Il braccialetto più trendy dell' estate
Il nuovo must di questa estate è il braccialetto Power Balance, che promette "forza, equilibrio, flessibilità e resistenza fisica" a chi lo indossa. Sarà per questo che ha conquistato in pochissimo tempo così tante star?
E' dall'inizio della bella stagione che lo notiamo nelle sue varianti multicolor al polso di sportivi, cantanti e attori che lo sfoggiano ovunque: nella gare, in spiaggia e persino alle premiere.
Secondo gli esperti il prodotto non apporta nessun beneficio a chi lo indossa, proprio per questo motivo il cult estivo è appena finito sotto la lente dell'Antitrust.
Fonte: msn
Chi è nata oggi?
Mary Shelley!
Mary Shelley, nata Mary Wollstonecraft Godwin (Londra, 30 agosto 1797 – Londra, 1 febbraio 1851), fu una scrittrice, saggista e biografa inglese. È l'autrice del romanzo gotico Frankenstein (Frankenstein: or, The Modern Prometheus), pubblicato nel 1818. Curò le edizioni delle poesie del marito Percy Bysshe Shelley, poeta romantico e filosofo. Era figlia della filosofa e antesignana del femminismo Mary Wollstonecraft e del filosofo e politico William Godwin.Mary Wollstonecraft morì dieci giorni dopo aver messo al mondo Mary. Quest'ultima, insieme alla sorellastra più grande Fanny Imlay Godwin, nata da una precedente relazione della madre con Gilbert Imlay[2], crebbe col padre William Godwin. Nel 1814 Mary si innamorò di uno dei discepoli di Godwin, Percy Bysshe Shelley, all'epoca già sposato con Harriet Westbrook. Assieme alla sorellastra Claire Clairmont, seconda figlia di Mary Jane Clairmont, Mary fuggì in Francia con Percy e, dopo aver attraversato insieme l'Europa, dovettero rientrare in Inghilterra a causa della mancanza di soldi. Mary era incinta di Percy; la bambina che nacque era prematura e morì pochi giorni dopo la nascita senza aver ricevuto un nome. Mary e Percy si sposarono nel 1816, dopo il suicidio della moglie di lui, Harriet.Nel 1817 la coppia trascorse un'estate con Lord Byron, John William Polidori e Claire Clairmont vicino a Ginevra, in Svizzera, dove Mary ebbe l'ispirazione per la stesura del suo romanzo Frankenstein.
Fino al 1970 Mary Shelley è stata principalmente conosciuta per l'apporto che ha dato nella comprensione e nella pubblicazione delle opere del marito e per il suo romanzo Frankenstein, il quale ebbe grande successo e ispirò numerosi adattamenti teatrali e cinematografici.Grazie a recenti studi è stato possibile arrivare ad una più profonda conoscenza della produzione di Mary Shelley; in particolare questi si sono concentrati su opere meno conosciute dell'autrice, che includono romanzi storici come Valperga (1823) e Perkin Warbeck (1830), romanzi apocalittici come L'ultimo uomo (1826), e i suoi ultimi due romanzi, Lodore (1835) e Falkner (1837).Le opere di Mary Shelley sostengono spesso gli ideali di cooperazione e di comprensione, praticati soprattutto dalle donne, come strade per riformare la società civile. Questa idea era una diretta sfida all'etica individualista-romantica promossa da Percy Shelley e alle teorie politiche illuministe portate avanti da William Godwin.
Mary Shelley, nata Mary Wollstonecraft Godwin (Londra, 30 agosto 1797 – Londra, 1 febbraio 1851), fu una scrittrice, saggista e biografa inglese. È l'autrice del romanzo gotico Frankenstein (Frankenstein: or, The Modern Prometheus), pubblicato nel 1818. Curò le edizioni delle poesie del marito Percy Bysshe Shelley, poeta romantico e filosofo. Era figlia della filosofa e antesignana del femminismo Mary Wollstonecraft e del filosofo e politico William Godwin.Mary Wollstonecraft morì dieci giorni dopo aver messo al mondo Mary. Quest'ultima, insieme alla sorellastra più grande Fanny Imlay Godwin, nata da una precedente relazione della madre con Gilbert Imlay[2], crebbe col padre William Godwin. Nel 1814 Mary si innamorò di uno dei discepoli di Godwin, Percy Bysshe Shelley, all'epoca già sposato con Harriet Westbrook. Assieme alla sorellastra Claire Clairmont, seconda figlia di Mary Jane Clairmont, Mary fuggì in Francia con Percy e, dopo aver attraversato insieme l'Europa, dovettero rientrare in Inghilterra a causa della mancanza di soldi. Mary era incinta di Percy; la bambina che nacque era prematura e morì pochi giorni dopo la nascita senza aver ricevuto un nome. Mary e Percy si sposarono nel 1816, dopo il suicidio della moglie di lui, Harriet.Nel 1817 la coppia trascorse un'estate con Lord Byron, John William Polidori e Claire Clairmont vicino a Ginevra, in Svizzera, dove Mary ebbe l'ispirazione per la stesura del suo romanzo Frankenstein.
Fino al 1970 Mary Shelley è stata principalmente conosciuta per l'apporto che ha dato nella comprensione e nella pubblicazione delle opere del marito e per il suo romanzo Frankenstein, il quale ebbe grande successo e ispirò numerosi adattamenti teatrali e cinematografici.Grazie a recenti studi è stato possibile arrivare ad una più profonda conoscenza della produzione di Mary Shelley; in particolare questi si sono concentrati su opere meno conosciute dell'autrice, che includono romanzi storici come Valperga (1823) e Perkin Warbeck (1830), romanzi apocalittici come L'ultimo uomo (1826), e i suoi ultimi due romanzi, Lodore (1835) e Falkner (1837).Le opere di Mary Shelley sostengono spesso gli ideali di cooperazione e di comprensione, praticati soprattutto dalle donne, come strade per riformare la società civile. Questa idea era una diretta sfida all'etica individualista-romantica promossa da Percy Shelley e alle teorie politiche illuministe portate avanti da William Godwin.
Fonte: Wikipedia
Indagine neolaureati: l'assunzione passa dallo stage
L'undicesima indagine di GIDP dipinge quadro impietoso: solo il 6% dei laureati ottiene il posto fisso, ma crescono gli stage. Tra le lauree brevi, i più ricercati sono infermieri e ostetriche
Assunzioni post-laurea in caduta libera. La percentuale dei neo-laureati che entra in azienda direttamente con contratto a tempo indeterminato è passata dal 20% del 2004, al 7% circa del 2009 a meno del 6% del 2010.
Ma nel frattempo aumentano gli stage, scelti dal 40% delle imprese intervistate. Negli ultimi 12 mesi, infatti, quasi il 30% delle aziende ha assunto oltre il 60% di chi stava svolgendo un tirocinio. La durata varia dai 6 mesi (nel 70% dei casi) fino ai 12, con un compenso, stando a quando dichiarato dai direttori delle risorse umane, che va dai 500 ai 1000 euro.
E' questo uno dei dati più significativi, che emerge dalla dall'undicesima indagine 'Neolaureati & Stage 2010', condotta da Gidp/Hrda (Associazione direttori risorse umane) che opera su un network composto da più di 2.490 direttori di area appartenenti alle maggiori realtà imprenditoriali italiane.
Le (magre) opportunità che offre oggi il mondo del lavoro ai giovani sono soggette a variabili che trascendono le capacità e le inclinazioni del neolaureato. Il rapporto GIDP delinea il quadro delle condizioni più favorevoli al conseguimento del posto fisso.
Le lauree più gettonate
Ad avere trovato un'occupazione a tre anni dal conseguimento del titolo di studio sono soprattutto i laureati dei gruppi di ingegneria (81,3%), chimico-farmaceutico (73,7%), economico-statistico (65,7%). In fondo alla classifica delle lauree che più facilmente aprono le porte del mondo del lavoro si trovano quelle del gruppo giuridico (38,1%) e del gruppo medico (24,2%).
Lunga o breve?
Meglio la specializzazione. A essere impegnati più frequentemente in un lavoro continuativo dopo la laurea, infatti, si trovano i laureati in corsi lunghi (56,8%, contro il 48,5% fatto registrare da quanti sono in possesso di lauree brevi). Tra le lauree triennali hanno un'occupazione continuativa soprattutto gli operatori delle professioni infermieristiche e ostetriche (72,4%), seguiti dai laureati dei gruppi linguistico (58,6%), medico (55,7%), insegnamento (55,6%).
Le caratteristiche e bagaglio personale
Secondo i responsabili HR intervistati da GIDP, a fare la differenza tra i candidati ci sono ai primi tre posti: la capacità di mettersi in gioco (18,30%), la capacità di analizzare e risolvere problemi (16,18%) e la flessibilità (11,49%).
Ovviamente, bisogna conoscere le lingue. Il più apprezzato è sempre l’inglese (con il 65% delle preferenze), mentre una parte inferiore richiede la conoscenza del francese e del tedesco, ma anche cinese e russo. Altre caratteristiche per farsi assumere sono una forte motivazione e la disponibilità a spostarsi per lavoro. Un occhio di riguardo è posto inoltre ai tempi di laurea, al master e a eventuali precedenti esperienze di lavoro o stage.
Il canale giusto per ottenere un colloquio
Al primo posto ci sono gli uffici di placement universitari che soddisfano il 58% degli intervistati. Segue internet che si divide tra le candidature spontanee (15,56%), il sito dell'azienda (14,17%) e siti specializzati per la domanda e offerta di lavoro (11,67%). Il 17,7% sceglie la partecipazione ai career day.
Fonte: http://economia.virgilio.it
Assunzioni post-laurea in caduta libera. La percentuale dei neo-laureati che entra in azienda direttamente con contratto a tempo indeterminato è passata dal 20% del 2004, al 7% circa del 2009 a meno del 6% del 2010.
Ma nel frattempo aumentano gli stage, scelti dal 40% delle imprese intervistate. Negli ultimi 12 mesi, infatti, quasi il 30% delle aziende ha assunto oltre il 60% di chi stava svolgendo un tirocinio. La durata varia dai 6 mesi (nel 70% dei casi) fino ai 12, con un compenso, stando a quando dichiarato dai direttori delle risorse umane, che va dai 500 ai 1000 euro.
E' questo uno dei dati più significativi, che emerge dalla dall'undicesima indagine 'Neolaureati & Stage 2010', condotta da Gidp/Hrda (Associazione direttori risorse umane) che opera su un network composto da più di 2.490 direttori di area appartenenti alle maggiori realtà imprenditoriali italiane.
Le (magre) opportunità che offre oggi il mondo del lavoro ai giovani sono soggette a variabili che trascendono le capacità e le inclinazioni del neolaureato. Il rapporto GIDP delinea il quadro delle condizioni più favorevoli al conseguimento del posto fisso.
Le lauree più gettonate
Ad avere trovato un'occupazione a tre anni dal conseguimento del titolo di studio sono soprattutto i laureati dei gruppi di ingegneria (81,3%), chimico-farmaceutico (73,7%), economico-statistico (65,7%). In fondo alla classifica delle lauree che più facilmente aprono le porte del mondo del lavoro si trovano quelle del gruppo giuridico (38,1%) e del gruppo medico (24,2%).
Lunga o breve?
Meglio la specializzazione. A essere impegnati più frequentemente in un lavoro continuativo dopo la laurea, infatti, si trovano i laureati in corsi lunghi (56,8%, contro il 48,5% fatto registrare da quanti sono in possesso di lauree brevi). Tra le lauree triennali hanno un'occupazione continuativa soprattutto gli operatori delle professioni infermieristiche e ostetriche (72,4%), seguiti dai laureati dei gruppi linguistico (58,6%), medico (55,7%), insegnamento (55,6%).
Le caratteristiche e bagaglio personale
Secondo i responsabili HR intervistati da GIDP, a fare la differenza tra i candidati ci sono ai primi tre posti: la capacità di mettersi in gioco (18,30%), la capacità di analizzare e risolvere problemi (16,18%) e la flessibilità (11,49%).
Ovviamente, bisogna conoscere le lingue. Il più apprezzato è sempre l’inglese (con il 65% delle preferenze), mentre una parte inferiore richiede la conoscenza del francese e del tedesco, ma anche cinese e russo. Altre caratteristiche per farsi assumere sono una forte motivazione e la disponibilità a spostarsi per lavoro. Un occhio di riguardo è posto inoltre ai tempi di laurea, al master e a eventuali precedenti esperienze di lavoro o stage.
Il canale giusto per ottenere un colloquio
Al primo posto ci sono gli uffici di placement universitari che soddisfano il 58% degli intervistati. Segue internet che si divide tra le candidature spontanee (15,56%), il sito dell'azienda (14,17%) e siti specializzati per la domanda e offerta di lavoro (11,67%). Il 17,7% sceglie la partecipazione ai career day.
Fonte: http://economia.virgilio.it
Zucchero Va pensiero
vi proponiamo l'ascolto di questo insormontabile classico rivisitato da Zucchero
Programmazione Cinema Moderno Mirabella
da venerdì 27 agosto a mercoledì 1 settembre
TOY STORY 3: LA GRANDE FUGA
film d'animazione Pixar per tutti
spettacolo unico ore 21
Critica:
"Ottimo film non solo per qualità realizzativa ma per una sceneggiatura brillante che unisce magistralmente innovazione, creatività, umorismo e capacità di emozionare; un mix ben calibrato in cui trovano ancora spazio gustose citazioni cinematografiche, che supera il severo giudizio dei piccini e piace anche agli adulti. Non semplici racconti per bambini bensì storie che seguono le regole del cinema recitato, con la capacità di attingere ai classici e tuttavia andando coraggiosamente oltre, capace di far riflettere, affrontando temi importanti, quali il valore dell'amicizia e della solidarietà, la paura di sentirsi soli o rifiutati, l'ineluttabilità del diventare grandi, la forza che scaturisce dal sentirsi una famiglia".
(Gaetano Vallini , 'L'Osservatore Romano' 9 luglio 2010)
da venerdì 3 a mercoledì 8 settembre
SOLOMON KANE
fantasy, drammatico per tutti
spettacolo unico ore 21
Critica:
"In soli trent'anni di vita (morì suicida nel 1936), Robert Ervin Howard si è meritato un posto nella letteratura per aver inventato un genere, 'sword and sorcery', diventato di moda soprattutto grazie ai fumetti. Dopo 'Conan', la sua creatura più nota, approda ora sullo schermo 'Salomon Kane', guerriero puritano inglese che, in cerca di redenzione, si impegna a raddrizzare torti in un cupo mondo seicentesco dominato da violenza e magie diaboliche. Le campagne invernali del Dorset sono splendidamente fotografate, i ritmi sono sostenutissimi e James Purefoy risulta un Kane convincente e il nero 'pastiche' s'adatta alle sere estive."
(Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 16 luglio 2010)
TOY STORY 3: LA GRANDE FUGA
film d'animazione Pixar per tutti
spettacolo unico ore 21
Critica:
"Ottimo film non solo per qualità realizzativa ma per una sceneggiatura brillante che unisce magistralmente innovazione, creatività, umorismo e capacità di emozionare; un mix ben calibrato in cui trovano ancora spazio gustose citazioni cinematografiche, che supera il severo giudizio dei piccini e piace anche agli adulti. Non semplici racconti per bambini bensì storie che seguono le regole del cinema recitato, con la capacità di attingere ai classici e tuttavia andando coraggiosamente oltre, capace di far riflettere, affrontando temi importanti, quali il valore dell'amicizia e della solidarietà, la paura di sentirsi soli o rifiutati, l'ineluttabilità del diventare grandi, la forza che scaturisce dal sentirsi una famiglia".
(Gaetano Vallini , 'L'Osservatore Romano' 9 luglio 2010)
da venerdì 3 a mercoledì 8 settembre
SOLOMON KANE
fantasy, drammatico per tutti
spettacolo unico ore 21
Critica:
"In soli trent'anni di vita (morì suicida nel 1936), Robert Ervin Howard si è meritato un posto nella letteratura per aver inventato un genere, 'sword and sorcery', diventato di moda soprattutto grazie ai fumetti. Dopo 'Conan', la sua creatura più nota, approda ora sullo schermo 'Salomon Kane', guerriero puritano inglese che, in cerca di redenzione, si impegna a raddrizzare torti in un cupo mondo seicentesco dominato da violenza e magie diaboliche. Le campagne invernali del Dorset sono splendidamente fotografate, i ritmi sono sostenutissimi e James Purefoy risulta un Kane convincente e il nero 'pastiche' s'adatta alle sere estive."
