"Quando arrivò all’eremo Olga si chiamava Pinuccia. Aveva dei lunghi capelli di un rosso sospetto, pochi palmi di altezza e occhi vivi, pieni di energia. Non ricordo a dire il vero la sua prima volta all’eremo ma ricordo una cena per il compleanno del nostro fratello Luca in cui mi sembrava che Pinuccia si sentisse troppo pericolosamente di casa. Faceva progetti. Faceva sempre progetti. Ma quello che mi turbava è che li facesse a casa mia! Ricordo che decisi di scoraggiarla decisamente. Ma per i successivi quindici anni non ci riuscii mai!
Qualche mese dopo nacque il “ramo” laico della nostra comunità, si fece un capitolo apposta, e Pinuccia consacrò la sua vita a Dio diventando sorella Olga di Gesù Bambino, per ricordare la Figlia della Chiesa piena di gas…..apostola delle adolescenti. Quello stesso giorno cominciò per lei una nuova vita. Comprò i sandali francescani e cominciò a “far ridere” la gente della sua follia. La sera con me in piazza a “rastrellare” rottami umani cui ricostruire le ali. La notte spesso in preghiera. Il giorno in famiglia, con il suo Simone e i suoi tre figli. Tutti finirono presto in Fraternità. E Olga e famiglia, senza più la mia paura che “invadessero troppo”…..ebbero il loro bel romitorio personale nella nostra casa. E il suo figlio più piccolo, Giuseppe, a tre anni intonava l’Angelus e a quattro il Regina Caeli in latino, rigorosamente in ginocchio, le gambe su un cuscino di gommapiuma sul quale poi si addormentava fino alla fine della Liturgia. Nel “96” partimmo tutti per la prima itineranza, zaini e sacchi a pelo in spalle, a piedi, per visitare i paesi vicini. Quindici chilometri a piedi ogni giorno. E niente tenda da piantare: si dormiva a terra, lungo i fiumi o nelle aride vallate dell’entroterra siciliano. Anche Giuseppe piccolo aveva il suo zainetto nuovo rosso e il sacco a pelo della sua misura. L’ultimo giorno fu per il nostro paese. Si unirono a noi anche gli animatori vocazionali dei frati minori di Sicilia. Ballammo, cantammo, gridammo di gioia, raccontammo la nostra esperienza di predicazione di strada. E padre Nicola, il vecchio animatore vocazionale tanto amato dai giovani di tutta la Sicilia, fece la sua bella catechesi su “Trinità e vita sessuale”. Ma nessuno si fermò a sentirci. Solo il parroco passò a testa bassa, nervoso, livido. I frati partirono la sera stessa. Noi restammo. E Olga non occupò più i primi banchi della Chiesa e non fece più le letture, e non le fu affidata la solita classe di catechismo. E attorno a lei furono fabbricati palazzi di ingiurie e di calunnie che proprio nella parrocchia trovarono il terreno più fertile. Ma i giovani erano con Olga, decine e decine. Venivano anche a piedi per tre chilometri per stare un po’ con lei. E impararono a cantare i salmi e a suonare la chitarra e a fare silenzio perché Olga era in cappella per l’adorazione. Erano belli. Avevano orecchini e capelli lunghi, tatuaggi e pearcing, e occhi pieni di infinito. E si facevano le canne e arrivavano qualche volta all’eremo sballati. E una delle ragazze era bulimica e dormiva con Olga nel letto che raramente lei divideva col marito. Perché Simone dormiva con i ragazzi. E insegnava loro a fare nodi da marinaio e a riconoscere le erbe buone da mangiare. Parlavano anche di “cose di uomini” così come Olga parlava alle sue “figliole” di “cose di donne”. Nel 97 ottenemmo una vecchia chiesa chiusa da secoli per celebrare la Messa dei “vecchi” che non riuscivano ad andare nella Chiesa grande del Paese. E i “ragazzi di Olga e Simone” animavano la Liturgia. Nel 98 il parroco si decise e chiamò Olga come responsabile dell’Azione Cattolica Giovani che non esisteva praticamente. Andammo insieme. Olga aveva paura da sola. Due settimane dopo c’erano 56 iscritti che arrivavano mezz’ora prima e restavano fino a tarda notte. Volevano sapere bene se il Mar Rosso si era veramente aperto o se invece Dio aveva approfittato di una “secca” per far passare gli Israeliti. Volevano sapere come Giuseppe amava Maria, se la baciava qualche volta (il bacio è peccato?) e se dormivano insieme. Volevano sapere se Gesù qualche volta si scocciava di studiare la Legge e i profeti e se faceva qualche problema a mangiare i peperoni o il pane nero.
