vale anche per quando va a pesca: qualunque pesce prenda, gli dà un bacio sulla testa squamosa e lo ributta in acqua). Ovviamente non si fa scrupoli di catturare me, non lo turba vedermi boccheggiare al suo amo. Non coglie la contraddizione. (...) Sono l'ultima speranza del clan Agassi. A volte apprezzo le sue attenzioni, ma altre volte vorrei essere invisibile, perché papà può fare paura. Fa delle cose... Per esempio, spesso s'infila pollice e indice su per il naso e poi, irrigidendosi per il dolore che gli fa lacrimare gli occhi, si strappa un bel ciuffo di peli neri. È così che si prende cura del proprio aspetto. Con lo stesso spirito si rade senza schiuma da barba né crema. Semplicemente si passa a secco un rasoio usa e getta sulle guance e sulla mascella, poi lascia che il sangue gli scorra sul viso finché non si asciuga. (...) Tiene un manico d'ascia nella sua auto. Non esce mai di casa senza una manciata di sale e pepe in ciascuna tasca, nel caso si trovi ad azzuffarsi per strada e debba accecare qualcuno. (...) Sono in macchina con papà un giorno, diretti al Cambridge, e lui inizia a litigare con un altro automobilista. Ferma l'auto, scende e ordina all'uomo di fare altrettanto. Poiché mio padre sta brandendo il suo manico d'ascia, quello si rifiuta. Papà allora gli colpisce con il manico i fari anteriori e posteriori, mandandoli in frantumi. Un'altra volta mio padre allunga un braccio e punta la pistola contro un altro automobilista, tenendola all'altezza del mio naso. Io fisso dritto davanti a me, immobile. Non so cosa abbia fatto di male quell'altro, so solo che è l'equivalente automobilistico di tirare in rete. Avverto la tensione del dito di mio padre sul grilletto. Poi l'altro sgomma via, seguito da un suono che sento di rado: la risata di mio padre. Sta ridendo a crepapelle. Mi dico che ricorderò questo momento - papà che ride, tenendomi una pistola sotto il naso - campassi cent'anni. (...) L'ultimo posto dove vorrei essere, a parte un campo da tennis, è in auto con mio padre.

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Cane balla insieme al padrone

Protagonista di questo video è Pinga, un bulldog francese, che con la sua abilità sta davvero avendo un grande successo su internet. Infatti, il cagnolino ha una vera è propria passione per la musica rap e da discoteca, sicuramente trasmessagli dal suo padrone, con il quale balla in questo video. Non appena il ragazzo mette la musica e inizia a muoversi a ritmo di musica, subito lo segue Pinga, che è davvero bravissima a copiare i suoi movimenti.



http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=f5Wbx-aqtYk

SOCIETA'. Dai locali jazz al mondo intero i segreti del "dammi il cinque"

Negli Usa dal 2002 esiste il "National High Five Day", che cade il terzo giovedì di aprile. Ma in pochi sanno chi ha ideato il gesto più famoso del mondo di SARA FICOCELLI