(Alessandra Levantesi Kezich, 'La Stampa', 16 luglio 2010)
Robbie Williams cowboy gay nel nuovo video
Fresco di nozze con Ayda Field, Robbie Williams dimostra di avere a cuore il tema dei diritti gay: basta vedere il video di "Shame", il primo dei brani inediti del greatest hits di prossima uscita, e in cui duetta col collega Gary Barlow. Un minifilmato di quasi 4 minuti e mezzo che è un omaggio esplicito a "Brokeback Mountain", film pluripremiato sull'amore impossibile tra due cowboy. Il video infatti ha un'ambientazione decisamente country: due uomini si incontrano per strada, si conoscono al bar, sono reciprocamente attratti. E alla fine si spogliano, per fare un bagno liberatorio in un corso d'acqua tra le rocce
La proteina che può battere l'Aids un'arma custodita dalle scimmie
Uno studio Usa ha individuato in 6 aminoacidi della Trim5A l'arma in grado di debellare l'Hiv nel macaco Rhesus. Ora si punta a farmaci che ne replichino gli effetti, visto che nell'uomo lo stesso "scudo" non riesce a contrastare la fonte della sindrome da immunodeficienza acquisita
ROMA - Esiste una proteina che nelle scimmie riesce a bloccare e debellare l'infezione da Hiv. Si chiama Trim5a e nel macaco mulatto (Rhesus) - specie diffusa in tutta l'Asia e tra le più utilizzate dalla ricerca scientifica - è in grado di distruggere il virus. L'annuncio arriva dai laboratori della Loyola University di Chicago dove l'equipe guidata da Edward M. Campbell ha concluso una ricerca sul rapporto tra la malattia e l'azione di questo particolare polipeptide.
A rendere inattivo l'Hiv, spiega lo studio pubblicato sulla versione online di Virology, sono sei degli oltre 500 aminoacidi che compongono la sequenza molecolare della Trim5a. Le proteine in questione prima bloccano il virus, poi passano al contrattacco con un'azione di gruppo e distruggono l'Hiv. La scommessa della ricerca ora si sposta su un altro obiettivo. Nell'uomo, infatti, la Trim5a non ha la stessa potenza difensiva e tra i virus che riesce a contrastare non c'è quello che provoca la sindrome da immunodeficienza acquisita. Perché? La differenza con la Trim5a delle scimmie dipende da una mutazione della struttura molecolare?
Campbell e la sua équipe cercheranno le risposte proseguendo sulla strada della mappatura genetica della proteina nella speranza di scoprire la "combinazione" che rende così forti i 6 aminoacidi individuati (grazie a un microscopio da 225mila dollari). Lo scopo finale è rendere la Trim5a più efficace e arrivare a farmaci che, replicandone l'azione che ha nelle scimmie, siano in grado di bloccare o sconfiggere la malattia anche nell'uomo. Non è la prima volta che la Trim5a è oggetto di una sperimentazione scientifica. Già nel 2004 altri ricercatori avevano osservato che proteggeva le scimmie Rhesus dall'Hiv. Il passo avanti è nell'individuazione degli aminoacidi che svuolgono il ruolo primario nell'effetto difensivo contro il virus. ''Si tratta di studi molto interessanti - commenta Giorgio Palù, presidente vicario della Società italiana di Virologia - che ci aiutano a capire perché le scimmie, pur essendo infettate dall'Hiv, non si ammalano come accade agli uomini. Identificare gli aminoacidi che differenziano l'uomo dall'animale potrebbe aprire le porte a nuove cure come un'immunizzazione cellulare o una terapia genica che utilizzi staminali sane per stimolare un'immunità naturale.
A rendere inattivo l'Hiv, spiega lo studio pubblicato sulla versione online di Virology, sono sei degli oltre 500 aminoacidi che compongono la sequenza molecolare della Trim5a. Le proteine in questione prima bloccano il virus, poi passano al contrattacco con un'azione di gruppo e distruggono l'Hiv. La scommessa della ricerca ora si sposta su un altro obiettivo. Nell'uomo, infatti, la Trim5a non ha la stessa potenza difensiva e tra i virus che riesce a contrastare non c'è quello che provoca la sindrome da immunodeficienza acquisita. Perché? La differenza con la Trim5a delle scimmie dipende da una mutazione della struttura molecolare?
Campbell e la sua équipe cercheranno le risposte proseguendo sulla strada della mappatura genetica della proteina nella speranza di scoprire la "combinazione" che rende così forti i 6 aminoacidi individuati (grazie a un microscopio da 225mila dollari). Lo scopo finale è rendere la Trim5a più efficace e arrivare a farmaci che, replicandone l'azione che ha nelle scimmie, siano in grado di bloccare o sconfiggere la malattia anche nell'uomo. Non è la prima volta che la Trim5a è oggetto di una sperimentazione scientifica. Già nel 2004 altri ricercatori avevano osservato che proteggeva le scimmie Rhesus dall'Hiv. Il passo avanti è nell'individuazione degli aminoacidi che svuolgono il ruolo primario nell'effetto difensivo contro il virus. ''Si tratta di studi molto interessanti - commenta Giorgio Palù, presidente vicario della Società italiana di Virologia - che ci aiutano a capire perché le scimmie, pur essendo infettate dall'Hiv, non si ammalano come accade agli uomini. Identificare gli aminoacidi che differenziano l'uomo dall'animale potrebbe aprire le porte a nuove cure come un'immunizzazione cellulare o una terapia genica che utilizzi staminali sane per stimolare un'immunità naturale.
font:http://www.repubblica.it/salute/ricerca/2010/08/25/news/aids_scoperta_proteina_che_distrugge_il_virus_hiv_nelle_scimmie-6501101/
Amore finito? Via le foto dal comò
Il ricordo scatena "crisi di astinenza" Secondo uno studio americano pubblicato sul 'Journal of Neurophysiology', la rottura traumatica di una relazione sentimentale lascia delle vere "ferite" e innesca meccanismi simili a quelli della tossicodipendenza. Ma il cuore non c'entra, tutto avviene nel cervello
ROMA - A un certo punto tutto finisce, anche quegli amori intensi che all'inizio promettevano eterna felicità. Quando succede, c'è sempre uno degli ex amanti che rivive il passato, dannandosi il cuore. Ed è disposto a tutto pur dimenticare. Proprio come il protagonista di Se mi lasci ti cancello che, dopo una sofferenza d'amore, si sottopone alle cure di uno scienziato che ha messo a punto una macchina in grado di eliminare tutti i ricordi di una storia finita. Ma, come nel film, l'esperimento non sempre riesce, basta una fotografia infatti a riaprire la ferita. E la colpa è del cervello che, creando uno stato di sofferenza nell'innamorato, lo rende ansioso e desiroso dell'altro a tal punto di essere capace di comportamenti ossessivi tipici dei tossicodipendenti.
A spiegare questo meccanismo, un gruppo di ricercatori dell'Università di New York che, in uno studio pubblicato sul Journal of Neurophysiology 1, rilevano: "Quando un innamorato ferito guarda la foto dell'amato che l'ha lasciato, il suo cervello attiva intensamente aree legate al desiderio, alla dipendenza da droghe e al dolore". Insomma scatena una vera e propria crisi di astinenza, per cui diventa difficile andare avanti senza l'oggetto del desiderio. Per arrivare a questi risultati, i ricercatori, guidati Helen E. Fisher, hanno analizzato con la risonanza magnetica il cervello di 15 studenti di college, dieci donne e cinque uomini, abbandonati da due mesi dal proprio amato, dopo un rapporto che durava da almeno due anni. Bastava solo guardare in foto l'ex, o persone che gli assomigliassero, perché i volontari subissero delle "ferite" nel cervello, corrispondenti ad alterazioni legate alle aree del piacere e della ricompensa, le stesse implicate nella dipendenza da sostanze stupefacenti come la cocaina. In altre parole si attivavano diverse aree neurali: l'area "ventrale tegmentale", che controlla motivazione o incentivo a fare qualcosa da cui trarre appagamento (area già nota per il suo coinvolgimento nei sentimenti suscitati dall'amore romantico); il "nucleo accumbens" e le corteccie orbitofrontale e prefrontale, tutte zone associate al desiderio e alla dipendenza; il sistema dopaminergico, cioè quello della dipendenza dalla cocaina; la corteccia insulare e quella cingolata anteriore, associate a dolore fisico e stress. "Abbiamo osservato un vero e proprio dolore fisico, che si manifesta nel tentativo di capire cosa è accaduto - spiega Fisher - e può ricominciare anche molto tempo dopo l'addio''. Non solo. La scansione con la risonanza magnetica funzionale ha rivelato che i ''cuori spezzati'' continuavano a tenere attive quelle zone cerebrali per molto tempo. Motivo per cui l'innamorato resta tale anche dopo la rottura. E il suo amore diventa la droga che lo appaga. E così i neuroni del sistema della ricompensa prolungano la loro attività.
E la rottura di una relazione diventa difficile da superare come la disintossicazione dalla cocaina e da altre droghe. Motivo questo che spiegherebbe anche comportamenti ossessivi-compulsivi tipici degli amanti. "Proprio il meccanismo di dipendenza e ricompensa - scrivono i ricercatori - spiega anche la nascita di sentimenti, legati a un rifiuto, difficili da controllare, come lo stalking, l'omicidio e il suicidio, e la depressione associata al rifiuto e alla perdita di un amore"
A spiegare questo meccanismo, un gruppo di ricercatori dell'Università di New York che, in uno studio pubblicato sul Journal of Neurophysiology 1, rilevano: "Quando un innamorato ferito guarda la foto dell'amato che l'ha lasciato, il suo cervello attiva intensamente aree legate al desiderio, alla dipendenza da droghe e al dolore". Insomma scatena una vera e propria crisi di astinenza, per cui diventa difficile andare avanti senza l'oggetto del desiderio. Per arrivare a questi risultati, i ricercatori, guidati Helen E. Fisher, hanno analizzato con la risonanza magnetica il cervello di 15 studenti di college, dieci donne e cinque uomini, abbandonati da due mesi dal proprio amato, dopo un rapporto che durava da almeno due anni. Bastava solo guardare in foto l'ex, o persone che gli assomigliassero, perché i volontari subissero delle "ferite" nel cervello, corrispondenti ad alterazioni legate alle aree del piacere e della ricompensa, le stesse implicate nella dipendenza da sostanze stupefacenti come la cocaina. In altre parole si attivavano diverse aree neurali: l'area "ventrale tegmentale", che controlla motivazione o incentivo a fare qualcosa da cui trarre appagamento (area già nota per il suo coinvolgimento nei sentimenti suscitati dall'amore romantico); il "nucleo accumbens" e le corteccie orbitofrontale e prefrontale, tutte zone associate al desiderio e alla dipendenza; il sistema dopaminergico, cioè quello della dipendenza dalla cocaina; la corteccia insulare e quella cingolata anteriore, associate a dolore fisico e stress. "Abbiamo osservato un vero e proprio dolore fisico, che si manifesta nel tentativo di capire cosa è accaduto - spiega Fisher - e può ricominciare anche molto tempo dopo l'addio''. Non solo. La scansione con la risonanza magnetica funzionale ha rivelato che i ''cuori spezzati'' continuavano a tenere attive quelle zone cerebrali per molto tempo. Motivo per cui l'innamorato resta tale anche dopo la rottura. E il suo amore diventa la droga che lo appaga. E così i neuroni del sistema della ricompensa prolungano la loro attività.
E la rottura di una relazione diventa difficile da superare come la disintossicazione dalla cocaina e da altre droghe. Motivo questo che spiegherebbe anche comportamenti ossessivi-compulsivi tipici degli amanti. "Proprio il meccanismo di dipendenza e ricompensa - scrivono i ricercatori - spiega anche la nascita di sentimenti, legati a un rifiuto, difficili da controllare, come lo stalking, l'omicidio e il suicidio, e la depressione associata al rifiuto e alla perdita di un amore"
font:http://www.repubblica.it/salute/ricerca/2010/08/23/news/amore_finito_via_le_foto_dal_com_ogni_ricordo_riapre_la_ferita-6459361/
Kopfball Jessica Kastrop
Jessica Kastrop, giornalista tedesca di Sky Sport, è stata protagonista di un involontario (e doloroso) colpo di testa nel corso del collegamento che ha preceduto la partita tra lo Stoccarda e il Mainz Il pallone è stato scagliato da distanza impressionante da Khalid Boulahrouz, difensore dello Stoccarda, che si è poi scusato con la bionda giornalista
Cina, enorme ingorgo di 100 km causato da traffico illegale di carbone
Il serpentone di automezzi, formatosi ormai 11 giorni fa, procede alla velocità di un chilometro all'ora. La denuncia dei camionisti: l'interminabile coda dovuta a un aumento di materiale proveniente da miniere illegali
PECHINO - Procede alla velocità di un chilometro all'ora il serpentone di tir e camion lungo cento chilometri che da 11 giorni sta bloccando migliaia di mezzi 1 nel nord della Cina, sull'autostrada 110 che collega Pechino al Tibet. Gli autisti dei camion hanno però identificato la causa di questo enorme ingorgo che, secondo quanto hanno dichiarato al quotidiano Notizie di Pechino, sarebbe dovuto a un improvviso aumento del trasporto di carbone proveniente da miniere illegali. La polizia stradale ha attribuito l'interminabile coda ai lavori in corso sull'autostrada principale e ad alcuni incidenti che si sono prodotti a causa del traffico intenso. Ma la spiegazione data dagli autisti intervistati dal quotidiano è diversa. La Cina ottiene dal carbone il 70% dell'energia che consuma. Pechino e i suoi dintorni venivano riforniti di carbone dalle miniere della vicina provincia dello Shanxi, in gran parte illegali. Queste sono state al centro dell'attenzione per l'alto numero di vittime tra i minatori, che perdono la vita in esplosioni, inondazioni e frane (in tutto il Paese l'anno scorso ne sono morti 1600).
Le miniere dello Shanxi sono state sottoposte a controlli severi, e molte costrette a chiudere i battenti. A sopperire all'improvvisa mancanza di rifornimenti sarebbero quindi intervenute le miniere della più lontana Mongolia Interna. Gli autisti hanno spiegato che da questa provincia preferiscono raggiungere la capitale attraverso l'autostrada 110 perché non ci sono controlli e non sono costretti a corrompere i poliziotti che li fermano per non farsi sequestrare il carico. Le autorità addette al traffico sostengono intanto che la situazione del maxi-ingorgo è leggermente migliorata e che gli automezzi hanno ripreso a muoversi, seppur alla bassissima velocità di un chilometro all'ora. Ma i lavori di manutenzione del manto stradale, gravemente danneggiato dall'intenso traffico di mezzi pesanti che vi transitano quotidianamente, non termineranno prima di metà settembre.
Le miniere dello Shanxi sono state sottoposte a controlli severi, e molte costrette a chiudere i battenti. A sopperire all'improvvisa mancanza di rifornimenti sarebbero quindi intervenute le miniere della più lontana Mongolia Interna. Gli autisti hanno spiegato che da questa provincia preferiscono raggiungere la capitale attraverso l'autostrada 110 perché non ci sono controlli e non sono costretti a corrompere i poliziotti che li fermano per non farsi sequestrare il carico. Le autorità addette al traffico sostengono intanto che la situazione del maxi-ingorgo è leggermente migliorata e che gli automezzi hanno ripreso a muoversi, seppur alla bassissima velocità di un chilometro all'ora. Ma i lavori di manutenzione del manto stradale, gravemente danneggiato dall'intenso traffico di mezzi pesanti che vi transitano quotidianamente, non termineranno prima di metà settembre.
font: http://www.repubblica.it/esteri/2010/08/25/news/ingorgo_cina-6499923/
SPERANZA E DISPERAZIONE RACCOLTI IN UNA LETTERA-DIARIO
REPORTAGE DAL QUARTO MONDO
È una testimonianza diretta di cosa significa vivere con gli esclusi delle periferie del mondo. Soprattutto qui la condivisione e l’amicizia sincera diventano segni di speranza.
Fratel Carlo, francescano di origine siciliana, è da poco rientrato in Italia dopo un intenso periodo trascorso in Bolivia. Ha accettato, pur con qualche reticenza personale, di consegnare alcune riflessioni sulla sua esperienza missionaria.
Il motivo che “Mi da tanta gioia”, precisa, “è sapere che qualcuno penserà a quella gente tanto lontana e tanto fenomeno televisivo, ma in realtà così poco presente nella nostra vita di ogni giorno”. Cosa significa per lei essere cristiano, essere francescano o dovrei dire missionario?
Penso spesso di finire i miei giorni in terra di missione. Tutto si accende nel mio cuore quando penso di prestare a un povero le mie mani inutili e il mio cuore desideroso di darsi. Mi torna in mente come un progetto vicino che “i poveri li avrete sempre con voi”…è come una promessa, quella di darmi una vita da vivere con in poveri, i poveri di cibo, di amore, di speranza, di fede. Quanti poveri mascherati da ricchi ho conosciuto a Santa Cruz! Ma veniamo al suo racconto: una sorta di lettera-diario che dice di aver scritto “come spinto da una febbre”.
