PARIGI - Doveva essere per forza lei, a sfatare il tabù più nobile: Francesca Schiavone. La ragazza che odia i formalismi, che va per le spicce, che non si preoccupa di essere simpatica a tutti i costi. Una persona la cui unica priorità è essere coerente con se stessa. Una donna comunque alla ricerca di se stessa. Donna, prima ancora di essere atleta. Nel senso di avere spessore, di accettare di prendersi le responsabilità.
Viva Francesca, dunque. Prima italiana a conquistare la finale di un torneo di tennis dello Slam. Solo due maschietti, in tutta la storia italiana, c'erano riusciti: Nicola Pietrangeli ed Adriano Panatta, perfino vincitori. Quest'ultimo aspetto, la vittoria, è di là a venire, ed è un'altra storia. Ma la raccontiamo sabato. Per ora, ed è già storia, l'Italia completa la sua immagine, riempie un'altra pagina dei suoi cent'anni di vita (proprio in questo 2010).
Ci riesce una ragazza che compie trent'anni tra poco più di una settimana. Una ragazza che, a guardarla in mezzo a questa generazione di muscolose tenniste, ci si chiede cosa c'entri. Una ragazza che non tira forte, che non ha colpi vincenti, i famosi "winner". Il suo, è il trionfo del lavoro certosino. Del lavoro della pazienza. Del lavoro ai fianchi. Che tennista è Francesca Schiavone? Una tennista che una volta ti tira uno slice, l'altra un mezzo lob, poi s'inventa un'accelerazione, infine viene anche a rete. Perché mica si spaventa di venire sotto il net, anche se è alta meno di 170 cm. Francesca è un'ottima doppista.
Perché questo succede dopo dieci anni di carriera? A trent'anni? Perché ognuno di noi ha un percorso da fare. Una storia da seguire, da costruirsi. Forse perché le italiane (vedi anche la Pennetta) hanno più bisogno di tempo, rispetto alle giovani (e incoscienti) colleghe straniere. Hanno bisogno di pensare, non sono dei robot cui ordini di tirare centocinquanta dritti incrociati, e te lo fanno a tempo di record. Non solo: Francesca Schiavone (ed anche Flavia Pennetta) ha dovuto vedere il baratro, immaginare di vedere chiusa la sua avventura sportiva, prima di risalire, ritrovarsi. Essere consapevole di se stessa. Oggi è in finale al Roland Garros, ieri accennava all'ultimo anno, alle ultime partite. La vita è così, e lo sport ne è da sempre la metafora perfetta: Francesca ha girato tanto, prima di trovare il coach giusto: tra argentini e spagnoli alla fine ha trovato casa in Italia, a Tirrenia, centro federale. Certe volte giri il mondo, e poi il tesoro ce l'hai in giardino: in questo caso Corrado Barazzutti. Il ct che ha incontrato per rispondere alle convocazioni della nazionale, e che poi - con il tempo - ha conosciuto ed apprezzato. Barazzutti, un altro grintoso sul campo. Proprio come la Schiavone. Uniti, nei loro successi, dalla sola forza di volontà. Due tipi caparbi, che non potevano non piacersi. Due che sanno come prendersi, che sanno capirsi. Che hanno intrapreso la strada, e speriamo che sia quella giusta con il rettilineo finale e la bandiera a scacchi.
font: http://www.repubblica.it/sport/tennis/2010/06/03/news/commento_rossi_finale_parigi-4545264/
Viva Francesca, dunque. Prima italiana a conquistare la finale di un torneo di tennis dello Slam. Solo due maschietti, in tutta la storia italiana, c'erano riusciti: Nicola Pietrangeli ed Adriano Panatta, perfino vincitori. Quest'ultimo aspetto, la vittoria, è di là a venire, ed è un'altra storia. Ma la raccontiamo sabato. Per ora, ed è già storia, l'Italia completa la sua immagine, riempie un'altra pagina dei suoi cent'anni di vita (proprio in questo 2010).
Ci riesce una ragazza che compie trent'anni tra poco più di una settimana. Una ragazza che, a guardarla in mezzo a questa generazione di muscolose tenniste, ci si chiede cosa c'entri. Una ragazza che non tira forte, che non ha colpi vincenti, i famosi "winner". Il suo, è il trionfo del lavoro certosino. Del lavoro della pazienza. Del lavoro ai fianchi. Che tennista è Francesca Schiavone? Una tennista che una volta ti tira uno slice, l'altra un mezzo lob, poi s'inventa un'accelerazione, infine viene anche a rete. Perché mica si spaventa di venire sotto il net, anche se è alta meno di 170 cm. Francesca è un'ottima doppista.
Perché questo succede dopo dieci anni di carriera? A trent'anni? Perché ognuno di noi ha un percorso da fare. Una storia da seguire, da costruirsi. Forse perché le italiane (vedi anche la Pennetta) hanno più bisogno di tempo, rispetto alle giovani (e incoscienti) colleghe straniere. Hanno bisogno di pensare, non sono dei robot cui ordini di tirare centocinquanta dritti incrociati, e te lo fanno a tempo di record. Non solo: Francesca Schiavone (ed anche Flavia Pennetta) ha dovuto vedere il baratro, immaginare di vedere chiusa la sua avventura sportiva, prima di risalire, ritrovarsi. Essere consapevole di se stessa. Oggi è in finale al Roland Garros, ieri accennava all'ultimo anno, alle ultime partite. La vita è così, e lo sport ne è da sempre la metafora perfetta: Francesca ha girato tanto, prima di trovare il coach giusto: tra argentini e spagnoli alla fine ha trovato casa in Italia, a Tirrenia, centro federale. Certe volte giri il mondo, e poi il tesoro ce l'hai in giardino: in questo caso Corrado Barazzutti. Il ct che ha incontrato per rispondere alle convocazioni della nazionale, e che poi - con il tempo - ha conosciuto ed apprezzato. Barazzutti, un altro grintoso sul campo. Proprio come la Schiavone. Uniti, nei loro successi, dalla sola forza di volontà. Due tipi caparbi, che non potevano non piacersi. Due che sanno come prendersi, che sanno capirsi. Che hanno intrapreso la strada, e speriamo che sia quella giusta con il rettilineo finale e la bandiera a scacchi.
font: http://www.repubblica.it/sport/tennis/2010/06/03/news/commento_rossi_finale_parigi-4545264/
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