PER GLI americani il ricordo va ai tenenti "Maverick" e "Goose" in Top Gun, per gli italiani al team dei Ringo Boys e al tormentone dell'ex "deficiente" Jovanotti. L'"high five", "give me five" o "dammi il cinque" da oltre mezzo secolo è uno dei gesti più diffusi al mondo e, per quanto circondato da uno spesso alone vintage, non passa mai di moda. Negli Usa dal 2002 esiste il "National High Five Day" 1, che cade il terzo giovedì di aprile (quest'anno il 21, l'anno prossimo il 19), ma malgrado tanta riconoscenza in pochi sanno chi lo ha ideato, cosa significa e come l'usanza di battere il palmo contro quello di un altro si sia diffusa in modo tanto capillare. C'è chi dice che il cinque rappresenti la forza universale e l'individualità e che il "gimme five" sia simbolo della trascendenza a esistenze superiori; altri sostengono che fosse il saluto usato tra i ragazzi neri di Harlem negli anni '70. La verità sta nel mezzo, tra la spiritualità della musica e la gestualità parlante dei neri d'America. L'antenato dell'"high five" è figlio del jazz e nasce negli Usa negli anni '20, diffondendosi in breve dalle bettole ai locali chic del nuovo mondo. Era il gesto d'intesa che i musicisti di colore si scambiavano tra una canzone e l'altra, un po' come a dire "fratello, ce l'abbiamo fatta". Partendo umilmente dal basso. I primi "give me five" erano infatti dei "low five", il palmo si batteva senza alzare le mani, e in gergo si parlava di "giving skin" e "slapping skin". Non c'è una data di nascita precisa, ma l'usanza è stata immortalata per la prima volta dal cantante Al Jolson nel 1927, nel film sonoro "The jazz singer". I bianchi si erano innamorati al punto del "give me five" dei signori del jazz che il girl group statunitense delle Andrews Sisters, nel film "In the navy" del 1941 di Abbot & Costello, intonò per i marinai "Gimme some skin, my friend", con un chiaro riferimento alla tradizione afro: "If you want to shake my hand / like they do it in Harlem, /stick your hand right out and shout / "Gimme some skin, my friend!".
Da allora è stato un crescendo. Fino al 1977, quando il campione del baseball Glenn Burke schiacciò il palmo contro quello di Dusty Baker durante una partita dei Los Angeles Dodgers, consacrando l'"high five" nell'olimpo dei gesti sportivi più amati. Un altro campione, Lamont Sleets, per gli amici "Mont", ha sempre sconfessato questa versione, sostenendo di essere stato lui il primo a portare il cinque nei tornei, partendo dai campi di basket della Murray State University negli anni '60. E' solo una delle tante diatribe sulla paternità del "give me five", che in America danno sfogo alla rivalità tra basket e baseball. C'è addirittura attrito sull'origine del termine: i cestiti sostengono di averlo coniato per primi tra il 1979 e il 1980, ma per gli amanti del baseball il battesimo è merito del campione Derek Smith, dell'università di Louisville. Al di là dei diritti d'autore, il "cinque" è diventato un gesto ricorrente tra film, spot e vita quotidiana, quando Baker ha schiacciato la sua manona da professionista sportivo contro quella del collega in diretta tv. Il termine "high five" è entrato nell'Oxford English Dictionary nel 1981, trasformandosi anche in un verbo, e nel 2002 tre studenti dell'università della Virginia hanno fatto scalpore intraprendendo una vacanza on the road con lo scopo di dare il cinque a tutte le persone conosciute nel viaggio, lanciando un messaggio di pace laico e trasversale. Nel 2005 la loro idea è stata premiata con un monumento ufficiale nella città di San Diego e da qui è nato il National High Five Day come celebrazione ufficiale. Una storia nobile, quella del "dammi il cinque", fatta di emancipazione razziale e fratellanza, campi sportivi e campus universitari: peccato relegarla a un semplice "gimme five".