A contatto con la miseria
Siamo tornati alla nostra bella Italia, stanchi, confusi per lo shock del fuso orario, con molte più domande che risposte. Abbiamo cominciato da Santa Cruz ospiti dei frati minori che ci onorano della loro amicizia e della loro ospitalità da tre anni quando siamo a Santa Cruz. Santa Cruz è una città terribile! Un traffico metropolitano dove si può vedere di tutto: dai taxi senza sportelli e senza vetri ai camioncini che portano persone perfino nel cofano e sulla capotta, dai calessi trainati da muli in coma ai ciclotaxi con la ruota posteriore completamente sgonfia e il pappagallo sulla spalla a mo’ di clacson. La sporcizia regna sovrana e corsi d'acqua (si fa per dire) dall'odore indescrivibile attraversano quieti la città frenetica. Uno di questi corsi d'acqua è arricchito da un affluente molto particolare, con i liquami di una buona parte del centro della città. Fiume e liquami spariscono sotto terra e si inoltrano in una zona "franca" dove vivono i giovani del villaggio "nero": centinaia di ragazzi e ragazze, per la maggior parte tossici e ammalati di Aids che nel buio delle fogne aspettano qualcosa di indefinito tra la vita e la morte, la speranza e la disperazione. Ma è pur sempre un attesa, e quindi gravida di sogno; quando è sera si fa un piccolo fuoco (non certo per il freddo, ma per "vedersi"), si rolla qualche canna, cominciano a venir fuori le "piste di cocaina" o se proprio va male ci sono le foglie secche di coca, per allontanare il fantasma della fame, della sete, della stanchezza, della paura che sia l'ultima notte! Pochi minuti succhiando l'aspro umore delle foglie sembra che tutto sia più facile e sopportabile. Anche il rapporto con la “droga” è diverso qui. Non ha senso scandalizzarsi né ovviamente giustificare. Io stesso, qualche giorno dopo, a El Alto de La Paz (4062 m. sul livello del mare), ho masticato foglie di coca per respirare ad alta quota, così anche per percorere i sette chilometri da nord a sud nell'Isla del Sol al centro del Titicaca....oltre i 4000 sul livello del mare. Ma a Santa Cruz è lo shock di un mondo che vive senza di te a metterti in bocca le foglie secche; il senso di impotenza e la consapevolezza che tu non incidi neanche minimamente su quello che accade fuori di li, nel mercato dove a pochi passi di là si possono comprare le farfalle catturate in Amazzonia o dei video porno direttamente forniti dai "pirati" peruviani; dove si consumano i traffici di bambini accanto alla pubblicità del nuovo ipermercato americano; dai comizi politici alle visite pastorali dei tre vescovi della città. Molti di questi giovani non esistono, non sono cioè "anagrafati" da nessuna parte, sono stati generati nelle notti buie delle donne andine, sui monti dove i pastori possono fare quello che vogliono delle donne che non oppongono resistenza; vengono poi "consegnati" al frastuono delle grandi città dove imparano a fare i sciuscià, i lustrascarpe, per venti centesimi di boliviano a paio di scarpe (60 delle vecchie lire) o a concedere i loro favori agli occidentali o agli uomini del nord che calano come avvoltoi in queste terre dominate dalla sofferenza e dalla fame, offrendo a volte anche solo un pane o un po’ di frutta in cambio delle loro “prestazioni” e non concedendo sconti sulle loro richieste. La città è piena di mendicanti, ma com'è diverso dai nostri zingari che ci coprono di improperi! Là il povero ha una dignità che gli viene dall'appartenere alla maggioranza della popolazione. Sono magri, e non hanno altri cartelli che i loro occhi pieni di fame, non chiedono niente per i bambini che sono a casa, forse non c'è nemmeno una casa, tutto è là, qualcosa per loro, un po’ di latte per il loro petto cieco. Non maledicono, non insistono....ringraziano e chiedono preghiere perchè Dio conceda loro di non disperare mai, di non dubitare mai del suo amore. Sui gradini della cattedrale trovo un "lebbroso" guarito, è così strano.. mi chiedo come sia stato possibile. Gli diamo una caramella portata dalla nostra Italia per i bambini. Lui ha forse trenta anni, ed è scosso da una vibrazione senza sosta in tutto il corpo. Non riusciamo a dire altro, ma lui parla, poche parole, "hermano, gracias, Dios la bendiga" ....entriamo in una Cattedrale gremita di popolo. All'uscita lui è ancora là, riverso sugli scalini come se fosse stato scagliato dall'alto. Non è riuscito a togliere la carta della caramella e ce la porge, la svolgiamo, gli diamo in mano la caramella, ma prima di mangiarla prende la mano di frate Antonio e la bacia e la bagna di lacrime. Poi comincia lentamente, lentamente a mangiare la sua caramelita a la aranja. Sono arrivati centinaia di bambini con la speranza che ci sia qualcosa per loro, ci circondano, ci chiamano papà (non padre!), vogliono un santino di padre Pio che noi non abbiamo. Una di loro, avrà forse sei anni, pettina l'amico lebbroso con l'astuccio di una vecchia penna e gli pulisce la bocca con suo vestitino corto e liso. Poi mi dice: "padrecito, una bendicion por el". Una benedizione, non un dollaro o un pane. Cercando di tenere ferma la testa sempre più scossa dai tremiti (credo per l'emozione), accoglie il segno che gli traccio sulla fronte come un sorso d'acqua nel deserto. Sento le mie mani sporche sulla sua fronte grande. Poi tutti i bambini si mettono attorno e chinano il capo. E' la piccola che alla fine con le sue manine traccia il segno di croce sulla mia fronte calda di emozione, poi salta sulle braccia di frate Antonio e gli chiede se domani saremo alla messa del mattino e lo bacia con trasporto. La sera raccontiamo ai frati che ci ospitano. Non hanno parole. Loro vivono qui da tanto e conoscono gli abitanti e la realtà della strada; padre A. ne raccoglie centinaia ogni giorno, un po’ di cibo, un po’ di scuola e un po’ di "dottrina". poi, la sera, esce a questuare per loro. Ci sono cassettine di padre A. anche all'aeroporto, alla stazione degli autobus, nelle banche, al mercato....Non c'è bambino o mendicante che non butta dentro qualche centesimo, come un deposito in banca, la banca dei miserabili...domani forse servirà a lui. Così comincia la nostra missione, ogni giorno tutto uguale, cambia la zona, cambiano le facce dei bambini, la città si trasforma in campagna e i Crusegni in campesinos, ma è la stessa missione di ogni giorno: un bimbo in braccio, niente promesse, solo condividere il dolore di oggi. La sensazione è quella che tutto sia fuori luogo, che quello che vediamo non può esistere. Visitiamo molti villaggi. A Don ChiChi facciamo una festa per i bambini. Ne arrivano trecento e noi avevamo pensato a una ventina. Facciamo il rosario passeggiando tra le baracche di legno e poi cominciamo a distribuire il poco che abbiamo: caramelle, fermaglini, trenini di plastica, qualche panino, un infuso di acqua di pozzo e erba che chiamano rinfresco......tutti hanno qualcosa e fanno gli scambi. Poi cominciano a cantare le loro canzoni che invitano a fermarsi a casa loro per mangiare con loro il pane e il vino, riposare, parlare un po’ di noi, perchè questa è la felicità, essere amici e non tradirsi mai. Poi lenta una vecchia nenia Quechua che un amico mi traduce: racconta di una bimba che lasciò la casa per cercare l'acqua per la mamma ammalata e trovò un pozzo dove l'angelo regalava acqua benedetta per tutte le mamme, ma l'angelo era stanco e qualcuno doveva prendere il suo posto. La bimba rimase per sempre e chi cerca l'acqua del pozzo santo chieda di Punataà, la bimba Punataà. Punataà era mia figlia e io ora canto a voi perchè la sua acqua mi ha guarito e l'angelo ha scavato nuovi pozzi dove solo i bimbi quechuas possono andare. Quando il vostro bimbo sparirà, chiedete a Punataà, forse c'è un nuovo pozzo nel vostro campo e la vostra sete finirà.
Credere in un Dio amore
La “Bolivia” di fratel Carlo è tristemente simile a tanti paesi del terzo o quarto mondo, ma si possono avvertire anche alcune note di gioia: <>
Conclude con un pensiero molto bello fratel Carlo che dimostra, tra l’altro, una notevole consapevolezza di sè: <>>
Fratel Carlo, francescano di origine siciliana, è da poco rientrato in Italia dopo un intenso periodo trascorso in Bolivia. Ha accettato, pur con qualche reticenza personale, di consegnare alcune riflessioni sulla sua esperienza missionaria.
Il motivo che “Mi da tanta gioia”, precisa, “è sapere che qualcuno penserà a quella gente tanto lontana e tanto fenomeno televisivo, ma in realtà così poco presente nella nostra vita di ogni giorno”. Cosa significa per lei essere cristiano, essere francescano o dovrei dire missionario?
Penso spesso di finire i miei giorni in terra di missione. Tutto si accende nel mio cuore quando penso di prestare a un povero le mie mani inutili e il mio cuore desideroso di darsi. Mi torna in mente come un progetto vicino che “i poveri li avrete sempre con voi”…è come una promessa, quella di darmi una vita da vivere con in poveri, i poveri di cibo, di amore, di speranza, di fede. Quanti poveri mascherati da ricchi ho conosciuto a Santa Cruz! Ma veniamo al suo racconto: una sorta di lettera-diario che dice di aver scritto “come spinto da una febbre”.
A contatto con la miseria
Siamo tornati alla nostra bella Italia, stanchi, confusi per lo shock del fuso orario, con molte più domande che risposte. Abbiamo cominciato da Santa Cruz ospiti dei frati minori che ci onorano della loro amicizia e della loro ospitalità da tre anni quando siamo a Santa Cruz. Santa Cruz è una città terribile! Un traffico metropolitano dove si può vedere di tutto: dai taxi senza sportelli e senza vetri ai camioncini che portano persone perfino nel cofano e sulla capotta, dai calessi trainati da muli in coma ai ciclotaxi con la ruota posteriore completamente sgonfia e il pappagallo sulla spalla a mo’ di clacson. La sporcizia regna sovrana e corsi d'acqua (si fa per dire) dall'odore indescrivibile attraversano quieti la città frenetica. Uno di questi corsi d'acqua è arricchito da un affluente molto particolare, con i liquami di una buona parte del centro della città. Fiume e liquami spariscono sotto terra e si inoltrano in una zona "franca" dove vivono i giovani del villaggio "nero": centinaia di ragazzi e ragazze, per la maggior parte tossici e ammalati di Aids che nel buio delle fogne aspettano qualcosa di indefinito tra la vita e la morte, la speranza e la disperazione. Ma è pur sempre un attesa, e quindi gravida di sogno; quando è sera si fa un piccolo fuoco (non certo per il freddo, ma per "vedersi"), si rolla qualche canna, cominciano a venir fuori le "piste di cocaina" o se proprio va male ci sono le foglie secche di coca, per allontanare il fantasma della fame, della sete, della stanchezza, della paura che sia l'ultima notte! Pochi minuti succhiando l'aspro umore delle foglie sembra che tutto sia più facile e sopportabile. Anche il rapporto con la “droga” è diverso qui. Non ha senso scandalizzarsi né ovviamente giustificare. Io stesso, qualche giorno dopo, a El Alto de La Paz (4062 m. sul livello del mare), ho masticato foglie di coca per respirare ad alta quota, così anche per percorere i sette chilometri da nord a sud nell'Isla del Sol al centro del Titicaca....oltre i 4000 sul livello del mare. Ma a Santa Cruz è lo shock di un mondo che vive senza di te a metterti in bocca le foglie secche; il senso di impotenza e la consapevolezza che tu non incidi neanche minimamente su quello che accade fuori di li, nel mercato dove a pochi passi di là si possono comprare le farfalle catturate in Amazzonia o dei video porno direttamente forniti dai "pirati" peruviani; dove si consumano i traffici di bambini accanto alla pubblicità del nuovo ipermercato americano; dai comizi politici alle visite pastorali dei tre vescovi della città. Molti di questi giovani non esistono, non sono cioè "anagrafati" da nessuna parte, sono stati generati nelle notti buie delle donne andine, sui monti dove i pastori possono fare quello che vogliono delle donne che non oppongono resistenza; vengono poi "consegnati" al frastuono delle grandi città dove imparano a fare i sciuscià, i lustrascarpe, per venti centesimi di boliviano a paio di scarpe (60 delle vecchie lire) o a concedere i loro favori agli occidentali o agli uomini del nord che calano come avvoltoi in queste terre dominate dalla sofferenza e dalla fame, offrendo a volte anche solo un pane o un po’ di frutta in cambio delle loro “prestazioni” e non concedendo sconti sulle loro richieste. La città è piena di mendicanti, ma com'è diverso dai nostri zingari che ci coprono di improperi! Là il povero ha una dignità che gli viene dall'appartenere alla maggioranza della popolazione. Sono magri, e non hanno altri cartelli che i loro occhi pieni di fame, non chiedono niente per i bambini che sono a casa, forse non c'è nemmeno una casa, tutto è là, qualcosa per loro, un po’ di latte per il loro petto cieco. Non maledicono, non insistono....ringraziano e chiedono preghiere perchè Dio conceda loro di non disperare mai, di non dubitare mai del suo amore. Sui gradini della cattedrale trovo un "lebbroso" guarito, è così strano.. mi chiedo come sia stato possibile. Gli diamo una caramella portata dalla nostra Italia per i bambini. Lui ha forse trenta anni, ed è scosso da una vibrazione senza sosta in tutto il corpo. Non riusciamo a dire altro, ma lui parla, poche parole, "hermano, gracias, Dios la bendiga" ....entriamo in una Cattedrale gremita di popolo. All'uscita lui è ancora là, riverso sugli scalini come se fosse stato scagliato dall'alto. Non è riuscito a togliere la carta della caramella e ce la porge, la svolgiamo, gli diamo in mano la caramella, ma prima di mangiarla prende la mano di frate Antonio e la bacia e la bagna di lacrime. Poi comincia lentamente, lentamente a mangiare la sua caramelita a la aranja. Sono arrivati centinaia di bambini con la speranza che ci sia qualcosa per loro, ci circondano, ci chiamano papà (non padre!), vogliono un santino di padre Pio che noi non abbiamo. Una di loro, avrà forse sei anni, pettina l'amico lebbroso con l'astuccio di una vecchia penna e gli pulisce la bocca con suo vestitino corto e liso. Poi mi dice: "padrecito, una bendicion por el". Una benedizione, non un dollaro o un pane. Cercando di tenere ferma la testa sempre più scossa dai tremiti (credo per l'emozione), accoglie il segno che gli traccio sulla fronte come un sorso d'acqua nel deserto. Sento le mie mani sporche sulla sua fronte grande. Poi tutti i bambini si mettono attorno e chinano il capo. E' la piccola che alla fine con le sue manine traccia il segno di croce sulla mia fronte calda di emozione, poi salta sulle braccia di frate Antonio e gli chiede se domani saremo alla messa del mattino e lo bacia con trasporto. La sera raccontiamo ai frati che ci ospitano. Non hanno parole. Loro vivono qui da tanto e conoscono gli abitanti e la realtà della strada; padre A. ne raccoglie centinaia ogni giorno, un po’ di cibo, un po’ di scuola e un po’ di "dottrina". poi, la sera, esce a questuare per loro. Ci sono cassettine di padre A. anche all'aeroporto, alla stazione degli autobus, nelle banche, al mercato....Non c'è bambino o mendicante che non butta dentro qualche centesimo, come un deposito in banca, la banca dei miserabili...domani forse servirà a lui. Così comincia la nostra missione, ogni giorno tutto uguale, cambia la zona, cambiano le facce dei bambini, la città si trasforma in campagna e i Crusegni in campesinos, ma è la stessa missione di ogni giorno: un bimbo in braccio, niente promesse, solo condividere il dolore di oggi. La sensazione è quella che tutto sia fuori luogo, che quello che vediamo non può esistere. Visitiamo molti villaggi. A Don ChiChi facciamo una festa per i bambini. Ne arrivano trecento e noi avevamo pensato a una ventina. Facciamo il rosario passeggiando tra le baracche di legno e poi cominciamo a distribuire il poco che abbiamo: caramelle, fermaglini, trenini di plastica, qualche panino, un infuso di acqua di pozzo e erba che chiamano rinfresco......tutti hanno qualcosa e fanno gli scambi. Poi cominciano a cantare le loro canzoni che invitano a fermarsi a casa loro per mangiare con loro il pane e il vino, riposare, parlare un po’ di noi, perchè questa è la felicità, essere amici e non tradirsi mai. Poi lenta una vecchia nenia Quechua che un amico mi traduce: racconta di una bimba che lasciò la casa per cercare l'acqua per la mamma ammalata e trovò un pozzo dove l'angelo regalava acqua benedetta per tutte le mamme, ma l'angelo era stanco e qualcuno doveva prendere il suo posto. La bimba rimase per sempre e chi cerca l'acqua del pozzo santo chieda di Punataà, la bimba Punataà. Punataà era mia figlia e io ora canto a voi perchè la sua acqua mi ha guarito e l'angelo ha scavato nuovi pozzi dove solo i bimbi quechuas possono andare. Quando il vostro bimbo sparirà, chiedete a Punataà, forse c'è un nuovo pozzo nel vostro campo e la vostra sete finirà.
