L'unico detenuto di San Marino ecco il carcere della solitudine

Dimenticatevi l'Italia con i suoi uomini ammassati in pochi metri quadrati, i materassi a terra, le crisi d'ansia e le processioni infinite in infermeria. A pochi chilometri da Rimini esiste un penitenziario dove il pranzo si ordina al ristorante e dove, per la maggior parte dell'anno, vive un solo detenuto. Adesso è l'ora di un trentenne che deve scontare un anno per maltrattamenti e violenze in famiglia di STEFANIA PARMEGGIANI

Dimenticatevi i materassi a terra, gli asciugamani alle inferriate per soffocare l’alito rovente del caldo o i maglioni indossati come coperte, uno sopra l’altro, per sfuggire al freddo. Dimenticatevi le crisi d’ansia e i ricoveri, le processioni infinite in infermeria e gli atti di autolesionismo. Dimenticatevi le carceri italiane con il loro carico di sofferenza e disonore. Esiste un penitenziario, a pochi chilometri da Rimini, dove il pranzo si ordina al ristorante e dove il nemico peggiore è la solitudine. E’ il carcere dei Cappuccini, stato di San Marino, per la maggioranza dell'anno un solo ospite. Attualmente l’unico detenuto della Repubblica è un trentenne incarcerato il 24 gennaio per una brutta storia di maltrattamenti e violenze in famiglia. Deve scontare un anno e potrebbe trascorrere i suoi giorni dietro le sbarre senza incontrare anima viva, eccezion fatta per avvocati, visitatori e gendarmi. Fino a oggi lo spazio dell’ex convento è stato tutto suo: due piani e sei celle alle quali si deve il soprannome con cui è apostrofato dai carcerati della vicina Italia: Seychelles. E’ un po’ difficile ammazzare il tempo, ma c’è sempre la biblioteca, una piccola palestra, il cortile, la sala tv, il cucinotto e la sala pranzo in cui ogni giorno gli vengono serviti i pasti, ordinati al vicino ristorante.
L’isolamento forzato dell’unico detenuto aveva rischiato di andare in frantumi prima ancora di cominciare: colpa di un italiano arrestato per furto e danneggiamento il 10 gennaio, ma la giustizia è stata più veloce rimettendolo in libertà una settimana dopo, una manciata di giorni prima che la sua condanna diventasse esecutiva. Proprio oggi è atteso un nuovo detenuto, si soffermerà per un breve periodo. Capita di tanto in tanto, ma non dura mai molto. Ad esempio, nel 2010, il Carcere dei Cappuccini ha ospitato sette detenuti, sei uomini e una donna per un totale di 83 giorni di detenzione. In pratica il carcere è rimasto vuoto per la maggioranza dell’anno. Nel 2009 era andata decisamente peggio: 14 detenuti, 13 uomini e una donna, per un totale di 743 giorni. Nel 2008, anno horribilis - si fa per dire - del carcere sanmarinese, erano transitati nelle sei celle 12 uomini e una donna per un totale di 939 giorni dietro le sbarre.
Numeri a loro modo impressionanti, soprattutto se confrontati con quelli italiani, dove il sovraffollamento ha le caratteristiche di una emergenza cronica. E giustificati non solo dalle dimensioni dello Stato, poco più di trentamila residenti, ma anche dal corpo di leggi e pene che vige “nell’antica patria delle libertà”. Tanto per cominciare a parità di reato si sta in carcere meno anni, l’ergastolo non esiste e anche l’omicidio più efferato fatica a superare i 30 anni di condanna. Poi o si viene colti in flagranza di reato oppure, se il processo viene celebrato in contumacia e il trasgressore è uno straniero, ad esempio italiano, riacciuffarlo diventa impresa ardua. Infine, la carcerazione preventiva è scarsamente applicata nei confronti dei sammarinesi per il semplice fatto che una delle tre condizioni per cui in Italia si finisce dietro le sbarre, qui è rara a verificarsi: il pericolo di fuga. Come si fa a diventare latitanti in uno stato che per attraversarlo ci si impiegano pochi minuti? Abbandonarlo e rinunciare a ogni proprietà, ma il gioco non sempre vale la candela. “E poi abbiamo un sistema di pene alternative alla carcerazione - spiega Stefano Palmucci, funzionario della Segreteria di Stato alla Giustizia - molto più esteso di quello italiano. Esiste un Consiglio di aiuto che studia soluzioni individuali per ogni condannato, si va dal lavoro controllato ai colloqui con gli psicologi”. La situazione è così paradossale che il comitato europeo per le torture faticava a crederlo: “Sono venuti una o due volte e all’inizio non avevano trovato neanche un carcerato. Erano perplessi, non sapevano chi interrogare. Alla fine - ricorda Palmucci - hanno incrociato un detenuto e dopo avere steso il loro verbale ci hanno inseriti all’ultimo posto della classifica sulla crudeltà delle condizioni carcerarie nel mondo”.

http://bologna.repubblica.it/cronaca/2011/02/16/news/l_unico_detenuto_di_san_marino_ecco_il_carcere_della_solitudine-12353907/

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