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Quando il cuore si ferma

L'ho sentito arrivare che stavo a casa mia, pronto a recarmi a un incontro, dove mi attendevano molte persone. A discutere di cambiamenti sociali,culturali, religiosi. Mi ha fermato un dolore muto. Più che un dolore, un senso di oppressione al di sotto della bocca dello stomaco. Tanto che ho pensato a un'indigestione - la sera prima, sul tardi, avevo mangiato la pizza con un amico. Non dovrei, perché la digerisco a fatica, ma mi piace. E a volte - poche - transigo. Sono rimasto lì ad ascoltare questo dolore muto, che non accennava a diluire, a perdere intensità, nonostante l'attesa. Nonostante qualche palliativo. Non l'avevo mai provato. Non richiamava il pericolo che tutti, alla mia età, temono. L'Incombente, che ti aspetta all'angolo della strada, in qualsiasi momento della tua vita. Ti aggredisce. All'improvviso. Non avevo dolori al torace, alle spalle. Solo questa pressione allo stomaco, che si allargava e si acuiva. Ma io sapevo, ne ero certo, che era lui. Stava arrivando. E non l'ho atteso. Ho avvertito mia moglie: "Portami all'Ospedale subito. Sta arrivando". E lei, con il (suo) cuore in bocca, mi ha caricato in auto ed è partita. Mentre il senso di oppressione diventava più pesante e mi faceva male. Ha viaggiato di corsa, sempre più di corsa, azzardando sorpassi e manovre che mai aveva rischiato, nella sua vita. In un quarto d'ora siamo arrivati al Pronto Soccorso dell'Ospedale San Bortolo, dove il mio amico Vincenzo mi ha accompagnato dritto in sala operatoria.
Pronta. Perché ne era appena uscito un'altra persona, un 40enne, colpito da infarto. Mi hanno operato subito, dopo che i test dedicati avevano confermato che avevo ragione.L'Infarto: era arrivato. Appena arrivato. E io ero arrivato. Appena in tempo. Mentre la sonda risaliva l'arteria femorale destra, sul monitor ho visto, intuito il mio cuore trafitto. La coronaria sinistra chiusa. Riaperta. Ho visto il mio ventricolo sinistro, contrarsi. Ho sentito dolore. Un dolore non più muto,
ma forte, violento. Come mai avevo provato. Un dolore senza un luogo, un punto specifico e definito. L'ho sentito defluire, insieme al sangue che attraversava di nuovo il mio cuore. Tutto finito, mi hanno detto. Tutto passato. Il peggio. Mi hanno detto, mentre mi portavano all'Unità di Terapia Intensiva Coronarica. Dove sono rimasto sette giorni. Un altro intervento per liberare e cautelare la coronaria. Tre stent. Quasi un simbolo di status, mi hanno scritto molti amici. Il marchio di un club. Tutto passato. Il peggio. Mi hanno detto. E continuano a dirmi, via via che le mie condizioni migliorano. Tutto passato. Ma il presente è diverso. Sette giorni con me stesso. Accanto a me solo i medici, gli infermieri, le infermiere. Mia moglie. Sette giorni a guardarmi dentro. Ad ascoltarmi. A entrare dentro il mio cuore. Che, per definizione, è un muscolo involontario. Funziona a prescindere dalla nostra volontà. Per vivere dovremmo vivere come se. Non ci fosse. Ma c'è. Lo so. Per giorni, attaccato a un contropulsatore, gli occhi fissi sul monitor che esplorava il mio cuore senza sosta, l'ho guardato. Cioè: mi sono guardato e ascoltato dentro.
Protetto dal mondo, che non doveva interferire con il rapporto fra me e il mio cuore. Fra me e me. Gli echi di quel che succede fuori mi sono arrivati, attraverso i giornali, una radiolina. Sgradevoli. Più sgradevoli di sempre. La nostra indifferenza nei confronti degli altri che abitano davanti a noi. Mi è parsa oscena. La pagheremo. E poi il rumore di fondo, con quell'immagine sempre in movimento, la stessa, lo stesso, che si agita, strepita, sempre lui, sempre fermo, nello stesso punto. E il rumore mediatico che lo amplifica. Insopportabile.L'Infarto mi ha cambiato. Mi ha fatto sentire solo e, al tempo stesso, meno solo. Perché in un mondo di relazioni disattente e multiple tutto sembra uguale, in-differente. Durante e dopo l'infarto ti guardi dentro e intorno. E senti. L'importanza dei tuoi. La moglie, i figli. Mio padre, le mie sorelle. I legami stretti. Ma anche la rete delle persone che contano. E non sono poche. L'infarto è un'occasione, se hai la fortuna di incontrarlo senza danni irreparabili. È un'occasione che ti è data. D'altronde, non può essere per caso. Che io lo senta, quando ancora non è arrivato. E che mi raggiunga a casa, e non in viaggio oppure lontano, come mi capita spesso e sempre più spesso. Che, di sabato, io trovi una sala operatoria preparata e una dottoressa, esperta pronta a operarmi. Come fossero lì, ad attendermi. Che tutto avvenga in una Unità terapeutica di eccellenza. Non può essere un caso. Per caso. L'infarto è un'occasione, se lo accogli senza fingere. Che nulla sia cambiato. Che tutto continuerà come prima. Se non ti fai prendere dal panico e dalla paura. Dalla paura della paura.
L'infarto è l'occasione per ri-cominciare. Se ne sei capace. Per guardarti dentro e intorno. Perché domani, certo, è un altro giorno. Ma anch'io, oggi, sono un altro. Diverso da prima. E non sarò più lo stesso. E' il motivo per cui ho scritto queste cose. Non me le sono tenute dentro, per pudore e con paura. Ho raccontato i fatti miei. Ho esibito me stesso. (Sfidando il fastidio di molti a cui, sicuramente, dei fatti miei non interessa molto). Ma l'ho fatto - anzitutto e soprattutto - per me. Per non dimenticare.Per impedirmi di ritornare. Indietro.