Credere in un Dio amore
La “Bolivia” di fratel Carlo è tristemente simile a tanti paesi del terzo o quarto mondo, ma si possono avvertire anche alcune note di gioia: <>
Conclude con un pensiero molto bello fratel Carlo che dimostra, tra l’altro, una notevole consapevolezza di sè: <>>
font: http://www.confrancesco.it/index.php?app=openRub&idRub=118&idCat=1&lang=it&pag=2&mese=13&anno=2010&word_s=
Nuova luce sull’aria pulita
Dall’unione di forze del Cefriel Politecnico di Milano e di Arditi nasce la lampada che purifica l’aria in casa di Valentina Bernabei
Basta un clic e si mandano via cattivi odori e polveri sottili: l’interruttore da accendere non è però di un deumidificatore o di un congegno che regola il clima ma quello ben più semplice di una lampada. L’unione delle competenze tecniche del centro di ricerca Cefriel-Politecnico di Milano con la capacità aziendale di Arditi, ha infatti portato alla nascita di una nuova modalità di controllo sulla qualità dell’aria, che si basa su quello che, in gergo tecnico, viene definito processo di foto-catalisi.
L’innovativo sistema di purificazione dell’aria messo a punto da Cefriel si basa cioè sull’inserimento di filtri di biossido di titanio che per essere attivati hanno bisogno, appunto, di essere illuminati. La lampada realizzata da Arditi (che lavora da sempre nel settore dei componenti per l’illuminazione ) è disponibile in tre versioni: Globe è il nome per la lampada con forma sferica, Prana invece è la luce da terra mentre Yama indica la lampada da tavolo. Niente più odori di sigaretta e sgradevoli reminescenze della preparazione della cena: basta un clic per avere luce pulita e aria più che respirabile.
L’innovativo sistema di purificazione dell’aria messo a punto da Cefriel si basa cioè sull’inserimento di filtri di biossido di titanio che per essere attivati hanno bisogno, appunto, di essere illuminati. La lampada realizzata da Arditi (che lavora da sempre nel settore dei componenti per l’illuminazione ) è disponibile in tre versioni: Globe è il nome per la lampada con forma sferica, Prana invece è la luce da terra mentre Yama indica la lampada da tavolo. Niente più odori di sigaretta e sgradevoli reminescenze della preparazione della cena: basta un clic per avere luce pulita e aria più che respirabile.
font:http://temi.repubblica.it/casa/2010/08/24/nuova-luce-sullaria-pulita/
Mentos geyser
9La capitale messicana ospita un insolito esperimento da Guinnes dei primati: riunire il maggior numero di Mentos geyser al mondo. Con questo termine si intende l'effetto creato dalle mentine buttate dentro una bottiglia di soda da due litri: un'esplosione di liquido e schiuma che può arrivare sino a due metri di altezza. Missione compiuta a Città del Messico: 2.433 bottiglie che
esplodono in contemporanea, e permettono di battere il record finora detenuto dalla Cina, con tanto di certificato. Le 2.500 persone che hanno partecipato alla sfida si sono godute il successo completamente inzuppate di soda
esplodono in contemporanea, e permettono di battere il record finora detenuto dalla Cina, con tanto di certificato. Le 2.500 persone che hanno partecipato alla sfida si sono godute il successo completamente inzuppate di soda
PSICOLOGIA:Il povero è più generoso perché non ha paura degli altri
Una ricerca dell'università di Berkeley spiega che è più incline a fare beneficienza chi riesce a fidarsi del prossimo. Più sospettosi i ricchi, educati a proteggere il patrimonio in ogni circostanza e a vedere minacce dappertutto. Ad eccezione di quelli americani, cresciuti in una società abituata al rischio economico di SARA FICOCELLI
BERKELEY (Stati Uniti) - Avranno anche tante debolezze ideologiche, ma una cosa degli americani va detta: quando si tratta di donare a fondo perduto, sono meno diffidenti di noi. Da star come Sean Penn, impegnato per aiutare le vittime dell'uragano Katrina e i terremotati di Haiti, a miliardari come Bill Gates e Warren Buffett, che lasceranno l'eredità non alla famiglia ma a fondazioni benefiche, per gli statunitensi versare soldi senza poter controllare il modo in cui verranno gestiti è una cosa normale. La donazione a enti e associazioni, per loro, non equivale a una possibile truffa, ma è l'essenza stessa del fare beneficienza, perché disinteressata. I soggetti danarosi non mancano certo in Europa, ma quasi mai devolvono il patrimonio a organizzazioni di questo tipo. E quando lo fanno, come nel caso del patron dell'Ikea Mel Simon, a spingerli è più che altro la scarsa considerazione dei legittimi eredi. Quello che però non tutti sanno è che anche i poveri, negli Usa, fanno molta beneficienza a enti no profit. L'università di Berkeley ha addirittura dimostrato che questo tipo di generosità è un valore che appartiene più a loro che ai miliardari. E questo perché, spiegano gli scienziati sul prestigioso Journal of Personality and Social Psychology, chi ha poco da perdere si fida di più, e la fiducia è un elemento indispensabile quando si donano i propri risparmi a chi non si conosce personalmente.
Fiducia nel prossimo e magnanimità sono, secondo gli studiosi californiani, valori direttamente proporzionali: chi ha l'uno possiede anche l'altra, indipendentemente da status sociale, geni e cultura di appartenenza. Il ricercatore Paul Piff, tra i massimi esperti americani di psicologia sociale, ha sottoposto 115 volontari a un "trust game", uno dei tre principali test della teoria dei giochi, dimostrando che proprio chi è meno abbiente è disposto a rischiare per aiutare economicamente un'altra persona. Pur non conoscendola e non sapendo come userà quel denaro.
Nel povero manca la paura - tipica dei ricchi - di perdere tutto e venire raggirato. Piff e il suo team lo hanno capito chiedendo ai volontari di decidere se donare o meno a degli sconosciuti 10 gettoni di presenza, che al termine dell'esperimento sarebbero stati convertiti in denaro. I più generosi sono stati proprio i più poveri, mentre i vontari benestanti, educati dalla famiglia alla diffidenza, hanno tenuto per sè la maggior parte dei gettoni. In particolare, il 2,1% degli intervistati ricchi ha dichiarato che avrebbe volentieri donato buona parte dei propri soldi, contro il 5,6% dei volontari di basso ceto.
La ricerca della University of California di Berkeley è la prima del genere mai realizzata e, a differenza di altri studi 1, mette in evidenza un particolare aspetto della generosità, legato all'incertezza totale del buon esito del gesto e alla capacità di fidarsi del prossimo. E' quindi molto più probabile che sia un povero ad adottare a distanza un bambino che non un ricco, proprio perché quest'ultimo è stato educato al sospetto e alla conservazione del patrimonio dalle minacce esterne. "E non è neppure un caso - spiega il professor Paolo Legrenzi, professore ordinario di Psicologia cognitiva all'Università IUAV di Venezia e autore di Neuro-mania. Il cervello non spiega chi siamo (Il Mulino, 2009) - che i miliardari più generosi siano tutti americani, perché la cultura statunitense è più abituata al rischio e a fidarsi del prossimo. Da noi, in Europa e soprattutto in Italia, è invece diffusa l'idea che tutto ciò che non si conosce rappresenti una minaccia e che l'obiettivo principale del prossimo sia quello di truffarci".
Legrenzi sta per pubblicare un libro di psicologia economica in cui un capitolo sarà dedicato proprio al rapporto tra fiducia e denaro. "Questa ricerca è particolarmente interessante - spiega - perché i dati sono stati raccolti con un trust game, un gioco finalizzato a rilevare il livello di fiducia dei partecipanti. Il ricercatore non ha fatto un sondaggio o un'inchiesta ma ha voluto verificare il rapporto tra fiducia e generosità, dimostrando che i più generosi sono anche i soggetti più umili. Quelli con una vita di relazione più ampia, meno abituati a vedere il prossimo come un nemico o un potenziale parassita". Il professore spiega anche che esistono quattro tipologie di rapporto tra soldi e fiducia: la fiducia ben riposta, la fiducia mal riposta, la sfiducia ben riposta e la sfiducia mal riposta. L'appartenenza a una categoria piuttosto che a un'altra determina il nostro atteggiamento mentale nei confronti degli altri e del denaro. "E generalmente - spiega l'autore di Non occorre essere stupidi per fare sciocchezze (Il Mulino, 2010) - chi non si fida molto degli altri al trust game risulta taccagno. Chi non si fida mai fa una sciocchezza perché, pur di non commettere errori, si prima di molte possibilità. La differenza tra sciocchezza ed errore è che la prima esclude tutte le variabili, sia quelle negative che positive, mentre l'errore è indispensabile per crescere, anche economicamente. Chi è ricco fa molte sciocchezze, chi è povero molti errori".
Sarà dunque per questo che, spesso, noi italiani offriamo la cena a intere tavolate di amici ma non siamo capaci di donare 10 euro a un'associazione no profit. E che dire di quel nostro conoscente pieno di soldi che non dà mai l'elemosina, e di quell'altro, precario, che ogni anno dona 50 euro ai bastardini del canile? E' un problema di fiducia, dicono gli scienziati. E quindi, in senso più ampio, anche di sensibilità.
Fiducia nel prossimo e magnanimità sono, secondo gli studiosi californiani, valori direttamente proporzionali: chi ha l'uno possiede anche l'altra, indipendentemente da status sociale, geni e cultura di appartenenza. Il ricercatore Paul Piff, tra i massimi esperti americani di psicologia sociale, ha sottoposto 115 volontari a un "trust game", uno dei tre principali test della teoria dei giochi, dimostrando che proprio chi è meno abbiente è disposto a rischiare per aiutare economicamente un'altra persona. Pur non conoscendola e non sapendo come userà quel denaro.
Nel povero manca la paura - tipica dei ricchi - di perdere tutto e venire raggirato. Piff e il suo team lo hanno capito chiedendo ai volontari di decidere se donare o meno a degli sconosciuti 10 gettoni di presenza, che al termine dell'esperimento sarebbero stati convertiti in denaro. I più generosi sono stati proprio i più poveri, mentre i vontari benestanti, educati dalla famiglia alla diffidenza, hanno tenuto per sè la maggior parte dei gettoni. In particolare, il 2,1% degli intervistati ricchi ha dichiarato che avrebbe volentieri donato buona parte dei propri soldi, contro il 5,6% dei volontari di basso ceto.
La ricerca della University of California di Berkeley è la prima del genere mai realizzata e, a differenza di altri studi 1, mette in evidenza un particolare aspetto della generosità, legato all'incertezza totale del buon esito del gesto e alla capacità di fidarsi del prossimo. E' quindi molto più probabile che sia un povero ad adottare a distanza un bambino che non un ricco, proprio perché quest'ultimo è stato educato al sospetto e alla conservazione del patrimonio dalle minacce esterne. "E non è neppure un caso - spiega il professor Paolo Legrenzi, professore ordinario di Psicologia cognitiva all'Università IUAV di Venezia e autore di Neuro-mania. Il cervello non spiega chi siamo (Il Mulino, 2009) - che i miliardari più generosi siano tutti americani, perché la cultura statunitense è più abituata al rischio e a fidarsi del prossimo. Da noi, in Europa e soprattutto in Italia, è invece diffusa l'idea che tutto ciò che non si conosce rappresenti una minaccia e che l'obiettivo principale del prossimo sia quello di truffarci".
Legrenzi sta per pubblicare un libro di psicologia economica in cui un capitolo sarà dedicato proprio al rapporto tra fiducia e denaro. "Questa ricerca è particolarmente interessante - spiega - perché i dati sono stati raccolti con un trust game, un gioco finalizzato a rilevare il livello di fiducia dei partecipanti. Il ricercatore non ha fatto un sondaggio o un'inchiesta ma ha voluto verificare il rapporto tra fiducia e generosità, dimostrando che i più generosi sono anche i soggetti più umili. Quelli con una vita di relazione più ampia, meno abituati a vedere il prossimo come un nemico o un potenziale parassita". Il professore spiega anche che esistono quattro tipologie di rapporto tra soldi e fiducia: la fiducia ben riposta, la fiducia mal riposta, la sfiducia ben riposta e la sfiducia mal riposta. L'appartenenza a una categoria piuttosto che a un'altra determina il nostro atteggiamento mentale nei confronti degli altri e del denaro. "E generalmente - spiega l'autore di Non occorre essere stupidi per fare sciocchezze (Il Mulino, 2010) - chi non si fida molto degli altri al trust game risulta taccagno. Chi non si fida mai fa una sciocchezza perché, pur di non commettere errori, si prima di molte possibilità. La differenza tra sciocchezza ed errore è che la prima esclude tutte le variabili, sia quelle negative che positive, mentre l'errore è indispensabile per crescere, anche economicamente. Chi è ricco fa molte sciocchezze, chi è povero molti errori".
Sarà dunque per questo che, spesso, noi italiani offriamo la cena a intere tavolate di amici ma non siamo capaci di donare 10 euro a un'associazione no profit. E che dire di quel nostro conoscente pieno di soldi che non dà mai l'elemosina, e di quell'altro, precario, che ogni anno dona 50 euro ai bastardini del canile? E' un problema di fiducia, dicono gli scienziati. E quindi, in senso più ampio, anche di sensibilità.
font:http://www.repubblica.it/scienze/2010/08/23/news/il_povero_pi_generoso_perch_si_fida_degli_altri-6431672/
Mentre fa la spesa segue la musica trasmessa nel negozio..
.. boom di contatti su YouTube per il video girato al grande magazzino
PGS a FestAmbiente
Ieri la PGS Sole Luna SS.Crocifisso ha partecipato, allestendo uno spazio dedicato ai bambini, alla manifestazione FestAmbiente organizzata dalla sezione Armerina di Legambiente.
Dalle 15.00 alle 18.00 gli animatori PGS hanno intrattenuto bambini e ragazzi dai 6 ai 12 anni con giochi classici e d'acqua, concludendo il piacevole pomeriggio con una "tiro a bersaglio" con i gavettoni in cui gli animatori hanno fatto da sagoma!
Dalle 15.00 alle 18.00 gli animatori PGS hanno intrattenuto bambini e ragazzi dai 6 ai 12 anni con giochi classici e d'acqua, concludendo il piacevole pomeriggio con una "tiro a bersaglio" con i gavettoni in cui gli animatori hanno fatto da sagoma!
Programmazione Cinama Moderno Mirabella
da lunedì 23 a mercoledì 25 agosto
SUL MARE
commedia e dramma sentimentale di Alessandro D'Alatri
spettacolo unico ore 21
Critica:
Dal romanzo di Anna Pavignano 'In bilico sul mare', il film è una storia d' amore tra due giovanissimi con riferimenti alla realtà sociale. Riesce, in modo credibile, a integrare la vicenda di cuore con una toccante maniera di trattare la questione della precarietà, della clandestinità del lavoro e delle morti bianche. Un ragazzo semplice cresciuto nell' isoletta di Ventotene si incontra con una coetanea turista borghese venuta dal nord, amore senza futuro a causa della distanza di classe. Complimenti per la resa dei due interpreti Dario Castiglio e Martina Codecasa. C' è qualcosa di commovente nell' innocenza del ragazzo che crede di aver trovato l' amore, storia che rinnova l' eterna disputa tra assoluto ed effimero propria dell' età giovanile".(Paolo D'Agostini, La Repubblica del 3 aprile 2010)
SUL MARE
commedia e dramma sentimentale di Alessandro D'Alatri
spettacolo unico ore 21
Critica:
Dal romanzo di Anna Pavignano 'In bilico sul mare', il film è una storia d' amore tra due giovanissimi con riferimenti alla realtà sociale. Riesce, in modo credibile, a integrare la vicenda di cuore con una toccante maniera di trattare la questione della precarietà, della clandestinità del lavoro e delle morti bianche. Un ragazzo semplice cresciuto nell' isoletta di Ventotene si incontra con una coetanea turista borghese venuta dal nord, amore senza futuro a causa della distanza di classe. Complimenti per la resa dei due interpreti Dario Castiglio e Martina Codecasa. C' è qualcosa di commovente nell' innocenza del ragazzo che crede di aver trovato l' amore, storia che rinnova l' eterna disputa tra assoluto ed effimero propria dell' età giovanile".(Paolo D'Agostini, La Repubblica del 3 aprile 2010)
Mangiar bene
Il ministero del lavoro e della salute ha approntato un vademecum per focalizzare l'attenzione dei consumatori sull'importanza, soprattutto in estate, di comprare e conservare correttamente i cibi per evitare gastroenteriti e intossicazioni alimentari.