Durò da quaresima a pentecoste. Poi il parroco ci mandò via. Diceva che quei giovani dicevano troppe parolacce e poi erano lì solo per noi. Se veramente cercavano Dio, allora lo cercassero col Parroco. Il Gruppo si chiuse quella stessa settimana. E i giovani, ormai tanti, si trasferirono all’eremo per cercare le risposte alle loro domande. E impararono a cucinare, a mangiare il pane duro e la pasta scaldata. Ma soprattutto impararono l’amore fraterno. E quando un vecchio eremita benedettino (noto per l’”odore di santità”), ci chiese aiuto per la sua casa che faceva acqua da tutte le parti…..andammo in massa e in due giorni….tetto riparato, vetri sostituiti, terreno zappato e ripulito dalle sterpaglie. Era il giorno di Santa Chiara quando il santo eremita si recò dal vescovo per denunciare la vergogna di tanti giovani traviati che confondono i galantuomini con i loro orecchini, con capelli lunghi e sporchi e con qualche…parolaccia!
E uomini e donne insieme! Ci fu chiesto di “smantellare”, di rispedire i figli alle loro mamme (per molti di loro Olga era la sola mamma che si occupasse di loro). E non bisognava dare spiegazioni.
Se ne andarono tutti tranne uno che si barricò in casa e che ancora è qui, col suo bel saio color terra! Se ne andarono a testa bassa e con le lacrime agli occhi, senza capire mai il perché. E le loro sere furono di nuovo accese di canne e di altra roba e la chiesa dove celebravamo insieme diventò il luogo di spaccio per molti di loro. Perché nessuno abitava in quella chiesa. Erano stati imbrogliati. Nessun Dio può fare quello che aveva fatto…..illuderli che anche loro erano uomini degni di rispetto e poi cacciarli via. Solo Olga continuò a frequentare i “malviventi” nei luoghi del loro dolore (a me fu “sconsigliato” per anni!). Ma essi non la ascoltavano più…e quando lei arrivava fuggivano via. Poi cominciarono a ridere di lei e infine Olga non seppe più niente di loro.
E neanch’io. E diventammo i nemici di tutti. Olga stava la domenica nella navata buia della sua parrocchia a offrire il suo sacrificio tra le lacrime che non riusciva a nascondere. Gli occhi chiusi persi in un sogno in cui i suoi ragazzi sfilavano in fila per la Comunione. E la sera, nel cortile deserto del suo romitorio, rammendava i vestiti marroni che i suoi ragazzi indossavano per la preghiera e che il tarlo aveva cominciato a rodere lentamente. La battaglia non finì mai. Olga non smise mai di sperare, di girare nella piazza e davanti al bar per ricominciare la sua “vita religiosa” tra i rottami. E molti la illusero e promisero e giurarono. Ma Olga rimase sola. Rimanemmo soli insieme. Era il natale del 2003 quando ebbe il permesso di visitare i “ragazzi” del grande carcere costruito fuori dalle mura della città. E cominciò a portare loro la comunione, a parlare di nuovo di Dio, a far crescere la speranza nel loro cuore. “Quando saremo fuori di qui….”
Perché lei era dentro come loro. Non li lasciava mai soli. E lei che non sapeva cantare e non sapeva suonare “inventò” un coro di giovani detenuti, perché ancora qualche giovane potesse cantare le sue canzoni, quelle che nelle sere d’estate dell’eremo cantavano tutti insieme….e diventavano catechesi….. Io le fornivo registrazioni e spartiti, sorrisi per i suoi dubbi e per le sue paure. E la domenica, nella sua navata buia, faceva progetti per il dopo…per quando sarebbero usciti. E trovava complici che ci avrebbero aiutati. Il suo taccuino pieno di indirizzi di “aiutanti” pronti a far ripartire il progetto “giovani dell’eremo”, pronti ad aiutarci a realizzare “ali per volare insieme….come volano le rondini…libere e senza limiti…come fiumi in piena….E’ bello sentirsi compagni di strada, è bello sentirsi fratelli…..insieme lottare, insieme sognare, sperare in un mondo migliore” E decine furono le voci che si unirono al coro per riportare all’eremo e a Dio i “figli” di Olga. Avremmo costruito una nuova cappella e comprato mucche e capre per mantenere i giovani che non avevano lavoro. E avremmo fatto un Recital, per raccontare a tutti che nel Cristo morto erano tutti morti, ma nel Risorto i giovani si erano risvegliati a vita.