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La spettacolare Via Lattea e le nuvole d'oro

Una Via Lattea mai vista prima grazie alle riprese effettuate dalla montagna El Teide, la più alta della Spagna, dove si trova uno degli osservatori migliori del mondo. Una settimana per creare questo video e parecchie difficoltà per il fotografo Terje Sorgjerd, fra le quali una tempesta di sabbia del deserto del Sahara arrivata fino in Spagna che ha l'aspetto di nuvole dorate al secondo 32 del filmato



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Simpatico battibecco tra padre e figlio

Guardate un po' questa divertente discussione tra un padre e il suo bambino. I due devono uscire, ma il problema è come: a piedi o con la macchina? Infatti, il piccolo, appena il papà gli dice di uscire si avvia verso la macchina, probabilmente scocciato dal fatto di dover camminare a piedi come vuole il padre. Inizia così un battibecco: "andiamo a piedi", "si", "no", "si", "no",fino a quando con uno stratagemma il papà riesce a fargli dire ciò che vuole.




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PGS: al via le Pigiessiadi edizione 2011

Al via l’organizzazione delle Pigiessiadi edizione 2011 dedicate all’Italia che celebra il 150° della sua unità nazionale. Le finali regionali si svolgeranno al Villaggio Kastalia di Ragusa dal 20 al 22 maggio per le categorie Mini, Propaganda e Scolastiche, dal 26 al 29 maggio per le categorie giovanili e libera. Programmi intensi strutturati non soltanto con gare nelle diverse discipline del basket, calcio a cinque, volley ma anche con momenti di incontro, festa, animazione e formazione.

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Tsunami, nuovo video: in fuga dall'onda con la telecamera

Un nuovo, drammatico video amatoriale dello tsunami che ha colpito il Giappone mostra per la prima volta cosa voglia dire scappare avendo l'onda anomala alle spalle. Moglie e marito attendono fin troppo prima di allontanarsi dalla costa. L'uomo riprende con la sua telecamera la massa d'acqua che si avvicina, pensando probabilmente di essere a distanza di sicurezza. Quando le onde invadono la strada, però, si rendono conto che rischiano di essere travolti. E fuggono disperatamente. La telecamera, rimasta accesa per tutto il tempo, documenta la loro corsa per mettersi in salvo.



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RICERCA Un cervello per amare neuroscienze, è sfida

Presentato al Brain Forum lo studio di Mobley sull'attivazione delle emozioni fra neuroni. Secondo lo scienziato dell'University of California, entro una ventina d'anni sarà possibile intervenire sulle emozioni passando dalla corteccia cerebrale. E intanto l'Italia lavora per creare, entro il 2020, il primo modello di cervello artificiale di SARA FICOCELLI