Bisogna, per questo, diffidare sempre dai canali di distribuzione non convenzionali, per questo non bisogna acquistare mai nulla da venditori improvvisati sulla spiaggia o in montagna.
Non vanno mai acquistate confezioni rotte, danneggiate o confezioni di prodotti congelati con brina.
Le bottiglie di acqua minerale e delle bevande in generale non devono mai essere esposte a fonti di calore diretti.
I cibi refrigerati e congelati vanno acquistati quando si è ormai prossimi alle casse per evitare che si scaldino e\o scongelino, vanno sempre messi negli appositi sacchetti termici e non messi vicino a cibi caldi o precotti.
La spesa va portata a casa il prima possibile evitando di lasciare le buste nella macchina rovente sotto il sole. Appena arrivati a casa è importante riporre i cibi refrigerati o congelati in frigorifero o in freezer e il pesce e la carne vanno sempre messi nello scomparto più freddo del frigorifero.Il frigorifero va tenuto scrupolosamente pulito ricordando che la frutta e la verdura vanno conservati negli scomparti meno freddi e che la frutta non va messa in frigorifero dopo il lavaggio per evitare di aumentare il tasso di umidità nel frigo che può favorire la crescita di muffe e batteri.
Il frigorifero non va nemmeno riempito troppo per evitare di alterare il normale sistema di refrigerazione dell'elettrodomestico; vanno sempre buttati gli alimenti scaduti o dal colore o dall'odore alterato.
Gli alimenti, infine, vanno consumati subito dopo la cottura evitando di lasciarli a temperatura ambiente oppure conservarli correttamente in frigorifero.
Se si decide di mangiare all'aperto non bisogna mai dimenticare che i cibi appena cotti o ancora caldi non vanno impacchettati; i panini o le insalate andrebbero refrigerate per 12 ore prima di essere consumate all'aperto, è bene evitare il più possibile la manipolazione degli alimenti all'aperto perché non si dispone di acqua corrente per le opportune operazioni di lavaggio e pulizia.
Se infine si opta per un bel barbecue bisogna cuocere la carne accuratamente, senza carbonizzarla per evitare la formazione di sostanze cancerogene, non bisogna mai unire la carne cotta con quella cruda e non va mai messa sul fuoco la carne congelata.
Fonte: http://salute.it.msn.com
Bisogna, per questo, diffidare sempre dai canali di distribuzione non convenzionali, per questo non bisogna acquistare mai nulla da venditori improvvisati sulla spiaggia o in montagna.
Non vanno mai acquistate confezioni rotte, danneggiate o confezioni di prodotti congelati con brina.
Le bottiglie di acqua minerale e delle bevande in generale non devono mai essere esposte a fonti di calore diretti.
I cibi refrigerati e congelati vanno acquistati quando si è ormai prossimi alle casse per evitare che si scaldino e\o scongelino, vanno sempre messi negli appositi sacchetti termici e non messi vicino a cibi caldi o precotti.
La spesa va portata a casa il prima possibile evitando di lasciare le buste nella macchina rovente sotto il sole. Appena arrivati a casa è importante riporre i cibi refrigerati o congelati in frigorifero o in freezer e il pesce e la carne vanno sempre messi nello scomparto più freddo del frigorifero.Il frigorifero va tenuto scrupolosamente pulito ricordando che la frutta e la verdura vanno conservati negli scomparti meno freddi e che la frutta non va messa in frigorifero dopo il lavaggio per evitare di aumentare il tasso di umidità nel frigo che può favorire la crescita di muffe e batteri.
Il frigorifero non va nemmeno riempito troppo per evitare di alterare il normale sistema di refrigerazione dell'elettrodomestico; vanno sempre buttati gli alimenti scaduti o dal colore o dall'odore alterato.
Gli alimenti, infine, vanno consumati subito dopo la cottura evitando di lasciarli a temperatura ambiente oppure conservarli correttamente in frigorifero.
Se si decide di mangiare all'aperto non bisogna mai dimenticare che i cibi appena cotti o ancora caldi non vanno impacchettati; i panini o le insalate andrebbero refrigerate per 12 ore prima di essere consumate all'aperto, è bene evitare il più possibile la manipolazione degli alimenti all'aperto perché non si dispone di acqua corrente per le opportune operazioni di lavaggio e pulizia.
Se infine si opta per un bel barbecue bisogna cuocere la carne accuratamente, senza carbonizzarla per evitare la formazione di sostanze cancerogene, non bisogna mai unire la carne cotta con quella cruda e non va mai messa sul fuoco la carne congelata.
Fonte: http://salute.it.msn.com
Dossier bambini iperattivi
C’è molta confusione sul termine. Come capire se un bambino è semplicemente vivace oppure iperattivo. La polemica sulle cure farmacologiche.
font:http://www.famigliacristiana.it/Famiglia/News/dossier/la-sindrome-di-iperattivita/parla-la-psicologa-dolores-rollo.aspx
La polemica sull'uso di farmaci nella cura della Sindrome di disattenzione e iperattività (Adhd) continua. Un recente studio ha messo in luce un nuovo e interessante aspetto. Alcuni ricercatori hanno rilevato che nei bambini affetti da questa incapacità di attenzione i premi e gli incentivi possono avere lo stesso beneficio dei farmaci. Si tratta dei risultati di un recente studio condotto dall'università inglese di Nottingham e pubblicato sulla rivista Biological Psichiatry.
La ricerca conferma una posizione che parte della comunità scientifica sostiene ormai da anni riguardo il comportamento iperattivo e la capacita di concentrazione di certi bambini e cioè che si possono ottenere riscontri positivi e "contenimento" del comportamento non solo con il discusso trattamento psicofarmacologico (di cui si temono potenziali effetti collaterali anche gravi) ma con strategie pedagogiche come quella della ricompensa a breve termine.
In pratica la medicina e il premio (in seguito a stimoli positivi) risultano avere la stessa efficacia. Quindi meglio orientarsi verso la seconda e più umana soluzione ed evitare il ricorso alla "chimica". Luca Poma, portavoce del comitato per la farmacovigilanza pediatrica Giù le Mani dai Bambini - ha dichiarato che questo "dimostra per l'ennesima volta che esistono risposte al disagio dei bambini valide ed efficaci e soprattutto prive di effetti collaterali.
Un appello all'Istituto Superiore di Sanità e all'Agenzia del Farmaco: è ora che la sanità pubblica in Italia torni a investire sulle persone e sulle competenze, senza cercare 'facilì scorciatoie chimiche".
Grande è il fascino di Gian Burrasca e dei suoi numerosi "colleghi", cioè dei rivoltosi che non accettano le regole, spesso incomprensibili, del mondo degli adulti. Quando si tratta di personaggi immaginari ci piace identificarci in questi bambini indomiti, furbi e intelligenti, a volte capaci, a modo loro, di lottare contro le ingiustizie e smascherare le ipocrisie. Molte piccole pesti ci hanno allietato dal grande e piccolo schermo. Il capostipite Pinocchio, asino e ribelle, è amato al punto da vantare numerosissime trasposizioni cinematografiche (l'hanno celebrato Comencini, Benigni, Walt Disney e la recente fiction Rai diretta da Alberto Sironi). Fantasiosa e forzuta è Pippi Calzelunghe, creatura della scrittrice svedese Astrid Lindgren, la cui serie Tv è attualmente sul canale Sky DeAKids. Tutta sola a Villa Villacolle, Pippi affascina gli amici con giochi pericolosi, fa disperare la maestra, le mamme degli altri bambini, ha la meglio sui poliziotti e sui ladri e su tutti i prepotenti. Stessa autrice per Emil, il biondo monello che ogni volta che combina una marachella finisce in castigo nella legnaia a intagliare una statuetta nel legno. I più piccoli ricordano sicuramente Macaulay Culkin alias Kevin di Mamma ho perso l'aereo. Dimenticato dai suoi a casa, resiste da solo vivendo di trasgressioni (cibo spazzatura e Tv accesa tutto il giorno) e riuscendo, alla fine, a catturare gli sciocchi banditi. Anche l'apparentemente dolce e gentile Matilda, nata dalla penna di Roald Dahl e resa celebre dal film Matilda sei mitica di Danny De Vito, non teme gli adulti e neppure l'odiosa direttrice della scuola. Ultimo arrivata, ma amatissimo in Francia da generazioni è il Piccolo Nicolas, uno dei personaggi letterari più amati da generazioni di bambini d'oltralpe e ora sul grande schermo con un bellissimo film adatto a tutta la famiglia.Ma se li incontriamo nella vita di tutti i giorni sappiamo riconoscerli eapprezzarli? Forse vivono in casa con noi o sono amici dei nostri figli. Nella realtà non sempre sappiamo gestire o apprezzare la loro vivacità,anche se accompagnata da candore e simpatia. Genitori e insegnanti hanno il compito di distinguere ed esaltare le doti del bambino vivace, e allo stessotempo di capire quando il suo comportamento valica la buona educazione, maanche di comprendere per tempo quando la sua iperattività è sintomo di undisturbo (per fortuna molto raro) da segnalare agli specialisti.
Può capitare che dalla scuola venga segnalato che un bambino sia "iperattivo". C'è tuttavia molta confusione sul termine. Come capire se un bambino è semplicemente vivace oppure iperattivo? Sciogliere questo dubbio sarebbe di grande aiuto a tanti genitori, spesso confusi e disorientati. «Per "iperattività" si intende un esercizio eccessivo e incontrollato dell'attività motoria (gli esperti la chiamano Disturbo da deficit di attenzionee iperattività)», spiega Dolores Rollo, docente di Psicologia dello sviluppo e dell'educazione all'Università di Cagliari. «Per questo i bambini si mostrano costantemente disattenti, iperattivi e impulsivi». E, quindi, sono quasi sempre in azione, si stancano di un impegno dopo pochi minuti e spesso non riescono a pensare prima di agire. «In realtà, di tutti i bambini segnalati dagli insegnanti per un livello di attività e disattenzione eccessivo», precisa l'esperta, «solo una piccola parte presenta questo disturbo». Difatti, «sono diversi i sintomi di cui bisogna verificare la presenza per avere una diagnosi sicura», sottolinea sempre la Rollo. Non va dimenticato, inoltre, che «rispetto al bambino vivace, di solito ben accetto dai compagni, nel piccolo iperattivo le difficoltà di comportamento causano problemi scolastici, conflitti familiari e impedimenti nel costruire buone relazioni. La conseguenza immediata è il rifiuto da parte dei compagni e anche degli adulti».
A tal proposito, numerosi esperti suggeriscono di "placare" questa smisurata turbolenza attraverso una terapia farmacologica. Ma è davvero utile, oppure è solo un tentativo per "sedare" gli eccessi dei piccoli che gli adulti non sono capaci di tenere a bada? In Europa le linee guida cliniche raccomandano l'uso dei farmaci nei casi più gravi, sotto controllo medico. Ma «i farmaci non sono pozioni magiche che annullano il disturbo. Infatti, agiscono sui sintomi, cioè sui problemi del comportamento, ma non sulle cause, e possono avere effetti collaterali», chiarisce la docente. I genitori si imbattono quasi sempre in un sentiero impervio: non è facile individuare la strada ottimale capace di tutelare la salute dei loro figli. «Dovrebbero essere informati in modo chiaro sui rischi dell'iperattività e sui diversi trattamenti psico-educativi che possono sostituire e/o accompagnare l'eventuale terapia farmacologica», suggerisce la psicologa. Inoltre, vanno incoraggiati a capire ciò che accade prima, durante e dopo il comportamento inadeguato:«Solo così possono coinvolgere i figli in azioni positive e collaborative, più che oppositive e punitive».
Anche gli insegnanti, «possono usare diverse strategie per contenere l'iperattività (utilizzarla come premio) e per diminuire la richiesta diattenzione (frazionando i compiti) e possono soprattutto creare un clima difiducia». E quando, nella maggior parte dei casi, si tratta semplicemente di un bambino vivace? «Bisogna comunque evitare sia la costrizione che lapunizione. La vivacità è sicuramente un punto di forza (non a caso igenitori ne vanno fieri) che andrebbe valorizzata. Il genitore di un bambino vivace potrebbe aiutarlo a considerare le sue altre forme di comportamento, prendendo come esempio i bambini più calmi. La stessa cosa potrebbero fare le insegnanti, facendo sì che la piccola peste lavori in classe col bambino più tranquillo».
La ricerca conferma una posizione che parte della comunità scientifica sostiene ormai da anni riguardo il comportamento iperattivo e la capacita di concentrazione di certi bambini e cioè che si possono ottenere riscontri positivi e "contenimento" del comportamento non solo con il discusso trattamento psicofarmacologico (di cui si temono potenziali effetti collaterali anche gravi) ma con strategie pedagogiche come quella della ricompensa a breve termine.
In pratica la medicina e il premio (in seguito a stimoli positivi) risultano avere la stessa efficacia. Quindi meglio orientarsi verso la seconda e più umana soluzione ed evitare il ricorso alla "chimica". Luca Poma, portavoce del comitato per la farmacovigilanza pediatrica Giù le Mani dai Bambini - ha dichiarato che questo "dimostra per l'ennesima volta che esistono risposte al disagio dei bambini valide ed efficaci e soprattutto prive di effetti collaterali.
Un appello all'Istituto Superiore di Sanità e all'Agenzia del Farmaco: è ora che la sanità pubblica in Italia torni a investire sulle persone e sulle competenze, senza cercare 'facilì scorciatoie chimiche".
Grande è il fascino di Gian Burrasca e dei suoi numerosi "colleghi", cioè dei rivoltosi che non accettano le regole, spesso incomprensibili, del mondo degli adulti. Quando si tratta di personaggi immaginari ci piace identificarci in questi bambini indomiti, furbi e intelligenti, a volte capaci, a modo loro, di lottare contro le ingiustizie e smascherare le ipocrisie. Molte piccole pesti ci hanno allietato dal grande e piccolo schermo. Il capostipite Pinocchio, asino e ribelle, è amato al punto da vantare numerosissime trasposizioni cinematografiche (l'hanno celebrato Comencini, Benigni, Walt Disney e la recente fiction Rai diretta da Alberto Sironi). Fantasiosa e forzuta è Pippi Calzelunghe, creatura della scrittrice svedese Astrid Lindgren, la cui serie Tv è attualmente sul canale Sky DeAKids. Tutta sola a Villa Villacolle, Pippi affascina gli amici con giochi pericolosi, fa disperare la maestra, le mamme degli altri bambini, ha la meglio sui poliziotti e sui ladri e su tutti i prepotenti. Stessa autrice per Emil, il biondo monello che ogni volta che combina una marachella finisce in castigo nella legnaia a intagliare una statuetta nel legno. I più piccoli ricordano sicuramente Macaulay Culkin alias Kevin di Mamma ho perso l'aereo. Dimenticato dai suoi a casa, resiste da solo vivendo di trasgressioni (cibo spazzatura e Tv accesa tutto il giorno) e riuscendo, alla fine, a catturare gli sciocchi banditi. Anche l'apparentemente dolce e gentile Matilda, nata dalla penna di Roald Dahl e resa celebre dal film Matilda sei mitica di Danny De Vito, non teme gli adulti e neppure l'odiosa direttrice della scuola. Ultimo arrivata, ma amatissimo in Francia da generazioni è il Piccolo Nicolas, uno dei personaggi letterari più amati da generazioni di bambini d'oltralpe e ora sul grande schermo con un bellissimo film adatto a tutta la famiglia.Ma se li incontriamo nella vita di tutti i giorni sappiamo riconoscerli eapprezzarli? Forse vivono in casa con noi o sono amici dei nostri figli. Nella realtà non sempre sappiamo gestire o apprezzare la loro vivacità,anche se accompagnata da candore e simpatia. Genitori e insegnanti hanno il compito di distinguere ed esaltare le doti del bambino vivace, e allo stessotempo di capire quando il suo comportamento valica la buona educazione, maanche di comprendere per tempo quando la sua iperattività è sintomo di undisturbo (per fortuna molto raro) da segnalare agli specialisti.
