Il Perdono, secondo Jodorowsky

Cosa significa benedire?
Quante volte abbiamo chiesto una be­nedizione e quante volte l'abbiamo data?Una volta una donna mi espose un problema che non potevo risolvere, una storia di processi e vendita di una casa. Piangeva, e io le dissi: «Come vuoi che faccia a risolverti questo problema? Non posso fare niente per te, ma adesso tu, io e tutte le persone che sono qui pregheremo affinché il tuo Dio interiore, il mio e quello di ognuno di noi ti benedicano». Proprio in questo consiste la benedizione: nel pregare per l'altro.
La donna pianse a lungo, ma dopo si sentì molto meglio. In fondo desiderava soltanto un rapporto umano, aveva bisogno di qualcuno che le dicesse: «Ti aiuterò». Tutto qui. Per me, la benedizione è riconoscere quello che non siamo capaci di fare, ed è anche pregare per l'altro davanti a lui.
Una volta che siamo in pace con noi stessi, che smettiamo di criticarci e prendiamo coscienza di tutti i nostri errori, decisi a non ripeterli, una volta che abbiamo stabilito che se avremo un problema lo risolveremo in piena coscienza, allora siamo perdonati. Non possiamo vivere tutta la vita nella colpevolezza, anche se abbiamo commesso le peggiori azioni: dobbiamo assolverci. In tal modo ne diventiamo consapevoli; infatti, se ci sentiamo colpevoli di qualcosa è solo perché abbiamo acquisito coscienza: una perso­na che non lo ha fatto, non vorrà mai assolversi. Una volta che ci siamo accordati l'assoluzione, possiamo assol­vere l'altro e dirgli francamente: «Ti perdono», anche se in realtà non siamo noi a perdonare.
Dandoci un'assoluzione personale, il nostro Dio interiore ci concede la gioia di prendere coscienza: con questa riceviamo la colpevolezza dell'altro e lo perdoniamo, per­ché, se siamo stati capaci di perdonare noi stessi, allora possiamo davvero perdonare anche gli altri. Questo è tutto: non occorre altro per assolvere gli altri. È molto positivo che una persona ci dica: «Ti perdono».
Una volta ero con un amico di nome Pierre e con un pover'uomo che si portava addosso un enorme senso di colpa da non so quanti anni. Gli dissi: «Soffri molto perché ti stai incolpando, ma io ti perdono». Affermai che lo perdonavo e domandai a Pierre se anch'egli poteva perdonarlo, e Pierre lo fece. L'uomo si mise a balbet­tare e a ringraziarci mentre piangeva come una fontana. E piange­va di sollievo, perché lo avevamo perdonato. L'atto così semplice del perdono!
Quando siamo capaci di assolvere, perdonare e benedire, rag­giungiamo la pace interiore. Per questo non occorre essere curatori o stregoni, né possedere grandi poteri o cose del genere.Tuttavia, non possiamo perdonare a caso. È necessario conoscere il massimo di dettagli sulla colpa prima di perdonarla; è indispen­sabile che la persona confessi completamente.
Subito, le facciamo comprendere che non ha commesso la colpa da sola ma insieme a qualcuno, cioè in seno a una famiglia e all'umanità. Arriviamo, dunque, alla conclusione che siamo altrettanto colpevoli della per­sona che ci racconta la sua colpa."

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