Un cervello per amare neuroscienze, è sfida Secondo i ricercatori, presto sarà possibile intervenire sui neuroni per "pilotare" le emozioni DI che colore è il pensiero? La scienza ancora non ha una risposta ma tutti percepiamo - come ha scritto il presidente di Brain Circle Italia Viviana Kasam - che "il pensiero è pittore... dipinge le nostre emozioni, la speranza, l'invidia, l'estasi, il lutto, la passione". E l'amore. Del "Brain built for love", il cervello fatto per amare, si è parlato alla seconda edizione del Brain Forum di Milano, appuntamento che il 4 e 5 aprile ha raccolto al Piccolo Teatro il fior fiore dei neuroscienziati di tutto il mondo.
Il dottor William C. Mobley, direttore del Center for Down Syndrome Research and Treatment all'Università di Stanford e dal 2009 titolare della cattedra di Neuroscience all'University of California, San Diego, ha spiegato come la nostra mente sia programmata per ricevere, elaborare e inviare informazioni e come questa continua sinergia tra neuroni sia alla base dell'amore romantico, di quello amicale e di quello materno. Tre emozioni diverse, basate sui medesimi processi comunicativi perché l'amore, di qualunque natura esso sia, attiva sempre le stesse aree del cervello. Mobley ha studiato a lungo gli scambi di informazioni tra circuiti neuronali, "all'inizio usando strumenti grezzi, primitivi - ha spiegato al forum - e poi decifrando i dati in maniera sempre più approfondita. La mia idea è che esista la possibilità, per lo scienziato, di intervenire sulla chimica neuronale e in particolare sulla capacità del cervello di provare empatia e compassione, due emozioni fondamentali, alla base del sentimento amoroso". Empatia e compassione, dunque. La prima sottintende una volontà di comprendere l'altro, la seconda un senso di partecipazione rispetto a una situazione. Entrambe si sviluppano nella corteccia cerebrale anteriore, adibita ai sentimenti soggettivi, che crea quella "consapevolezza di sé" che ci rende unici. Secondo Mobley, il processo che porta la mente a focalizzarsi su un oggetto e a intergrare questa percezione con sentimenti soggettivi è alla base dell'amore. E la cosa straordinaria è che monitorare e rimodulare questo meccanismo è possibile, utilizzando strumenti di ultima generazione in grado di studiare l'anatomia del cervello. "Il dolore, ad esempio - spiega lo scienziato - nasce nell'insula cerebrale anteriore, nella corteccia del cingolo, che riceve informazioni simpatico-sensoriali e permette la comunicazione fra area destra e sinistra, tra zona limbica sensoriale e corteccia del cingolo. Intervenire sui meccanismi di comunicazione tra A e B permetterebbe di calibrare la sensibilità del cervello alla sofferenza e di capire, tra le altre cose, perché è così difficile amare". A detta dello scienziato, questi studi permetteranno, entro i prossimi 20 anni, non solo di migliorare la situazione di persone affette da disturbi affettivi (una per tutte, l'incapacità di provare empatia, determinata da squilibri nella zona frontotemporale) ma anche di approfondire gli aspetti più specifici dei rapporti umani, permettendo a tutti, come ha ricordato lo stesso Mobley, di "amare di più per vivere più a lungo e meglio". "Quando si dice che l'amore è cieco - ha concluso - si fa riferimento a una verità scientifica, perché è proprio la deattivazione di alcune zone corticali la base dell'amore materno, eterno per definizione". Che la neuroscienza stia facendo passi da gigante nella scoperta dei misteri della mente lo conferma un altro progetto presentato al Brain Forum, "Human Brain", di durata decennale, finalizzato a ricreare, entro il 2020, il primo modello completo di cervello artificiale. Il progetto è candidato al Premio Flagship, sponsorizzato dalla Commissione europea, che premierà le due iniziative scientifiche più meritevoli con cospicui finanziamenti e si avvale della partecipazione di neuroscienziati come Henry Markram del Brain Mind Institute di Losanna, Idan Segev della Hebrew University di Gerusalemme e di circa un centinaio di laboratori in Europa. I quattro gruppi fondatori italiani sono l'Università di Pavia, il Politecnico di Torino, l'università di Firenze e il CNR e il tutto si inserisce nell'ambito del "Blue Brain Project" 1, progetto avviato nel maggio 2005 da IBM in collaborazione con Henry Markram e con l'École Polytechnique di Losanna in Svizzera. Ma questo supercervello artificiale sarà mai capace di amare?