Può capitare che dalla scuola venga segnalato che un bambino sia "iperattivo". C'è tuttavia molta confusione sul termine. Come capire se un bambino è semplicemente vivace oppure iperattivo? Sciogliere questo dubbio sarebbe di grande aiuto a tanti genitori, spesso confusi e disorientati. «Per "iperattività" si intende un esercizio eccessivo e incontrollato dell'attività motoria (gli esperti la chiamano Disturbo da deficit di attenzionee iperattività)», spiega Dolores Rollo, docente di Psicologia dello sviluppo e dell'educazione all'Università di Cagliari. «Per questo i bambini si mostrano costantemente disattenti, iperattivi e impulsivi». E, quindi, sono quasi sempre in azione, si stancano di un impegno dopo pochi minuti e spesso non riescono a pensare prima di agire. «In realtà, di tutti i bambini segnalati dagli insegnanti per un livello di attività e disattenzione eccessivo», precisa l'esperta, «solo una piccola parte presenta questo disturbo». Difatti, «sono diversi i sintomi di cui bisogna verificare la presenza per avere una diagnosi sicura», sottolinea sempre la Rollo. Non va dimenticato, inoltre, che «rispetto al bambino vivace, di solito ben accetto dai compagni, nel piccolo iperattivo le difficoltà di comportamento causano problemi scolastici, conflitti familiari e impedimenti nel costruire buone relazioni. La conseguenza immediata è il rifiuto da parte dei compagni e anche degli adulti».
A tal proposito, numerosi esperti suggeriscono di "placare" questa smisurata turbolenza attraverso una terapia farmacologica. Ma è davvero utile, oppure è solo un tentativo per "sedare" gli eccessi dei piccoli che gli adulti non sono capaci di tenere a bada? In Europa le linee guida cliniche raccomandano l'uso dei farmaci nei casi più gravi, sotto controllo medico. Ma «i farmaci non sono pozioni magiche che annullano il disturbo. Infatti, agiscono sui sintomi, cioè sui problemi del comportamento, ma non sulle cause, e possono avere effetti collaterali», chiarisce la docente. I genitori si imbattono quasi sempre in un sentiero impervio: non è facile individuare la strada ottimale capace di tutelare la salute dei loro figli. «Dovrebbero essere informati in modo chiaro sui rischi dell'iperattività e sui diversi trattamenti psico-educativi che possono sostituire e/o accompagnare l'eventuale terapia farmacologica», suggerisce la psicologa. Inoltre, vanno incoraggiati a capire ciò che accade prima, durante e dopo il comportamento inadeguato:«Solo così possono coinvolgere i figli in azioni positive e collaborative, più che oppositive e punitive».
Anche gli insegnanti, «possono usare diverse strategie per contenere l'iperattività (utilizzarla come premio) e per diminuire la richiesta diattenzione (frazionando i compiti) e possono soprattutto creare un clima difiducia». E quando, nella maggior parte dei casi, si tratta semplicemente di un bambino vivace? «Bisogna comunque evitare sia la costrizione che lapunizione. La vivacità è sicuramente un punto di forza (non a caso igenitori ne vanno fieri) che andrebbe valorizzata. Il genitore di un bambino vivace potrebbe aiutarlo a considerare le sue altre forme di comportamento, prendendo come esempio i bambini più calmi. La stessa cosa potrebbero fare le insegnanti, facendo sì che la piccola peste lavori in classe col bambino più tranquillo».
Simone Bruno
font:http://www.famigliacristiana.it/Famiglia/News/dossier/la-sindrome-di-iperattivita/parla-la-psicologa-dolores-rollo.aspx
Si può sopravvivere alla morte di un figlio?
C’è chi ci è riuscito, come la fondatrice dell’associazione Figli in cielo
font: http://www.confrancesco.it/index.php?app=openRub&idRub=250&idCat=1&lang=it&pag=1&mese=13&anno=2010&word_s=
C’è un dolore più forte della morte di un figlio o di una figlia? Si può sopravvivere ad un tale perdita? Come si può dare un senso ad un lutto così profondo? Eppure c’è chi è riuscito a superare la tristezza e il dolore riscoprendo la speranza. Si tratta di Andreana Bassanetti (nella foto: il suo incontro con Giovanni Paolo II), una psicologa e psicoterapeuta che, dopo aver aiutato tanti giovani ad uscire dal tunnel delle loro crisi, ha visto la propria amatissima figliola di ventuno anni soffrire di depressione, di anoressia e poi di suicidarsi. Per il dolore non riusciva a darsi pace, finché non ha ritrovato la strada della fede.
Oggi la Bassanetti dirige un associazione denominata Figli in Cielo (www.figlincielo.it) attiva in oltre 100 diocesi in Italia, in Spagna, in diversi paesi dell’America Latina e Centrale, negli Stati Uniti, in Inghilterra ed in Nuova Zelanda.
Ha raccontato la Bassanetti che, dopo la morte della figlia per sei mesi non è riuscita ad alzarsi dal letto. Poi un giorno si sollevò, uscì, vide una chiesa aperta, entrò con la sensazione che qualcuno l'aspettasse da tempo e da quel giorno, attratta da una forza sconosciuta, per otto mesi, ritornò a inginocchiarsi in quei banchi. Leggendo i Salmi – ha raccontato nel libro Il bene più grande – storia di Camilla (Edizioni Paoline) – “sentii una voce interiore che pronunciava parole d’amore. Più che una voce era un soffio caldo, intensissimo, come una melodia, un canto dalle parole sfumate, che mi permeava e mi riempiva e mi scioglieva interiormente: riuscivo a percepire confusamente solo la parola amore”.
“Il tutto – ha aggiunto - durò solo una decina di secondi, ma ebbe un effetto grandioso, miracoloso, mi liberò dal pesante macigno che mi paralizzava”.
“Dio mi aveva dato un cuore nuovo. Mi accorsi che stavo piangendo: silenziosamente, calde lacrime mi rigavano il volto: come si può resistere ad un amore così grande?”.
“Quella notte fu per me una notte davvero santa, miracolosa – ha scritto ancora – . Ritornai a casa trasformata con il cuore colmo di gratitudine, sigillando nel profondo le parole del Salmo 39: 'Ecco io vengo o Dio a fare la tua volontà'”.
In occasione di un incontro a Verona, la Bassanetti ha commentato che “Quando muore un figlio per cause accidentali o naturali, per un genitore lo strazio è indescrivibile. È il dolore più grande che un essere umano possa provare. Un distacco così lacerante che non si rimargina più: l’esistenza di chi resta, se riuscirà a viverla, non sarà più la stessa, ma il Signore toglie soltanto per dare un dono più grande”.
Un dono più grande, ma sta scherzando?
“Dopo mesi in cui non riuscivo a sopportare il dolore e pensavo di morire anch’io, il Signore mi fece veramente visita e mi colmò di grazie, mi avvolse tra le sue braccia materne, mi consolò, medicò le mie ferite e soprattutto ammorbidì il mio cuore, indurito dal dolore. Presi coscienza di Lui, del suo Mistero, della sua Presenza, del suo Spirito che vivifica l'anima, accende il cuore e apre la mente al cielo. E nella luce che tutta mi avvolgeva e mi faceva rinascere all'amore e alla speranza, ritrovai Camilla. La Chiesa divenne il luogo privilegiato dei nostri incontri, un momento sublime di attesa, di dialogo, di unione perché se il corpo avvicina, lo spirito va oltre, unisce, fonde, con-fonde. È paradossale, ma la morte di mia figlia Camilla a soli ventun anni, mi ha fatto incontrare Dio. O meglio, la mia vita vera è iniziata quando Dio ha fatto irruzione nella mia vita. Un vero e proprio miracolo che ha dato un avvio vero e autentico alla mia esistenza”.
Come si fa a ringraziare Dio di fronte a un evento così drammatico?
“Ci sono verità che il Signore ha nascosto nel segreto del nostro cuore, che richiedono tutto un lungo cammino al buio, esigono tutta la fatica di una ricerca, fino all’incontro con Lui. Per ritrovare i figli nella Vita vera, la Verità ci dice che la Via è una sola: 'Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua' (Lc 9,23). Anziché ribellarsi e costringere il figlio a tornare indietro, a una dimensione, diciamo più terrena, è il genitore che deve andare avanti, nella sua libertà di scelta e di tempi, rinnegare se stesso. Rinnegare la maternità-paternità umana per elevarsi a una maternità paternità divina, nella nuova dimensione che lo stato spirituale del proprio figlio richiede. È importante non aver paura del dolore, anche se acuto e apparentemente incontenibile nessuna notte è così lunga da non permettere un nuovo giorno. Anche se il percorso è lungo e faticoso, è bene non lasciarsi annientare dal dolore ma rispettare i propri stati d’animo assecondando le esigenze interiori che via via si manifestano, non bisogna sfruttare i tempi saltando tappe importanti che costituiscono un fondamento importante e costruttivo per sé e per l’intera famiglia”.
Questa esperienza ha cambiato anche il suo modo di lavorare?
“L’obiettivo non è soltanto il benessere, la salute di quel ragazzo o ragazza o adulto che sono pur sempre importantissimi. Insieme cerchiamo l’incontro con Dio, la salvezza personale, pur nella libertà delle scelte e nel rispetto dei linguaggi personali. L’esperienza dolorosa che ho vissuto con Camilla, perché nessun altro soffra le sue stesse pene, e questo lo offro per la sua intercessione, a favore di tutti i giovani in qualche modo bisognosi, e sono sicura che lei, insieme con i ragazzi che sono in Cielo con lei, sta intercedendo per me”.
Oggi la Bassanetti dirige un associazione denominata Figli in Cielo (www.figlincielo.it) attiva in oltre 100 diocesi in Italia, in Spagna, in diversi paesi dell’America Latina e Centrale, negli Stati Uniti, in Inghilterra ed in Nuova Zelanda.
Ha raccontato la Bassanetti che, dopo la morte della figlia per sei mesi non è riuscita ad alzarsi dal letto. Poi un giorno si sollevò, uscì, vide una chiesa aperta, entrò con la sensazione che qualcuno l'aspettasse da tempo e da quel giorno, attratta da una forza sconosciuta, per otto mesi, ritornò a inginocchiarsi in quei banchi. Leggendo i Salmi – ha raccontato nel libro Il bene più grande – storia di Camilla (Edizioni Paoline) – “sentii una voce interiore che pronunciava parole d’amore. Più che una voce era un soffio caldo, intensissimo, come una melodia, un canto dalle parole sfumate, che mi permeava e mi riempiva e mi scioglieva interiormente: riuscivo a percepire confusamente solo la parola amore”.
“Il tutto – ha aggiunto - durò solo una decina di secondi, ma ebbe un effetto grandioso, miracoloso, mi liberò dal pesante macigno che mi paralizzava”.
“Dio mi aveva dato un cuore nuovo. Mi accorsi che stavo piangendo: silenziosamente, calde lacrime mi rigavano il volto: come si può resistere ad un amore così grande?”.
“Quella notte fu per me una notte davvero santa, miracolosa – ha scritto ancora – . Ritornai a casa trasformata con il cuore colmo di gratitudine, sigillando nel profondo le parole del Salmo 39: 'Ecco io vengo o Dio a fare la tua volontà'”.
In occasione di un incontro a Verona, la Bassanetti ha commentato che “Quando muore un figlio per cause accidentali o naturali, per un genitore lo strazio è indescrivibile. È il dolore più grande che un essere umano possa provare. Un distacco così lacerante che non si rimargina più: l’esistenza di chi resta, se riuscirà a viverla, non sarà più la stessa, ma il Signore toglie soltanto per dare un dono più grande”.
Un dono più grande, ma sta scherzando?
“Dopo mesi in cui non riuscivo a sopportare il dolore e pensavo di morire anch’io, il Signore mi fece veramente visita e mi colmò di grazie, mi avvolse tra le sue braccia materne, mi consolò, medicò le mie ferite e soprattutto ammorbidì il mio cuore, indurito dal dolore. Presi coscienza di Lui, del suo Mistero, della sua Presenza, del suo Spirito che vivifica l'anima, accende il cuore e apre la mente al cielo. E nella luce che tutta mi avvolgeva e mi faceva rinascere all'amore e alla speranza, ritrovai Camilla. La Chiesa divenne il luogo privilegiato dei nostri incontri, un momento sublime di attesa, di dialogo, di unione perché se il corpo avvicina, lo spirito va oltre, unisce, fonde, con-fonde. È paradossale, ma la morte di mia figlia Camilla a soli ventun anni, mi ha fatto incontrare Dio. O meglio, la mia vita vera è iniziata quando Dio ha fatto irruzione nella mia vita. Un vero e proprio miracolo che ha dato un avvio vero e autentico alla mia esistenza”.
Come si fa a ringraziare Dio di fronte a un evento così drammatico?
“Ci sono verità che il Signore ha nascosto nel segreto del nostro cuore, che richiedono tutto un lungo cammino al buio, esigono tutta la fatica di una ricerca, fino all’incontro con Lui. Per ritrovare i figli nella Vita vera, la Verità ci dice che la Via è una sola: 'Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua' (Lc 9,23). Anziché ribellarsi e costringere il figlio a tornare indietro, a una dimensione, diciamo più terrena, è il genitore che deve andare avanti, nella sua libertà di scelta e di tempi, rinnegare se stesso. Rinnegare la maternità-paternità umana per elevarsi a una maternità paternità divina, nella nuova dimensione che lo stato spirituale del proprio figlio richiede. È importante non aver paura del dolore, anche se acuto e apparentemente incontenibile nessuna notte è così lunga da non permettere un nuovo giorno. Anche se il percorso è lungo e faticoso, è bene non lasciarsi annientare dal dolore ma rispettare i propri stati d’animo assecondando le esigenze interiori che via via si manifestano, non bisogna sfruttare i tempi saltando tappe importanti che costituiscono un fondamento importante e costruttivo per sé e per l’intera famiglia”.
Questa esperienza ha cambiato anche il suo modo di lavorare?
“L’obiettivo non è soltanto il benessere, la salute di quel ragazzo o ragazza o adulto che sono pur sempre importantissimi. Insieme cerchiamo l’incontro con Dio, la salvezza personale, pur nella libertà delle scelte e nel rispetto dei linguaggi personali. L’esperienza dolorosa che ho vissuto con Camilla, perché nessun altro soffra le sue stesse pene, e questo lo offro per la sua intercessione, a favore di tutti i giovani in qualche modo bisognosi, e sono sicura che lei, insieme con i ragazzi che sono in Cielo con lei, sta intercedendo per me”.
font: http://www.confrancesco.it/index.php?app=openRub&idRub=250&idCat=1&lang=it&pag=1&mese=13&anno=2010&word_s=
Neurologia: la tempesta ormonale colpisce anche il neo-papà
Una ricerca Usa-Israele evidenzia picchi di produzione di ossitocina e prolattina anche negli uomini alla nascita dei figli. Ormoni che agiscono sul centro emotivo del cervello e stimolano gli istinti di cura dal nostro inviato CRISTINA NADOTTI
LONDRA - I padri non hanno più scuse, ora anche la biologia prova la loro capacità di prendersi cura dei piccoli. Una ricerca spiega infatti come, alla nascita dei figli, nel cervello dei nuovi padri ci sia un aumento di alcuni ormoni deputati ad aiutare l'instaurarsi di legami affettivi. Si tratta soprattutto di ossitocina, lo stesso ormone che aiuta le donne durante il parto nella contrazione dell'utero e a reagire alle esigenze della prole, e prolattina, fondamentale per indurre la lattazione. Gli studi della professoressa Ruth Feldman, neuroscienziata coordinatrice di una collaborazione tra le università statunitense di Yale ed israeliana di Bar-Ilan, hanno evidenziato che nel cervello degli uomini alla nascita di un figlio succede qualcosa di molto simile. Una volta che i padri si trovano il figlio tra le braccia ci sono picchi di produzione di ossitocina e prolattina, ormoni che agiscono sull'amigdala, il centro emotivo del cervello, e condizionano sentimenti e pensieri nei confronti dei nuovi nati.
L'importanza di questi due ormoni nel rafforzamento del rapporto madre-figlio e nei comportamenti delle donne nei confronti della prole è stata oggetto di studi ormai da diversi anni. In particolare all'ossitocina, isolata e sintetizzata per la prima volta nel 1953 da Vincent du Vigneaud, che per questa scoperta ottenne il Nobel per la chimica, si riconobbe subito l'importanza di "collante" nelle relazioni affettive, siano quelle tra madre e figlio (l'ormone viene rilasciato durante l'allattamento), tra amanti, poiché durante l'orgasmo se ne registrano picchi di rilascio, o tra appartenenti a una stessa società. Mano a mano che la sperimentazione è andata avanti si è osservato come in ambito umano i dati sulla concentrazione di ossitocina possono differire in maniera consistente tra uomo e donna e fino a oggi si riteneva che l'ossitocina in relazione a un rapporto genitore-figlio entrasse in gioco soltanto in conseguenza della gravidanza e dell'allattamento. Ora le scoperte della professoressa Feldman rivoluzionano tali affermazioni.
