IL RACCONTO "Io, condannato a vincere da un padre mostro"

Esce in Italia "Open", la sorprendente biografia dell'ex tennista che racconta come è diventato un campione, e come è arrivato a odiare il suo sport per colpa di un genitore violento, brutale, ossessivo. Eccone un passaggio di ANDRE AGASSI


Il mio odio per il tennis si concentra sul drago, una macchina lanciapalle modificata dal mio vulcanico papà. Nero come la pece, montato su grosse ruote di gomma e con la parola prince dipinta in bianche lettere maiuscole lungo la base, il drago assomiglia a una qualunque macchina lanciapalle di un qualsivoglia circolo sportivo americano. In realtà, però, è una creatura vivente uscita da uno dei miei fumetti. Il drago respira, ha un cervello, una volontà, un cuore nero - e una voce terrificante. Risucchiando un'altra palla nel proprio ventre, il drago emette una serie di rumori disgustosi. (...) Quando il drago punta dritto su di me e spara una palla a 180 chilometri all'ora, emette un ruggito da belva assetata di sangue che mi fa sobbalzare ogni volta. Mio padre lo ha reso spaventoso di proposito. (...) Papà dice che se colpisco 2500 palle al giorno, ne colpirò 17.500 alla settimana e quasi un milione in un anno. Crede nella matematica. I numeri, dice, non mentono. Un bambino che colpisce un milione di palle all'anno sarà imbattibile. Colpisci prima, grida mio padre. Accidenti, Andre, colpisci prima. Stai addosso alla palla, stai addosso alla palla. Adesso è lui che mi sta addosso. Mi grida direttamente nelle orecchie. Non basta colpire quello che il drago mi spara contro; mio padre vuole che colpisca più forte e più in fretta del drago. Vuole che batta il drago. Il pensiero mi sgomenta. Mi dico: non puoi battere il drago. Come si fa a battere qualcuno che non si ferma mai? A ben pensare, il drago assomiglia un sacco a mio padre. Solo che papà è peggio. Per lo meno il drago ce l'ho davanti, dove posso vederlo. Mio padre invece mi sta alle spalle. Non lo vedo mai, lo sento soltanto, giorno e notte, che mi urla nelle orecchie. Più topspin! Colpisci più forte. Colpisci più forte. Non in rete! Maledizione, Andre! Mai in rete! (...)
A mio padre piace sparare ai falchi. La nostra casa è ammantata delle sue vittime, uccelli morti che coprono il tetto come le palle da tennis coprono il campo. Mio padre dice che i falchi non gli piacciono perché scendono in picchiata sui topi e su altre indifese creature del deserto. Non sopporta l'idea di un animale più forte che ne cattura uno più debole. (Questo vale anche per quando va a pesca: qualunque pesce prenda, gli dà un bacio sulla testa squamosa e lo ributta in acqua). Ovviamente non si fa scrupoli di catturare me, non lo turba vedermi boccheggiare al suo amo. Non coglie la contraddizione. (...) Sono l'ultima speranza del clan Agassi. A volte apprezzo le sue attenzioni, ma altre volte vorrei essere invisibile, perché papà può fare paura. Fa delle cose... Per esempio, spesso s'infila pollice e indice su per il naso e poi, irrigidendosi per il dolore che gli fa lacrimare gli occhi, si strappa un bel ciuffo di peli neri. È così che si prende cura del proprio aspetto. Con lo stesso spirito si rade senza schiuma da barba né crema. Semplicemente si passa a secco un rasoio usa e getta sulle guance e sulla mascella, poi lascia che il sangue gli scorra sul viso finché non si asciuga. (...) Tiene un manico d'ascia nella sua auto. Non esce mai di casa senza una manciata di sale e pepe in ciascuna tasca, nel caso si trovi ad azzuffarsi per strada e debba accecare qualcuno. (...) Sono in macchina con papà un giorno, diretti al Cambridge, e lui inizia a litigare con un altro automobilista. Ferma l'auto, scende e ordina all'uomo di fare altrettanto. Poiché mio padre sta brandendo il suo manico d'ascia, quello si rifiuta. Papà allora gli colpisce con il manico i fari anteriori e posteriori, mandandoli in frantumi. Un'altra volta mio padre allunga un braccio e punta la pistola contro un altro automobilista, tenendola all'altezza del mio naso. Io fisso dritto davanti a me, immobile. Non so cosa abbia fatto di male quell'altro, so solo che è l'equivalente automobilistico di tirare in rete. Avverto la tensione del dito di mio padre sul grilletto. Poi l'altro sgomma via, seguito da un suono che sento di rado: la risata di mio padre. Sta ridendo a crepapelle. Mi dico che ricorderò questo momento - papà che ride, tenendomi una pistola sotto il naso - campassi cent'anni. (...) L'ultimo posto dove vorrei essere, a parte un campo da tennis, è in auto con mio padre.

font:http://www.repubblica.it/sport/2011/04/28/news/diario_agassi-15464650/

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