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IL GIORNO Giovanni Paolo II santo si festeggerà il 22 ottobre

Emanato il decreto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti. Alla memoria del Papa polacco si potranno anche intitolare le chiese

CITTA' DEL VATICANO - La data in cui sarà celebrata ogni anno la memoria liturgica del nuovo beato Giovanni Paolo II sarà il 22 ottobre, anniversario dell'inizio del suo pontificato. Lo dispone il decreto emanato dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, pubblicato sull'Osservatore Romano nell'edizione di domani. La celebrazione del nuovo beato riguarderà la diocesi di Roma e le diocesi della Polonia: non è stato infatti concesso il "culto universale", che era stato richiesto dal Vicariato all'inizio della causa di beatificazione. Il decreto sul culto a Giovanni Paolo II pubblicato oggi dall'Osservatore Romano include la possibilità di "dedicazione di una chiesa a Dio in onore del nuovo Beato". E non ci sarà bisogno per questo di una specifica autorizzazione vaticana se la diocesi interessata avrà già deciso in precedenza di inserire la memoria liturgica del beato, fissata per il 22 ottobre a Roma e in Polonia, nel proprio calendario liturgico. O se lo avrà fatto anche a suo nome la Conferenza Epicopale competente. "La scelta del Beato Giovanni Paolo II come titolare di una chiesa - si legge nel testo redatto dalla Congregazione - prevede l'indulto della Sede Apostolica eccetto quando la sua celebrazione sia già iscritta nel Calendario particolare: in questo caso non è richiesto l'indulto e al beato, nella chiesa in cui è titolare, è riservato il grado di festa".

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IL CASO Cinque metri quadri per bimbo l'asilo nido diventa low cost

Senza fondi pubblici le rette salgono e la qualità si abbassa. Con l'appalto ai privati meno ore, spazi e attività educative. E cresce la protesta: a Bologna è già sceso in piazza il "popolo dei passeggini" di MARIA NOVELLA DE LUCA