"Ha tutta l'aria di essere un passo evolutivo - dice la neuroscienziata - per aiutare i maschi a prendersi cura della loro prole". Per il suo studio Feldman ha verificato il livello degli ormoni di 43 padri nei sei mesi successivi alla nascita dei figli e ha osservato le loro capacità di rassicurare i piccoli, giocare con loro e capire le loro esigenze. I risultati hanno dimostrato che i padri più bravi erano quelli con i livelli ormonali più alti. "È possibile che, man mano che aumenta il tempo trascorso con i figli e insieme con il progredire delle capacità del neonato a partire dai due mesi, di interagire con i genitori, la prolattina e l'ossitocina aumentino per dare risposte ai bisogni dei piccoli", dice Feldman, inspirata nei suoi studi dalle affermazioni di molti uomini. "Molti padri - sostiene - parlano di un disinteresse verso la paternità fino al momento in cui non si trovano il bambino tra le braccia, ammettendo un cambiamento nei sentimenti, una improvvisa tempesta emotiva".
L'innalzamento dei livelli di ossitocina, secondo gli esperimenti di Feldman, nel momento in cui padri e madri sperimentano la prima nascita è ancora maggiore, ma rimane comunque una differenza nel modo in cui i due genitori reagiscono a questi impulsi ormonali e, mentre le madri sviluppano un maggiore senso di protezione, gli uomini sembrano portati a instaurare con i figli situazioni ludiche. Ci sono state subito reazioni alla scoperta della neuroscienziata statunitense, perché l'ossitocina viene rilasciata anche in situazioni di stress. Una nascita è di sicuro un evento che mette a dura prova i padri e, secondo alcuni psichiatri, un aumento di certi ormoni in una situazione emotivamente complicata potrebbe spiegare in parte il picco di ossitocina.
L'importanza di questi due ormoni nel rafforzamento del rapporto madre-figlio e nei comportamenti delle donne nei confronti della prole è stata oggetto di studi ormai da diversi anni. In particolare all'ossitocina, isolata e sintetizzata per la prima volta nel 1953 da Vincent du Vigneaud, che per questa scoperta ottenne il Nobel per la chimica, si riconobbe subito l'importanza di "collante" nelle relazioni affettive, siano quelle tra madre e figlio (l'ormone viene rilasciato durante l'allattamento), tra amanti, poiché durante l'orgasmo se ne registrano picchi di rilascio, o tra appartenenti a una stessa società. Mano a mano che la sperimentazione è andata avanti si è osservato come in ambito umano i dati sulla concentrazione di ossitocina possono differire in maniera consistente tra uomo e donna e fino a oggi si riteneva che l'ossitocina in relazione a un rapporto genitore-figlio entrasse in gioco soltanto in conseguenza della gravidanza e dell'allattamento. Ora le scoperte della professoressa Feldman rivoluzionano tali affermazioni.
"Ha tutta l'aria di essere un passo evolutivo - dice la neuroscienziata - per aiutare i maschi a prendersi cura della loro prole". Per il suo studio Feldman ha verificato il livello degli ormoni di 43 padri nei sei mesi successivi alla nascita dei figli e ha osservato le loro capacità di rassicurare i piccoli, giocare con loro e capire le loro esigenze. I risultati hanno dimostrato che i padri più bravi erano quelli con i livelli ormonali più alti. "È possibile che, man mano che aumenta il tempo trascorso con i figli e insieme con il progredire delle capacità del neonato a partire dai due mesi, di interagire con i genitori, la prolattina e l'ossitocina aumentino per dare risposte ai bisogni dei piccoli", dice Feldman, inspirata nei suoi studi dalle affermazioni di molti uomini. "Molti padri - sostiene - parlano di un disinteresse verso la paternità fino al momento in cui non si trovano il bambino tra le braccia, ammettendo un cambiamento nei sentimenti, una improvvisa tempesta emotiva".
L'innalzamento dei livelli di ossitocina, secondo gli esperimenti di Feldman, nel momento in cui padri e madri sperimentano la prima nascita è ancora maggiore, ma rimane comunque una differenza nel modo in cui i due genitori reagiscono a questi impulsi ormonali e, mentre le madri sviluppano un maggiore senso di protezione, gli uomini sembrano portati a instaurare con i figli situazioni ludiche. Ci sono state subito reazioni alla scoperta della neuroscienziata statunitense, perché l'ossitocina viene rilasciata anche in situazioni di stress. Una nascita è di sicuro un evento che mette a dura prova i padri e, secondo alcuni psichiatri, un aumento di certi ormoni in una situazione emotivamente complicata potrebbe spiegare in parte il picco di ossitocina.
font: http://www.repubblica.it/scienze/2010/08/17/news/ormone_paternit-6307762/
Finlandia, la tempesta perfetta corre verso i bagnanti
Sulla spiaggia di Hietaniemi, in Finlandia, si consuma una scena da film apocalittico: i bagnanti, distesi tranquillamente sulla sabbia, assistono terrorizzati al rapido avvicinamento di nuvole cariche di pioggia. In meno di due minuti la tempesta occupa l'intero orizzonte e mette tutti in fuga
Il catastrofico rapporto con la natura e il disorientamento nel mondo giovanile La crisi? E' non avere speranza del futuro
Pietro Barcellona
L'indecente spettacolo della furibonda rissa politica, esplosa nel centro-destra e propagatasi a pioggia in tutti i giornali e in tutti i discorsi politici come unico tema del giorno, oltre agli effetti devastanti sulla fiducia nelle istituzioni che si possono constatare giornalmente, ha anche l'effetto più grave di occultare e addirittura rendere impossibile una seria riflessione sulle condizioni attuali del nostro Paese e dell'intero Occidente.
Come si fa a non restare stupefatti di fronte allo spropositato spazio dedicato allo scontro tra Berlusconi e Fini, o alle divagazioni più nobili su Cavour e il Risorgimento italiano, rispetto a quello riservato ai fatti che giornalmente ci dovrebbero costringere a ragionare sul collasso epocale della nostra forma di civiltà e sui caratteri di una crisi che investe il senso stesso del produrre e del consumare.
Le alterazioni climatiche, che è difficile non ricondurre al nostro sistema produttivo, hanno provocato incendi senza precedenti nelle regioni della Russia, del Portogallo, della Spagna e della stessa America. In Russia temperature che non hanno riscontro negli ultimi mille anni hanno messo in drammatica evidenza l'incapacità di questo grande Paese di fronteggiare un'emergenza simile, pur ricorrendo all'esercito e agli aiuti di altri paesi. Una potenza mondiale messa in ginocchio dalla ribellione della natura all'uso sconsiderato che l'uomo ne fa ogni giorno.
Le alluvioni nel centro-Europa hanno provocato disastri e morte dove prima l'estate era una gioiosa occasione per navigare con i famosi battelli turistici sulle acque del Reno o del Danubio. Dal Pakistan sono arrivate immagini terrificanti degli enormi danni materiali ed umani provocati da un'alluvione di enormi dimensioni. Nel frattempo le macchie di petrolio che anneriscono il mare e le spiagge, dall'America alla Cina fino all'India, ci ricordano che stiamo strappando alle viscere della terra l'ultima energia che è stata depositata nel corso di miliardi di anni. Questo triste elenco potrebbe essere continuato all'infinito, ricordando altre catastrofi dei mesi scorsi e leggendo le previsioni dei metereologi sulla potenza inaudita degli uragani che si prevede colpiranno l'America nei prossimi mesi.
C'è dunque un'emergenza della natura, dei limiti di tenuta del nostro pianeta, che occorrerebbe mettere al centro di ogni riflessione sui problemi della crescita economica e dello sviluppo. Io credo che il sommarsi in rapida successione di eventi così catastrofici non possa non mettere in discussione le logiche profonde del nostro modello di sviluppo. Come si fa a non porre il problema di un profondo rivolgimento dei modi di produzione e di consumo come se fosse possibile immaginare una produzione illimitata di merci secondo l'attuale standard di vita delle società più ricche? Non è vero che continuare sulla strada che ci sta portando alle soglie del disastro ambientale sia giustificato dal problema che senza la crescita non ci può essere lavoro né occupazione. Non solo perché quel tanto di crescita che si riesce a realizzare avviene in gran parte aggiungendo al disastro ambientale anche la macelleria sociale, come dimostra il nomadismo delle grandi imprese verso i paesi più poveri dove il costo del lavoro è nettamente più basso che nei paesi ricchi. Ma soprattutto perché, continuando su questa strada, non è affatto vero che si riuscirà ad allargare l'area del lavoro salariato, giacché senza una redistribuzione delle risorse e senza una riforma del modello produttivo, la crescita che si può realizzare nei paesi e nelle aree più povere corrisponde al degrado e alla desertificazione delle aree dei paesi più ricchi che vengono abbandonate a causa degli elevati costi di produzione.
Si dice comunemente che l'Europa si è tropicalizzata e che il dominio dell'anticiclone africano ha completamente modificato le condizioni climatiche del Mediterraneo. Attraversando le aree del Mezzogiorno di Italia non è difficile constatare come il deserto sia cresciuto ben oltre i confini del Sahara. La domanda su cosa produrre, per chi e dove, deve essere posta alla base di un nuovo modello di consumi e di una nuova cultura economica.
La questione del rapporto con la natura non è però soltanto un problema che riguarda il modello produttivo. L'attuale sistema di continua delocalizzazione delle imprese e delle attività industriali più rilevanti, come nel caso della Fiat, ha completamente messo fuori campo il significato sociale del lavoro. A parte l'affermazione solenne della Costituzione che fonda la Repubblica sul lavoro, è infatti facile osservare che, fino alla metà del secolo scorso, il lavoro rappresentava la base materiale del legame sociale e il più rilevante simbolo dell'identità. Il lavoro, infatti, appariva tangibilmente come il contributo che ciascun cittadino dava al benessere della nazione, e le attività produttive, con i loro marchi diffusi nel mondo, erano il simbolo dell'operosità dell'intero Paese. La fine del lavoro come figura unificante della maggioranza dei cittadini sta determinando una delle più potenti crisi di identità che il nostro Paese e il mondo occidentale hanno conosciuto nella storia della modernità. Sicuramente il passaggio dalla società agricola alla società industriale è stato meno traumatico della transizione verso il futuro che stiamo vivendo oggi.
Si tratta dunque assai più di una semplice crisi di passaggio: siamo di fronte ad un mutamento epocale della visione del rapporto dell'uomo con la natura e dell'uomo con il proprio lavoro. Questo mutamento epocale non risulta in nessun modo percepito dalle classi dirigenti che nel linguaggio e nelle pratiche continuano a comportarsi come se fossimo fermi alle dispute del secolo scorso.
Il punto critico in cui si manifesta in modo clamoroso questo compimento del progetto moderno e della sua incapacità di produrre speranze del futuro, è sicuramente rappresentato da ciò che accade nel mondo giovanile. Durante il mese di luglio si è verificato a Duisburg un evento di enorme portata e significato, e sono rimasto esterrefatto nel constatare che i diversi commentatori finivano soltanto col fare l'apologia di ciò che a me è sembrato il segno di una grande disperazione giovanile.
Oltre un milione di ragazzi e ragazze hanno partecipato a una Love- Parade, nel corso della quale, per un improvviso attacco di panico collettivo, si è verificata una fuga con conseguente massacro di venti giovani vite. In un commento mi è capitato di leggere che, nonostante questa tragedia, la manifestazione di questa massa rappresentava una forma possibile di senso collettivo, una sorta di processione pagana in cerca del battito dell'universo. La techno music, che assordava fino all'annichilimento del senso di sé i partecipanti a questa sarabanda di suoni e di luci, è stata letta, anzi, come un tam tam che, dalle viscere del nostro continente, lascia intravedere un altro mondo, dove, attraverso la comunicazione sonora, diventa possibile sconfiggere il senso opprimente della solitudine individuale.
I servizi giornalistici sulla manifestazione di Duisburg sono stati spesso accompagnati da interviste ai giovani tra i quattordici e i vent'anni che raccontavano di essere degli assidui frequentatori di questi incontri e che in essi si celebrava una specie di continua iniziazione ad un mondo senza regole e senza limiti dove era possibile fare sesso continuo e drogarsi e ubriacarsi a volontà.
Vorrei che questo avvenimento e il commento che se ne è fatto sulla grande stampa e sulla televisione fosse oggetto di una seria riflessione degli adulti sul destino dei propri figli e delle nuove generazioni. Un fenomeno di massa di queste dimensioni a me pare assai più di una regressione nel mondo infantile del piacere senza limiti; mi sembra il segno di una psicosi collettiva dove ciò che domina è l'assoluta assenza di ogni forma individuale o sociale di rapporto con la realtà. Inviterei tutti, anche gli abitanti della nostra provincia che sembra così distante da questi luoghi, a rendersi conto che siamo di fronte ad una trasformazione radicale di ciò che ha costituito storicamente il nucleo della identità umana: il senso di sé.
La manifestazione di Duisburg non è paragonabile a tutte le altre precedenti, come ad esempio quella di Woodstock, in cui c'era la consapevolezza di partecipare a una festa liberatoria ma anche al mito fondativo di nuove forme di protagonismo. A Duisburg non c'erano leader, non c'erano cantanti, ma solo decine e decine di carri attrezzati per produrre "cassoni rumorosi" a contatto dei quali ciascuno dei partecipanti subiva uno stordimento totale.
Sì, certo, questo imponente fenomeno di massa rappresenta un tam tam che manda al mondo degli adulti i segni di una grande crisi di identità e di senso che dovrebbe spingerci a ragionare anche sul rapporto fra il mondo giovanile e le nuove forme di comunicazione mediatica.
Il punto su cui però voglio richiamare l'attenzione, nella speranza di riuscire ad aprire un dibattito sul nostro futuro, è che esiste un nesso profondo tra la crisi del rapporto con la natura, il collasso del modello produttivo industriale e il disorientamento che si diffonde nel corpo sociale, specialmente nelle parti più delicate come il mondo dei giovani. Se non riusciamo a pensare al futuro in termini nuovi, difficilmente anche le questioni più congiunturali riusciranno ad essere considerate con la giusta prospettiva.
Come si fa a non restare stupefatti di fronte allo spropositato spazio dedicato allo scontro tra Berlusconi e Fini, o alle divagazioni più nobili su Cavour e il Risorgimento italiano, rispetto a quello riservato ai fatti che giornalmente ci dovrebbero costringere a ragionare sul collasso epocale della nostra forma di civiltà e sui caratteri di una crisi che investe il senso stesso del produrre e del consumare.
Le alterazioni climatiche, che è difficile non ricondurre al nostro sistema produttivo, hanno provocato incendi senza precedenti nelle regioni della Russia, del Portogallo, della Spagna e della stessa America. In Russia temperature che non hanno riscontro negli ultimi mille anni hanno messo in drammatica evidenza l'incapacità di questo grande Paese di fronteggiare un'emergenza simile, pur ricorrendo all'esercito e agli aiuti di altri paesi. Una potenza mondiale messa in ginocchio dalla ribellione della natura all'uso sconsiderato che l'uomo ne fa ogni giorno.
Le alluvioni nel centro-Europa hanno provocato disastri e morte dove prima l'estate era una gioiosa occasione per navigare con i famosi battelli turistici sulle acque del Reno o del Danubio. Dal Pakistan sono arrivate immagini terrificanti degli enormi danni materiali ed umani provocati da un'alluvione di enormi dimensioni. Nel frattempo le macchie di petrolio che anneriscono il mare e le spiagge, dall'America alla Cina fino all'India, ci ricordano che stiamo strappando alle viscere della terra l'ultima energia che è stata depositata nel corso di miliardi di anni. Questo triste elenco potrebbe essere continuato all'infinito, ricordando altre catastrofi dei mesi scorsi e leggendo le previsioni dei metereologi sulla potenza inaudita degli uragani che si prevede colpiranno l'America nei prossimi mesi.
C'è dunque un'emergenza della natura, dei limiti di tenuta del nostro pianeta, che occorrerebbe mettere al centro di ogni riflessione sui problemi della crescita economica e dello sviluppo. Io credo che il sommarsi in rapida successione di eventi così catastrofici non possa non mettere in discussione le logiche profonde del nostro modello di sviluppo. Come si fa a non porre il problema di un profondo rivolgimento dei modi di produzione e di consumo come se fosse possibile immaginare una produzione illimitata di merci secondo l'attuale standard di vita delle società più ricche? Non è vero che continuare sulla strada che ci sta portando alle soglie del disastro ambientale sia giustificato dal problema che senza la crescita non ci può essere lavoro né occupazione. Non solo perché quel tanto di crescita che si riesce a realizzare avviene in gran parte aggiungendo al disastro ambientale anche la macelleria sociale, come dimostra il nomadismo delle grandi imprese verso i paesi più poveri dove il costo del lavoro è nettamente più basso che nei paesi ricchi. Ma soprattutto perché, continuando su questa strada, non è affatto vero che si riuscirà ad allargare l'area del lavoro salariato, giacché senza una redistribuzione delle risorse e senza una riforma del modello produttivo, la crescita che si può realizzare nei paesi e nelle aree più povere corrisponde al degrado e alla desertificazione delle aree dei paesi più ricchi che vengono abbandonate a causa degli elevati costi di produzione.