E invece, di lì a poco, nei pressi del Carcere, Olga consegnava la sua vita insieme a quella della sua figlia maggiore, sorella Elisabetta di Gesù. Uno schianto e….tutti i progetti di Olga morirono. Ma prima si svegliò e vide accanto a sé il corpo esanime della figlia e sorella Elisabetta e in lei, credo, vide tutti i suoi ragazzi ormai spenti al suo abbraccio materno. Prese il suo rosario colorato in mano e, in lacrime, come sempre, cominciò a pregare silenziosamente mentre la portavano via, lontano (ma solo per poco) dalla sua adorata figlia. Olga morì il giorno dopo, all’alba.
E il giorno in cui il vecchio parroco sussurrò parole di vento accanto alle due bare piene ancora di voglia di vivere, nelle mani dei giovani rimasti in fondo alla chiesa, apparvero lacrime amare, di rimpianto, di odio forse, per tutti quelli che li avevano portati via da Olga, ancor prima di portar via per sempre lei da loro. E apparve anche un foglietto, ciclostilato:
A te, che hai sollevato macerie
da tutti pensate inutili
e ne hai fatto muri alti e solidi
A te, che hai saltato gli ostacoli della vita
senza mai lamentare stanchezza…
A te, che hai generato fiori sotto le tue
mani stanche di lavoro e di preghiera
che hai versato lacrime di gioia e di dolore
offrendo tutto con gioia
che hai accarezzato bambini con la Parola
resa dolce dal tuo sorriso
e hai fatto cantare la Gioia dietro le sbarre
impenetrabili di prigioni umane…
A te, che hai seminato speranza e pace
dove tu sola vedevi terra da seminare
e hai consegnato raccolti abbondanti
a chi abita nella terra di nessuno
A te, che hai perdonato a chi ha riso
delle tue fantastiche utopie
e ora piange della tua morte
che tu non hai vestito di lutto,
ma di Luce..
A te, che ogni giorno hai combattuto
la difficile battaglia dell’unità e dell’amicizia,
della solidarietà, della condivisione e dell’amore…
A te, che negli occhi dei “nemici”
scoprivi nascosto
lo sguardo pietoso di Dio…
A te, che riuscivi a cantare
anche senza voce
e a ballare senza musica
perché l’Amore scorreva nelle tue vene
e faceva rallegrare di mistero i tuoi occhi…
A te, che hai creduto in tutti, hai pensato a tutti e hai accolto tutti e hai fatto della Fraternità un posto per tutti,
un giardino pieno di fiori
e vuoto di muri….
A te, che ora vivi in Cielo della Ricompensa
che hai faticato sulla terra
Grazie, sorella Olga,
perché hai rischiarato di Luce
tutte le nostre sere buie,
e ci hai insegnato a sorridere,
a sperare,
a non fermarci mai, a cantare,
a guardare in alto,
a non essere mia banali ma veri,
a investire nel Cielo le nostre vite.
Ho sempre creduto che sia stato l’unico “mazzo di fiori” che si è portata in paradiso. Ora lei riposa accanto alla figlia morta, nell’attesa, chissà……non riesco a immaginarla ferma senza far niente, senza progetti…..penso sempre che con una scusa Pietro al suo arrivare….abbia scoperto di avere un impegno. Ma nessuno poteva scoraggiare Olga. Nemmeno adesso che è stata di nuovo uccisa da tutti quelli che hanno cancellato il suo nome dall’agenda pensando che ormai è inutile, che passano davanti alla chiesa chiusa e al bar con timore e non con amore, che mettono la quinta quando passano nelle vicinanze dell’eremo di Olga, dove l’erba è alta. E ogni mese fanno celebrare la Messa nella Chiesa buona del paese. Ma la Messa è per Pinuccia. Olga è morta di nuovo, forse per sempre. Ma non per me. E neanche per i suoi ragazzi."