ROMA - Convenzioni "low cost", appalti al ribasso, rette più alte, orari più corti. Educatori precari, mal pagati, poco formati, costretti a turni più lunghi, con un numero di bambini da gestire spesso oltre i limiti di legge. I soldi non ci sono più, i Comuni hanno i conti in rosso, e la rete degli asili nido italiani, poco estesa è vero, ma in alcune regioni eccellente, rischia adesso il collasso. Sulla pelle dei più piccoli tra i piccoli, i bimbi 0-3 anni, in quei mille giorni della prima infanzia in cui un buon nido, così dimostrano ormai decine di ricerche e soprattutto gli studi del Nobel americano James Heckman, può diventare uno straordinario volano per lo sviluppo futuro. Senza fondi pubblici le rette salgono e la qualità si abbassa. Cartoline da un'Italia che torna indietro. Dove la crisi spazza via anche le cose migliori. Dove il numero dei posti-nido, che era (miracolosamente) salito dal 10 al 17% in tre anni, grazie al finanziamento di 446 milioni di euro del piano straordinario deciso nel 2007 dal governo Prodi, oggi rischia di perdere numeri e qualità. Finiti quei soldi, per il 2011 ci saranno ancora un po' di risorse del "fondo per la famiglia", poi più nulla. Un deserto. Che ci allontanerà ancora una volta dall'obiettivo europeo che aveva fissato per il 2010 al 33% la quota minima di posti all'asilo nido per ogni regione. E mentre si aprono le iscrizioni per l'anno 2011/2012 la protesta cresce. A Bologna, nel cuore del welfare che funziona, è sceso in piazza il "popolo dei passeggini" mamme e bebè muniti di fischietto che hanno sfilato per le vie del centro contro la chiusura di alcuni storici nidi comunali. A Roma non si placa lo scandalo delle convenzioni a prezzo stracciato: appalti concessi dal sindaco Alemanno a cooperative che hanno accettato contributi comunali soltanto di 475 euro a bambino, contro i 700 ritenuti necessari dal Cnel a garantire gli standard minimi di qualità. E a Milano il comune ha "accreditato" asili privati a tariffe low cost (520 euro a bambino), mentre a Firenze sono stati gli educatori dei nidi comunali a protestare contro "l'esternalizzazione" dei servizi per la prima infanzia. In una giungla di normative e di regolamenti dove ogni regione fa da sé, dai metri quadri che devono essere assicurati ad ogni bambino, (6mq in Lombardia, 7 in Emilia Romagna, 10 nel Lazio) al numero di piccoli e piccolissimi che ogni educatore deve avere in carico. Spiega Lorenzo Campioni, pedagogista, collaboratore del "Gruppo nazionale nidi d'infanzia": "La crisi è grave, con questo taglio di fondi si rischia di passare dal nido come luogo educativo al nido come luogo assistenziale, dove i bambini vengono "guardati" ma non stimolati a sviluppare le loro qualità e i loro talenti. E purtroppo va in questa direzione anche la scelta di finanziare asili domiciliari, tagesmutter, con l'idea che basta essere donne, madri, e fare qualche ora di corso per potersi occupare di un gruppo di bambini... Il problema non è la contrapposizione tra i nidi pubblici - continua Campioni - e i nidi in convenzione. Il sistema integrato può anche funzionare, il punto sono i fondi e il controllo dei Comuni. Se le cooperative ricevono meno soldi, faranno pagare rette più alte, taglieranno le ore, prenderanno personale meno esperto, senza sostituirlo nelle malattie, aumentando così il numero di bambini per ogni educatore". Eppure la campagna low cost va avanti, come denuncia Pino Bongiorno, presidente della Legacoop del Lazio, che si è rifiutata di partecipare ai bandi proposti da Alemanno. "E' impossibile gestire un nido con una convenzione di 475 euro a bambino. Per rientrare in quei costi chi gestisce gli asili avrebbe dovuto violare i contratti, assumere in nero, abbassare gli standard di sicurezza. Abbiamo detto no, e Alemanno è stato anche "bocciato" dall'Authority dei contratti, che ha giudicato gli asili low cost illegittimi. Ma il Campidoglio va avanti: purtroppo il parere dell'Authority non è vincolante". A sorpresa è stata un'associazione storica e di qualità, "Il centro nascita Montessori", ad aggiudicarsi uno di questi appalti, accettando una convenzione a tariffe stracciate. Ma la presidente, Laura Franceschini, si difende: "Siamo del tutto coscienti dei gravi limiti di questo bando, ci batteremo perché i parametri vengano cambiati, ma aprendo un nuovo nido volevamo salvare il posto di lavoro ad un gruppo di nostri educatori, dopo la chiusura di un nido aziendale che avevamo gestito per sette anni...". Parole, dati, cifre che dimostrano quando il "sistema nidi" sia fragile. E quanto, con le parole di Lorenzo Campioni, basti il taglio di qualche ora, un'attenzione in meno, per creare ansia e danni a bimbi così piccoli. "Pensate alla differenza tra il cambiare un bambino in un minuto e mezzo, perché ce ne sono altri 10 a seguire, o cambiarlo in 4 minuti, sorridendo e parlandogli: le sue sensazioni saranno di pace e serenità, invece che di fretta e di stress.

Vi sembra poco?".

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Boom su YouTube per la nascita degli aquilotti

Più di 200mila contatti per il video che mostra delle piccole aquile reali che escono dal guscio dell'uovo: è questo l'ultimo successo "virale" della rete .Tutte le mattine migliaia di utenti si precipitano a osservare lo stato di maturazione delle uova, tenute sotto osservazione da una mini telecamera posizionata a Decorah (Iowa) sul nido in cima a un albero alto 30 metri dall'associazione no-profit Raptor Resource Project. In questo video, uno dei tanti postati su YouTube, le immagini del primo uovo che si schiude.


Catania-Palermo 4-0 | Sky HD | Gol Parade

Festa Catania nel derby Palermo spazzato via: 4-0

La squadra di Simeone dilaga nel secondo tempo: apre un autogol di Balzaretti, poi le reti di Bergessio, Ledesma e Pesce. Simeone si rilancia nella lotta salvezza, nuovo crollo per i rosanero di Cosmi