Si dice comunemente che l'Europa si è tropicalizzata e che il dominio dell'anticiclone africano ha completamente modificato le condizioni climatiche del Mediterraneo. Attraversando le aree del Mezzogiorno di Italia non è difficile constatare come il deserto sia cresciuto ben oltre i confini del Sahara. La domanda su cosa produrre, per chi e dove, deve essere posta alla base di un nuovo modello di consumi e di una nuova cultura economica.
La questione del rapporto con la natura non è però soltanto un problema che riguarda il modello produttivo. L'attuale sistema di continua delocalizzazione delle imprese e delle attività industriali più rilevanti, come nel caso della Fiat, ha completamente messo fuori campo il significato sociale del lavoro. A parte l'affermazione solenne della Costituzione che fonda la Repubblica sul lavoro, è infatti facile osservare che, fino alla metà del secolo scorso, il lavoro rappresentava la base materiale del legame sociale e il più rilevante simbolo dell'identità. Il lavoro, infatti, appariva tangibilmente come il contributo che ciascun cittadino dava al benessere della nazione, e le attività produttive, con i loro marchi diffusi nel mondo, erano il simbolo dell'operosità dell'intero Paese. La fine del lavoro come figura unificante della maggioranza dei cittadini sta determinando una delle più potenti crisi di identità che il nostro Paese e il mondo occidentale hanno conosciuto nella storia della modernità. Sicuramente il passaggio dalla società agricola alla società industriale è stato meno traumatico della transizione verso il futuro che stiamo vivendo oggi.
Si tratta dunque assai più di una semplice crisi di passaggio: siamo di fronte ad un mutamento epocale della visione del rapporto dell'uomo con la natura e dell'uomo con il proprio lavoro. Questo mutamento epocale non risulta in nessun modo percepito dalle classi dirigenti che nel linguaggio e nelle pratiche continuano a comportarsi come se fossimo fermi alle dispute del secolo scorso.
Il punto critico in cui si manifesta in modo clamoroso questo compimento del progetto moderno e della sua incapacità di produrre speranze del futuro, è sicuramente rappresentato da ciò che accade nel mondo giovanile. Durante il mese di luglio si è verificato a Duisburg un evento di enorme portata e significato, e sono rimasto esterrefatto nel constatare che i diversi commentatori finivano soltanto col fare l'apologia di ciò che a me è sembrato il segno di una grande disperazione giovanile.
Oltre un milione di ragazzi e ragazze hanno partecipato a una Love- Parade, nel corso della quale, per un improvviso attacco di panico collettivo, si è verificata una fuga con conseguente massacro di venti giovani vite. In un commento mi è capitato di leggere che, nonostante questa tragedia, la manifestazione di questa massa rappresentava una forma possibile di senso collettivo, una sorta di processione pagana in cerca del battito dell'universo. La techno music, che assordava fino all'annichilimento del senso di sé i partecipanti a questa sarabanda di suoni e di luci, è stata letta, anzi, come un tam tam che, dalle viscere del nostro continente, lascia intravedere un altro mondo, dove, attraverso la comunicazione sonora, diventa possibile sconfiggere il senso opprimente della solitudine individuale.
I servizi giornalistici sulla manifestazione di Duisburg sono stati spesso accompagnati da interviste ai giovani tra i quattordici e i vent'anni che raccontavano di essere degli assidui frequentatori di questi incontri e che in essi si celebrava una specie di continua iniziazione ad un mondo senza regole e senza limiti dove era possibile fare sesso continuo e drogarsi e ubriacarsi a volontà.
Vorrei che questo avvenimento e il commento che se ne è fatto sulla grande stampa e sulla televisione fosse oggetto di una seria riflessione degli adulti sul destino dei propri figli e delle nuove generazioni. Un fenomeno di massa di queste dimensioni a me pare assai più di una regressione nel mondo infantile del piacere senza limiti; mi sembra il segno di una psicosi collettiva dove ciò che domina è l'assoluta assenza di ogni forma individuale o sociale di rapporto con la realtà. Inviterei tutti, anche gli abitanti della nostra provincia che sembra così distante da questi luoghi, a rendersi conto che siamo di fronte ad una trasformazione radicale di ciò che ha costituito storicamente il nucleo della identità umana: il senso di sé.
La manifestazione di Duisburg non è paragonabile a tutte le altre precedenti, come ad esempio quella di Woodstock, in cui c'era la consapevolezza di partecipare a una festa liberatoria ma anche al mito fondativo di nuove forme di protagonismo. A Duisburg non c'erano leader, non c'erano cantanti, ma solo decine e decine di carri attrezzati per produrre "cassoni rumorosi" a contatto dei quali ciascuno dei partecipanti subiva uno stordimento totale.
Sì, certo, questo imponente fenomeno di massa rappresenta un tam tam che manda al mondo degli adulti i segni di una grande crisi di identità e di senso che dovrebbe spingerci a ragionare anche sul rapporto fra il mondo giovanile e le nuove forme di comunicazione mediatica.
Il punto su cui però voglio richiamare l'attenzione, nella speranza di riuscire ad aprire un dibattito sul nostro futuro, è che esiste un nesso profondo tra la crisi del rapporto con la natura, il collasso del modello produttivo industriale e il disorientamento che si diffonde nel corpo sociale, specialmente nelle parti più delicate come il mondo dei giovani. Se non riusciamo a pensare al futuro in termini nuovi, difficilmente anche le questioni più congiunturali riusciranno ad essere considerate con la giusta prospettiva.
http://giornaleonline.lasicilia.it/
Fiori d'arancio per Hilary Duff
Sabato 14 agosto Hilary Duff ha sposato il giocatore di hockey Mike Comrie durante una romantica cerimonia al tramonto nel lussuoso Ranch San Ysidro a Montecito, in California.
Al matrimonio erano presenti circa cento invitati, amici e parenti della coppia. Secondo quanto riportato da Us Magazine, l’attrice 22enne indossava un abito di Vera Wang, e ha calcato un tappeto di petali di rosa per raggiungere lo sposo all’altare, accompagnata dalla madre Susan. La sorella Haylie Duff era invece la damigella d’onore.
Hilary e Mike si frequentano da più di due anni, e a febbraio la star ventinovenne dell’hockey ha chiesto ufficialmente la mano della sua bella fidanzatina con un diamante da 14 carati, durante una romantica vacanza alle Hawaii.
Quest’estate la coppia ha anche acquistato una villa da 3.85 milioni di dollari nella Summit community di Beverly Hills, il perfetto nido d’amore, dove ritrovarsi tra un impegno professionale e l’altro, essendo entrambi costretti a viaggiare molto per lavoro.
“È un ragazzo fantastico – così Hilary Duff ha descritto suo marito durante un’intervista a Us -. Nessuno potrebbe trovare qualcosa di cattivo da dire sul suo conto. È generoso, premuroso, divertente. Ridiamo da matti, è per meè importante… Lui è unico”.
Fonte: msn
Al matrimonio erano presenti circa cento invitati, amici e parenti della coppia. Secondo quanto riportato da Us Magazine, l’attrice 22enne indossava un abito di Vera Wang, e ha calcato un tappeto di petali di rosa per raggiungere lo sposo all’altare, accompagnata dalla madre Susan. La sorella Haylie Duff era invece la damigella d’onore.
Hilary e Mike si frequentano da più di due anni, e a febbraio la star ventinovenne dell’hockey ha chiesto ufficialmente la mano della sua bella fidanzatina con un diamante da 14 carati, durante una romantica vacanza alle Hawaii.
Quest’estate la coppia ha anche acquistato una villa da 3.85 milioni di dollari nella Summit community di Beverly Hills, il perfetto nido d’amore, dove ritrovarsi tra un impegno professionale e l’altro, essendo entrambi costretti a viaggiare molto per lavoro.
“È un ragazzo fantastico – così Hilary Duff ha descritto suo marito durante un’intervista a Us -. Nessuno potrebbe trovare qualcosa di cattivo da dire sul suo conto. È generoso, premuroso, divertente. Ridiamo da matti, è per meè importante… Lui è unico”.
Fonte: msn
L'ultimo dominatore dell'aria
dal 24 dettembre al cinema
Aria, Acqua, Terra, Fuoco. Quattro nazioni unite dal destino, quando la Nazione del Fuoco lancia una brutale guerra contro le altre. È trascorso un secolo senza speranze in vista di cambiare il proseguimento di questa distruzione. Combattuto fra paura e coraggio, Aang (Noah Ringer) scopre di essere l' Avatar, l'unico con il potere di manipolare tutti e quattro gli elementi. Aang si unirà a Katara (Nicola Peltz), una dominatrice dell'acqua, e a suo fratello, Sokka (Jackson Rathbone), per ripristinare l'equilibrio del loro mondo dilaniato dalla guerra. Basato sulla serie animata TV della Nickelodeon, il film d'azione racconta il primo capitolo della lotta per la sopravvivenza di Aang.
Aria, Acqua, Terra, Fuoco. Quattro nazioni unite dal destino, quando la Nazione del Fuoco lancia una brutale guerra contro le altre. È trascorso un secolo senza speranze in vista di cambiare il proseguimento di questa distruzione. Combattuto fra paura e coraggio, Aang (Noah Ringer) scopre di essere l' Avatar, l'unico con il potere di manipolare tutti e quattro gli elementi. Aang si unirà a Katara (Nicola Peltz), una dominatrice dell'acqua, e a suo fratello, Sokka (Jackson Rathbone), per ripristinare l'equilibrio del loro mondo dilaniato dalla guerra. Basato sulla serie animata TV della Nickelodeon, il film d'azione racconta il primo capitolo della lotta per la sopravvivenza di Aang.
Lavoro. I programmi d'assunzione delle imprese nel rapporto Unioncamere
Paola Barbetti
Roma. Il «pezzo di carta»? Meglio in ingegneria, ancora bene quello in economia, benissimo se si tratta di una laurea in ingegneria ambientale, professione top del 2010, la più richiesta dalle aziende.
Lo indica il rapporto Excelsior Unioncamere-ministero del Lavoro, analizzando gli indirizzi di laurea più gettonati (e quelli meno) nei programmi di assunzione delle imprese per l'anno in corso. Se per i neo-ingegneri dell'ambiente i posti offerti quest'anno saranno oltre 20.000 (+59,3%), non va affatto male neppure per gli altri indirizzi di ingegneria, tanto che il 2010 segna il «sorpasso» degli ingegneri sui dottori in economia nella classifica delle lauree più richieste. Il neo-ingegnere troverà dunque porte aperte con un incremento complessivo del 23,8%, pari a quasi 3.900 assunzioni in più rispetto al 2009. Non busseranno invano neppure i laureati in scienze economiche, con oltre 1.400 assunzioni in più rispetto al 2009 (+7,7%). Prospettive decisamente meno rosee invece per chi conseguirà una laurea in discipline umanistiche e artistiche (-39% di richieste dalle aziende rispetto al 2009), architetti (-36%), agronomi (-25%), dottori in scienze politiche e sociali (-22%) e - sorpresa - quelli in biotecnologie.
Bene anche i laureati nelle discipline dell'insegnamento e formazione (+27,7%, 1.140 in più rispetto al 2009), benissimo medici e dentisti, con un'offerta di 1.090 nuovi posti.
Assunzioni in aumento anche se dell'ordine di qualche centinaio di unità, per farmacisti (170 posti), statistici (320), psicologi (180). Colpisce il calo di tecnici radiologi, tecnici di laboratorio, fisioterapisti (sia pure solo del 4%, pari a 270 unità) professioni che in passato avevano sempre conosciuto andamenti molto dinamici; per altro, evidenzia Unioncamere, le assunzioni di tali figure saranno sempre oltre 6.400, pari al 9,3% del totale, e quindi le più numerose in valore assoluto dopo quelle in ingegneria ed economia.
Riduzioni di un certo rilievo anche per gli indirizzi umanistici (linguistico, politico-sociale, giuridico, letterario) e tecnico-scientifici, quali architetti, urbanisti, biologi, dottori in biotecnologie, scienze agrarie e agroalimentari.
Nel complesso, alle 28 mila entrate in più rispetto al 2009, i laureati concorrono con oltre 6.400 unità (+10,3% passando al 12,5% del totale), i diplomati con quasi 20.900 (+9% circa, per un incidenza sul totale del 44%) e le persone con la sola licenza dell'obbligo con oltre 16.500 (il 10,4% rispetto a quelle previste nel 2009).
I giovani sono comunque in pole position: il rapporto evidenzia infatti una disponibilità maggiore (54,7%) delle aziende ad assumere giovani in uscita dal sistema formativo sul totale delle assunzioni programmate nel 2010, anche se più elevata nei confronti dei diplomati (57,1%) che non dei titolari di laurea (51,8%).
Lo indica il rapporto Excelsior Unioncamere-ministero del Lavoro, analizzando gli indirizzi di laurea più gettonati (e quelli meno) nei programmi di assunzione delle imprese per l'anno in corso. Se per i neo-ingegneri dell'ambiente i posti offerti quest'anno saranno oltre 20.000 (+59,3%), non va affatto male neppure per gli altri indirizzi di ingegneria, tanto che il 2010 segna il «sorpasso» degli ingegneri sui dottori in economia nella classifica delle lauree più richieste. Il neo-ingegnere troverà dunque porte aperte con un incremento complessivo del 23,8%, pari a quasi 3.900 assunzioni in più rispetto al 2009. Non busseranno invano neppure i laureati in scienze economiche, con oltre 1.400 assunzioni in più rispetto al 2009 (+7,7%). Prospettive decisamente meno rosee invece per chi conseguirà una laurea in discipline umanistiche e artistiche (-39% di richieste dalle aziende rispetto al 2009), architetti (-36%), agronomi (-25%), dottori in scienze politiche e sociali (-22%) e - sorpresa - quelli in biotecnologie.
Bene anche i laureati nelle discipline dell'insegnamento e formazione (+27,7%, 1.140 in più rispetto al 2009), benissimo medici e dentisti, con un'offerta di 1.090 nuovi posti.
Assunzioni in aumento anche se dell'ordine di qualche centinaio di unità, per farmacisti (170 posti), statistici (320), psicologi (180). Colpisce il calo di tecnici radiologi, tecnici di laboratorio, fisioterapisti (sia pure solo del 4%, pari a 270 unità) professioni che in passato avevano sempre conosciuto andamenti molto dinamici; per altro, evidenzia Unioncamere, le assunzioni di tali figure saranno sempre oltre 6.400, pari al 9,3% del totale, e quindi le più numerose in valore assoluto dopo quelle in ingegneria ed economia.
Riduzioni di un certo rilievo anche per gli indirizzi umanistici (linguistico, politico-sociale, giuridico, letterario) e tecnico-scientifici, quali architetti, urbanisti, biologi, dottori in biotecnologie, scienze agrarie e agroalimentari.
Nel complesso, alle 28 mila entrate in più rispetto al 2009, i laureati concorrono con oltre 6.400 unità (+10,3% passando al 12,5% del totale), i diplomati con quasi 20.900 (+9% circa, per un incidenza sul totale del 44%) e le persone con la sola licenza dell'obbligo con oltre 16.500 (il 10,4% rispetto a quelle previste nel 2009).
I giovani sono comunque in pole position: il rapporto evidenzia infatti una disponibilità maggiore (54,7%) delle aziende ad assumere giovani in uscita dal sistema formativo sul totale delle assunzioni programmate nel 2010, anche se più elevata nei confronti dei diplomati (57,1%) che non dei titolari di laurea (51,8%).
font : http://giornaleonline.lasicilia.it/
China's " Straddling" Bus
Il problema dei trasporti in Cina è una delle grandi priorità, ma gli sforzi non si concentrano solo sui treni super veloci per ridurre le enormi distanze. Il traffico è l'altra grande scommessa e nasce così il progetto di questo mezzo sollevato che si muove su rotaie e che permette alle automobili di passargli sotto, senza intralciare lo spostamento dei veicoli più piccoli
Secondo i suoi ideatori, lo 'straddling bus' (più o meno 'bus in sella') potrebbe ridurre del 25-30 per cento il traffico sulle strade principali. Potrà viaggiare a 40 km/h, portare 1200 persone alla volta e ridurre - grazie a un sistema di alimentazione misto elettrico e solare - l'immissione in atmosfera di 2600 tonnellate di anidride carbonica ogni anno
Secondo i suoi ideatori, lo 'straddling bus' (più o meno 'bus in sella') potrebbe ridurre del 25-30 per cento il traffico sulle strade principali. Potrà viaggiare a 40 km/h, portare 1200 persone alla volta e ridurre - grazie a un sistema di alimentazione misto elettrico e solare - l'immissione in atmosfera di 2600 tonnellate di anidride carbonica ogni anno
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